La corrispondenza tra avvocato ed assistito, quantunque detenuto, va tutelata come diritto soggettivo “privilegiato” secondo i parametri convenzionali. Secondo la Corte e.d.u., agli Stati membri è consentito un margine di discrezionalità, ai sensi del § 2 dell’art. 8 Cedu, per la limitazione dell’esercizio dei diritti individuali; pertanto, la corrispondenza con il proprio difensore può essere compressa solo in alcuni casi eccezionali e tassativi.
The correspondence between the lawyer and the assisted, although prisoner, must be protected as a subjective "privileged" right according to the conventional parameters. According to the Court e.d.u., Member States are allowed a margin of discretion, according to § 2 of the art. 8 of the ECHR, to limit the exercise of individual rights; therefore, correspondence with one’s lawyer can only be compressed in some exceptional and mandatory cases.
Comunicazioni scritte tra detenuto e difensore nell'impianto vigente - (Segue): Il divieto probatorio - La salvaguardia sovranazionale - (Segue): Una recente pronuncia della corte E.D.U. - (Segue): Una prassi comune - Questioni aperte - NOTE
La comunicazione tra l’avvocato e il proprio assistito è garantita dalla segretezza [1] in modo che nessuno oltre i due interlocutori possa percepire o apprendere i relativi contenuti [2], anche in ragione della “confidenza” [3] instaurata con il proprio difensore. Sul piano generale, nell’ordinamento costituzionale la norma cardine in materia di comunicazioni riservate risiede nell’art. 15 che definisce “inviolabili (…) la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, precisando che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Tuttavia, per una ricostruzione completa della nozione di “corrispondenza” appare opportuno avere riguardo oltre alla fonte costituzionale, evocata dall’art. 15 Cost., anche al codice di rito (artt. 254, comma 1, e 353, comma 3) e al codice penale (artt. 616 ss.) [4]. In particolare, tradizionalmente, il diritto di corrispondenza tra avvocato e detenuto è stato ancorato al segreto professionale, diretto ad escludere l’intromissione inquirente dal flusso di notizie dominato da un rapporto giuridico instaurato con un esperto di propria fiducia; tuttavia, con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale [5], l’esegesi si è aperta ad altre prospettive: non è tanto il sigillo della segretezza imposto ai legami professionali a inibire la manus iniectio ma la funzionalità difensiva dei flussi comunicativi, destinati all’attività difensiva [6]. Entra in gioco, soprattutto, il diritto di cui all’art. 24 Cost. in quanto l’immunità investigativa non si arresta ad una “copertura” di qualunque rapporto riservato ma coinvolge la libertà di difesa, “la quale si realizza in ispecie nel legame imputato-difensore e, quindi, nel carteggio confidenziale tra i medesimi” [7]. Il diritto di difesa, infatti, si esplica nello sviluppo della personalità dell’imputato in ambito giudiziario consentendo all’individuo, ancorché detenuto, di esercitare senza condizionamenti o vincoli una libertà costituzionale. A questo fine, l’art. 2, n. 4 l. n. 81/1987, contenente la direttiva della «previsione di garanzie per la [continua ..]
L’art. 103 c.p.p. al comma 6 vieta «il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato [21] e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato». Tale disposizione [22] si riferisce all’imputato in genere, sia libero che “in vinculis”, e costituisce un indubbio ampliamento delle garanzie difensive [23] in quanto il legislatore ha voluto estendere l’ambito del divieto, ricomprendendovi anche il semplice controllo, ossia la presa di visione del contenuto dell’atto senza lo spossessamento [24]. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, la ratio della disciplina va individuata nella tutela della riservatezza, necessaria all’attività difensiva e corollario del segreto professionale specifico [25]: non in relazione allo svolgimento del ruolo dell’avvocato, genericamente inteso, quanto in funzione dell’attività svolta in una precisa lite giudiziaria [26]. Secondo altra prospettiva più evoluta, invece, occorre valorizzare il diritto di difesa in senso più ampio [27]; e la “copertura” non si arresta al medesimo procedimento per il quale sia stato assunto il mandato o all’ipotesi in cui l’attività difensiva sia ancora in corso [28], potendosi riferire anche a iniziative del difensore preventive (si fa riferimento alle indagini difensive) o successive ad un determinato giudizio (ad esempio per valutare una revisione del processo), essendo sufficiente che, in qualche misura, un rapporto professionale risulti effettivamente o comunque permanga [29]. In tale dimensione, si è anche ritenuto che non sia assolutamente necessario il conferimento di uno specifico e formale mandato difensivo potendolo desumere dalla natura stessa dell’incarico [30]. In ogni caso, la tutela vale anche per il patrocinio espletato dal professionista nominato d’ufficio [31]. Il confine viene segnato dalla giurisprudenza italiana in relazione ad atti o notizie privi di una finalizzazione attuale all’espletamento delle funzioni difensive [32]. L’art. 103, comma 6, c.p.p., letto con il combinato disposto di cui all’art. 35 norme att. c.p.p., esclude [continua ..]
