Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale (di Angela Procaccino)


INTRUSIONI INVESTIGATIVE SULLA CORRISPONDENZA POSTALE E POSSIBILITÀ DI UTILIZZARE FORME DIVERSE DAL SEQUESTRO O, PER I DETENUTI, DALLA PROCEDURA MEDIANTE VISTO DI CONTROLLO. (C. cost., sent. 24 gennaio 2017, n. 20) Sebbene dichiari la non fondatezza delle questioni sollevate, la decisione va segnalata poiché rende importanti chiarimenti su temi che hanno un forte impatto sulla prassi e che, peraltro, avevano già visto impegnate le Sezioni Unite della Suprema corte. Il giudice rimettente – la Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria – sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 266 c.p.p. e degli artt. 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 2 e 3, l. 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della l. 26 luglio 1975, n. 354 («Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà»). Il processo penale di cui la Corte rimettente era stata investita si fondava, difatti, su una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché di missive spedite e ricevute in carcere dall’imputato, dalle quali il giudice di primo grado aveva inferito l’esistenza di un progetto criminoso volto a consolidare il potere della famiglia dello stesso imputato sul territorio e a consumare una serie di specifici fatti delittuosi. Tale corrispondenza era stata copiata all’insaputa del mittente e dei destinatari sulla base di un provvedimento di autorizzazione emesso dal giudice procedente, senza essere sottoporla a sequestro ai sensi dell’art. 254 c.p.p., né a visto di controllo ai sensi degli artt. 18 e 18-ter dell’ordinamento penitenziario. Ai fini della condanna erano poi state utilizzate, invece, le sole dichiarazioni rese dai coimputati sul contenuto di alcune di tali missive, di cui era stata data lettura in dibattimento, per le contestazioni nel contraddittorio delle parti. Il primo giudice di appello aveva, poi, condannato gli imputati per i delitti di tentata estorsione aggravata, associazione mafiosa, associazione finalizzata al narcotraffico, omicidio volontario aggravato e connessi reati in materia di armi. Successivamente, la sentenza di condanna, limitatamente al delitto di omicidio volontario e ai reati in materia di armi, era stata annullata e il giudizio rinviato proprio dinanzi alla Corte di assise d’appello di Reggio Calabria. Quest’ultima, aveva dunque precisato alla Corte costituzionale che, per valutare adeguatamente la responsabilità dell’imputato nel giudizio di rinvio, riteneva necessario l’integrale esame del contenuto della corrispondenza postale inviata e ricevuta dall’imputato in carcere, e si trovava, tuttavia, a non poter [continua..]

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