Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Impossibilità di confiscare il profitto illecito conseguito dalla società e sequestro per equivalente sui beni degli amministratori (di Lorenzo Belvini)


La Corte di cassazione ha statuito che, nei confronti dell’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere eseguito solo se è impossibile aggredire in via diretta il profitto del reato; ma occorre prima realizzare la ricerca del profitto tra i beni della persona giuridica destinataria dell’illecito arricchimento. Il principio espresso dalla Suprema corte ha il pregio di tracciare i presupposti del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, in particolare valorizzando il vincolo di sussidiarietà previsto dall’art. 322-ter c.p.

Inability of confiscation the company’s illegal profits and the seizing of the CEO’s property the value of which corresponds to that of the company’s illegal profits

The Supreme Court ruled that the seizing and confiscation of the assets and the goods belonging to the CEO are allowed only when it is not possible to attack the company’s illegal profits.

LA VICENDA Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione chiarisce i limiti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sui beni dell’amministratore di una società. In particolare, si delineano i rapporti che intercorrono tra la confisca diretta del profitto del reato e quella per “equivalente” in relazione alla possibilità di procedere o meno al sequestro senza una concreta verifica circa la presenza del patrimonio illecito presso la persona giuridica. Va premesso che, nel caso di specie, il g.i.p. disponeva con decreto, emesso su richiesta del pubblico ministero, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente dei beni degli amministratori indagati per il delitto previsto dall’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ai quali veniva contestata l’omessa dichiarazione annuale, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto con riferimento ad una società “esterovestita” [1]. Il Tribunale del riesame, accogliendo la richiesta proposta dalla difesa, ha annullato detto sequestro, rilevando che era stato disposto in assenza della verifica relativa alla impossibilità di procedere, seppur per cause transitorie, al sequestro diretto presso la società beneficiaria del profitto del reato. Contro l’annullamento del decreto di sequestro ha proposto ricorso per Cassazione il pubblico ministero deducendo che il Tribunale del riesame aveva adottato una motivazione apparente, in quanto non aveva considerato che il profitto del reato consisteva in un omesso versamento, quindi una res non economicamente valutabile, che non aveva incrementato il patrimonio della società, escludendosi pertanto la possibilità di procedere al sequestro del profitto del reato. La Suprema Corte, nel respingere il ricorso, ha osservato che la condizione legittimante il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è la concreta mancanza del profitto diretto del reato. Sul terreno della motivazione, sarebbe stato necessario spiegare perché non era realisticamente possibile procedere al sequestro diretto nei confronti della società beneficiaria del delitto tributario. Nel caso di specie, né il pubblico ministero né il g.i.p. avevano giustificato detta impossibilità, di procedere al sequestro diretto. La Corte inoltre ha chiarito che l’impossibilità di procedere al sequestro diretto può essere anche solo “transitoria” e “reversibile”. La decisione si pone in linea di continuità con i più recenti approdi delle Sezioni Unite [2], che hanno sottolineato come l’art. 322-ter c.p. impone un rapporto di sussidiarietà tra la confisca diretta del profitto di reato e quella per equivalente, sotto tale profilo non lasciando margini arbitrari all’intervento del-l’Autorità giudiziaria. Lo [continua..]

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Fascicolo 2 - 2016