Più in generale, il diritto pattizio statuisce che «nessuno può essere sottoposto a interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza (…); ogni individuo ha diritto di essere tutelato contro tali interferenze» (così l’art. 17 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea delle Nazioni Unite). In termini pressoché identici si esprime anche l’art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, approvata dalla Assemblea Generale dell’ONU il 10 dicembre 1948. L’art. 5 Cedu [51], in combinato disposto con gli artt. 2, 3, 6, 8-11, circoscrive lo statuto dei diritti delle persone recluse (a cui, a vario titolo, fanno riferimento le fonti internazionali in materia, come, ad es., Principles for the Protection of All Persons under Any Form Detention or Imprisoment, United Nations General Assembly, del 9 dicembre 1988; Basic Principles on the Role of Lawyers, United Nations Congress on the Prevention of Crime and the Treatment of Offenders, Havana, Cuba, del 27 settembre 2009). Come noto, poi, se gli artt. 2 e 3 Cedu garantiscono forme di protezione “assoluta”, le disposizioni degli artt. 8-11 sono, invece, soggette a limiti la cui previsione rientra nel margine di apprezzamento dello Stato membro. In particolare, secondo l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo stabilisce che «Ogni individuo ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui». Al di là della privatezza della corrispondenza del singolo, con riferimento al detenuto e limitatamente alla libertà di [continua ..]
Un cittadino turco, condannato alla pena dell’ergastolo, senza possibilità di liberazione condizionale, per reati di terrorismo ed eversione dell’ordine costituzionale, è stato sottoposto a sequestro in carcere di un plico speditogli dal proprio avvocato contenente un libro, una rivista scientifica e un settimanale [62]. Costui ha lamentato che tale decisione aveva violato il suo diritto a tenere conversazioni riservate con il proprio avvocato; inoltre, egli ha denunciato una violazione dell’art. 6 Cedu, in quanto non è stato ascoltato personalmente nei procedimenti giudiziari di reclamo avverso il diniego della consegna del plico in questione. Secondo l’autorità turca, invece, in base alla legislazione di settore [63] era consentito limitarne lo scambio in quanto il soggetto (condannato per reati in materia di terrorismo) era ritenuto “pericoloso”. Nel caso di specie, la decisione impugnata è stata emessa sul presupposto che la condotta dell’avvocato è stata incompatibile con il patrocinio difensivo nella misura in cui costui aveva inviato al ricorrente libri e periodici non collegati alla sua difesa. La Corte osserva che, sebbene la lettera e lo spirito della disposizione nazionale in vigore al momento dei fatti siano sufficientemente precisi – a parte l’assenza di limiti temporali della restrizione –, l’interpretazione e la decisione data dal tribunale nazionale sono manifestamente irragionevoli e quindi in violazione dell’art. 8 § 2 della Convenzione. Inoltre, la stessa sottolinea che il diritto alla comunicazione riservata con il difensore non è assoluto, ma può essere contenuto, ammettendo limitazioni in caso di comunicazioni con un’organizzazione terroristica, commissione o copertura di un crimine, sicurezza dello stabilimento carcerario; tuttavia, tali contenimenti devono essere prevedibili per gli interessati, devono perseguire uno o più obiettivi specifici ed essere necessari. Le restrizioni all’esercizio del diritto di difesa sono, dunque, legittime solo laddove previste dalla legge e solo nella misura in cui si rivelino strettamente necessarie alla tutela degli interessi sopra menzionati [64]. Nel caso di specie la Corte di Strasburgo rileva che l’invio di libri e pubblicazioni al proprio assistito non è [continua ..]
