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Resta saldo il potere di impugnazione della parte civile nel processo penale. - Gli automatismi nell'ordinamento penitenziario. Ancora una pronuncia di incostituzionalità. - I reati ostativi ancora al viaggio della Consulta: la ratio legis sottesa all'art. 4-bis ord. pen.
(C. cost., sent. 12 luglio 2019, n. 176) La Corte d’appello di Venezia solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 576 c.p.p. «nella parte in cui prevede che la parte civile possa proporre al giudice penale anziché al giudice civile impugnazione ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio», in violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione. Il giudice a quo evidenzia il contrasto tra l’attuale apparato normativo e la funzione naturale del giudice penale dell’impugnazione, dal momento che lo stesso è chiamato ad un giudizio – quello sugli interessi civili – che è proprio di altra sede processuale, nello specifico del processo civile. In sostanza, il giudice rimettente ritiene che la possibilità per la parte civile di impugnare una sentenza di proscioglimento ai soli effetti civili comporti l’irragionevole allungamento dei tempi del processo, incidendo sul carico giudiziario delle Corti d’appello ed intervenendo negativamente sull’efficacia e sull’efficienza della giurisdizione. A sostegno della propria tesi, la Corte veneta argomenta sull’attuale previsione contenuta nell’art. 576 c.p.p., da considerarsi anacronistica poiché frutto di un retaggio del passato, ovverosia di quel d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447 che fu varato con l’obiettivo di deflazionare il numero dei processi pendenti dinanzi alle Corti d’appello «[I]in un contesto diverso da quello odierno e in una prospettiva di razionalizzazione del sistema che, alla prova dei fatti, non si è realizzata nei termini auspicati». Ad abundantiam, la rimettente rammenta l’esistenza di una norma nel codice di rito penale, l’art. 622 c.p.p., che già disciplina il “passaggio di consegne” della causa penale al giudice civile, situazione che si verifica nel momento in cui la Corte di Cassazione, interpellata sulle questioni civili, accoglie il ricorso della parte privata, ovvero annulla solamente le disposizioni e i capi riguardanti l’azione civile. La Consulta si pronuncia nel senso della non fondatezza delle questioni sollevate sulla base del rilievo che la sedes materiae del giudizio d’appello su impugnazione della parte civile non può che essere il processo penale. Il [continua ..]
(C. cost., sent. 18 luglio 2019, n. 187) La Corte di Cassazione, I sez. pen., solleva d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in relazione agli artt. 3 comma 1, 29 comma 1, 30 comma 1 e 31, comma 2 della Costituzione, «nella parte in cui, detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’art. 47-quinques della stessa legge n. 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell’art. 47, comma 11, dell’art. 47-ter, comma 6, o dell’art. 51, comma 1, della legge medesima». Il caso di specie ha per oggetto un decreto del Tribunale di sorveglianza di Milano che si era pronunciato ritenendo inammissibile l’istanza di concessione di detenzione domiciliare speciale, ex art. 47-quinques, commi 1 e 7 ord. pen., presentata da un detenuto, padre di un minore di età inferiore ai 10 anni, la cui madre versava nell’impossibilità di prendersi cura di quest’ultimo. Il Tribunale ritiene di non potersi esprimere nel merito della vicenda poiché il richiedente aveva subito la revoca della semilibertà – in precedenza concessa – e non erano trascorsi i tre anni utili per essere ammesso ad un’altra e diversa misura alternativa alla detenzione, in virtù dell’art. 58-quater, comma 3, ord. pen. La Corte di Cassazione, dunque, rimette al vaglio della Consulta tale meccanismo preclusivo, dubitando della sua compatibilità con le esigenze di tutela dei minori di età, costituzionalmente sancita, ed espressa più volte in altre pronunce costituzionali. Si fa segnatamente riferimento alle sentenze del 22 ottobre 2014, n. 239 e del 12 aprile 2017, n. 76, con cui la Corte costituzionale, in casi speculari a quello di specie, ha dichiarato l’incostituzionalità dei meccanismi preclusivi derivanti dagli artt. 4-bis e 47-quinques, comma 1-bis ord. pen., che impedivano l’accesso ai benefici penitenziari alle madri detenute con prole in tenera età, allorquando queste ultime venivano condannate [continua ..]