CORTE COSTITUZIONALE VS AUTOMATISMI PENITENZIARI: CADE UN’ALTRA PRECLUSIONE ALLA PROGRESSIONE TRATTAMENTALE
(C. cost., sent. 11 luglio 2018, n. 149)
La Corte costituzionale, proseguendo la sua inarrestabile crociata nel segno della “de-carcerizzazione”, è intervenuta con la sua scure sull’art. 58-quater, comma 4, ord. penit., dichiarandolo illegittimo in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., «nella parte in cui prevede che i condannati all’ergastolo per il delitto di cui all’art. 630 c.p., che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno ventisei anni di pena».
Un cenno al caso di specie è indispensabile onde chiarire i significativi risvolti pratici della disciplina censurata.
La scintilla è stata innescata dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, investito da una istanza di concessione della semilibertà ai sensi dell’art. 50 ord. penit., formulata da un condannato all’ergastolo per il delitto di cui all’art. 630, comma 3, c.p. Il detenuto, pur avendo già superato il limite di venti anni di pena espiata cui è normalmente subordinata la concessione di tale beneficio per i condannati all’ergastolo (art. 50, comma 5, ord. penit.), e pur avendo intrapreso con impegno un percorso di recupero culminato in una rivalutazione critica in relazione al grave reato commesso, non poteva essere ammesso al beneficio in ragione della preclusione temporale posta dall’art. 58-quater, comma 4, ord. penit., che inibisce la concessione di tutte le misure extramoenia indicate nell’art. 4-bis, comma 1, ord. penit. ai condannati per i delitti di cui agli artt. 289-bis e 630 c.p. che abbiano cagionato la morte del sequestrato, salvo che questi non abbiano espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell’ergastolo, almeno ventisei anni.
Il giudice rimettente avanzava forti perplessità circa la legittimità costituzionale di tale assetto, che configura «un’eccezione in peiusrispetto ad un regime già connotato di specialità peggiorativa» come quello sancito dall’art. 4-bis ord. penit.; di qui, la necessità di devolvere la questione alla Corte costituzionale, onde testare la ragionevolezza di una simile «ultra-eccezione».
Più nel dettaglio, l’ordinanza di rimessione evidenziava come la disciplina de qua imponesse un trattamento penitenziario deteriore sulla base di una presunzione di maggiore disvalore attribuita – oggettivamente – al delitto di cui all’art. 630, comma 3, c.p. e – soggettivamente – al condannato per tale fatto, che tuttavia non parrebbe rispondere a dati di esperienza generalizzati riassunti nella [continua..]