Interessante è anche la pronuncia del 2018 Laurent contro Francia [66], dove la parte interessata è un avvocato francese che, nell’ambito di un procedimento penale, ha difeso due persone arrestate e accompagnate in udienza dalla scorta della polizia. Alla fine del contraddittorio l’avvocato stava aspettando insieme ai suoi due clienti nell’aula del tribunale, in attesa che il giudice uscisse dalla camera di consiglio, e i predetti gli hanno chiesto un biglietto da visita. Lo stesso ha dato loro le sue coordinate su un foglio piegato e l’agente della polizia ha chiesto di controllarne il contenuto; si tratta di una situazione che si verifica quasi quotidianamente nelle aule giudiziarie italiane. Il ricorrente, lamentando che il poliziotto non ha rispettato la confidenzialità dei suoi scambi con il cliente, ha presentato denuncia al pubblico ministero per violazione del segreto di corrispondenza da parte di un responsabile dell’autorità pubblica. Il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione e l’istante ha presentato opposizione al giudice inquirente, il quale ha emesso ordinanza di non luogo a procedere, poi, confermata dalla Corte d’Appello. Successivamente anche la Corte di cassazione ha respinto l’impugnazione. Nel giudizio dinanzi alla Corte e.d.u., il governo francese, invece, aveva sostenuto che non si trattava di un’ingerenza e che, in ogni caso, l’art. 432, comma 9, del codice penale punisce solo la violazione della segretezza della corrispondenza da parte di un privato e non dell’autorità pubblica. Il ricorrente aveva replicato, nel corso del giudizio, che l’invadenza lamentata non trovava un divieto in detta disposizione di legge bensì nell’articolo R. 57-6-7 del codice di procedura penale, relativo al controllo della corrispondenza tra detenuto e difensore. La Corte e.d.u. ha statuito che l’articolo 8 della Convenzione protegge la riservatezza delle comunicazioni, indipendentemente dal contenuto e dalla forma che esse assumono, considerando il foglio piegato, sul quale l’avvocato ha scritto il messaggio consegnato ai propri clienti, come corrispondenza protetta ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, è stata ravvisata un’intrusione indebita sul diritto alla corrispondenza. I giudici di Strasburgo hanno rilevato che i clienti del [continua ..]
La giurisprudenza europea, anche all’esito degli ultimi sviluppi, tutela la corrispondenza scritta in ragione non tanto del diritto di difesa quanto della “vita privata” del detenuto, postulando che la protezione dev’essere riconosciuta al recluso al pari del soggetto libero [68]. Di conseguenza, tutte le misure di controllo o di ritardo nella consegna della posta da parte delle autorità penitenziarie costituiscono compressioni che saranno ammissibili solo se rispondenti alle esigenze del paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione e.d.u. È probabile, in ogni caso, che il dibattito circa la natura dell’interesse tutelato non si arresterà alla sola tutela della vita privata o al diritto di difesa, trattandosi di una prerogativa connessa alla dignità dell’individuo in un sistema democratico. Restano aperti, inoltre, alcuni problemi pratici: come evitare abusi e come sanzionare ingerenze contra legem. In assenza di regole relative alle modalità di esercizio delle suddette potestà, l’ingerenza dovrebbe essere ritenuta sempre illegale ed eventuali risultati inutilizzabili. La sfera del potere, poi, dovrebbe essere circoscritta a casi particolari che manifestino la prevedibilità delle condotte censurabili. Sul piano concreto, peraltro, se è vero che i controlli penitenziari preventivi sono giustificati dall’esigenza di verificare l’assenza di oggetti vietati nelle buste (es. droga, ecc.) o di trattenere la posta contenente corpi di reato, minacce precise alla sicurezza delle persone o degli istituti, è altresì vero che occorrono situazioni indiziarie attuali. E, in ogni caso, in un apparato accusatorio, il rispetto della corrispondenza con l’avvocato va rafforzato: indipendentemente dal contenuto, occorre assicurare la “confidenzialità” propedeutica ad un esercizio effettivo del diritto di difesa.