Le recenti scelte operate dal legislatore, volte ad estendere l’ambito di applicazione della confisca, rivelano molteplici punti di criticità anche alla luce della sentenza della Corte e.d.u., che si è espressa sul problematico rapporto tra l’ablazione urbanistica (art. 44, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001) e la sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato.
Le successive riflessioni, peraltro, si inseriscono in una più ampia cornice sistematica e normativa, della quale fa parte anche il nuovo art. 578-bis c.p.p.
The recent choices made by the legislator, aimed at extending the scope of the confiscation, reveal multiple critical points also in the light of the Court’s decision e.d.u., which expressed itself on the problematic relationship between urban ablation (art. 44, comma 2, d.p.r. n. 380 of 2001) and the sentence of acquittal for prescription of the crime.
The subsequent reflections, moreover, fit into a broader systematic and normative framework, of which the new art is also part. 578-bis c.p.p.
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Premessa - La confisca in materia edilizia e urbanistica - Gli interventi della corte europea - La sentenza della grande camera - Levoluzione giurisprudenziale - Le questioni ancora aperte - NOTE
La sentenza in commento impone, preliminarmente, di focalizzare l’attenzione, seppur a grandi linee, sulla disciplina di cui all’art. 240 c.p., nel tentativo di comprendere l’istituto della confisca nelle sue articolazioni specifiche ed i profili critici emergenti alla luce della sua applicazione. La confisca – allocata nel Titolo VIII e disciplinata dall’art. 240 c.p. – consiste nell’espropriazione, da parte dello Stato, di cose in varia misura legate ad un reato o di per sé criminose. Benché non sia stato agevole nel tempo trovare un’unica definizione che potesse contenere in sé i suoi vari significati, si rende necessario sottolineare come al termine confisca corrisponda ormai un significato normativo sensibilmente variegato, posto che esso investe un fascio d’istituti sempre meno riducibili a un comune denominatore, specie se si punta l’indagine sulle finalità della misura [1]. L’empasse, difatti, nasce dall’esigenza dell’autorità giudiziaria di ricondurre diverse fattispecie sotto lo schermo protettivo della misura di sicurezza, quale strumento efficace, rischiando di non valutare, tuttavia, i risvolti pratici che da ciò ne derivano, in considerazione, soprattutto, dei principi costituzionali. Procedendo ad una prima analisi del disposto normativo, appare agevole intuire l’intenzione del legislatore di scindere l’articolato in due ipotesi di confisca: l’una facoltativa nel primo comma, il che è suggerito dal verbo “può”, e l’altra obbligatoria, al secondo comma. La confisca facoltativa richiede, perché possa validamente applicarsi, l’esistenza di taluni presupposti, primo fra tutti la presenza di una sentenza di condanna, nonché la non appartenenza del bene da confiscare a persona estranea al reato. Discussa è l’eventualità di individuare, poi, un altro presupposto nella pericolosità della cosa [2]: tale ulteriore requisito si renderebbe necessario, pur nel silenzio dell’art. 240, comma 1, c.p., in ossequio alla disciplina comune a tutte le misure di sicurezza. In ogni caso, pare utile rammentare che il giudice, nel disporre la confisca de qua, dovrà egli stesso adeguatamente valutare la pericolosità della cosa, attraverso un giudizio prognostico avente ad oggetto la possibile perpetrazione del [continua ..]
Una speciale ipotesi di confisca èdisciplinata dall’art. 44 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, il cui comma 2 prevede che il giudice, a seguito di una sentenza definitiva che ha accertato il reato di lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni e delle opere ivi costruite. La norma in esame, pertanto, va interpretata nel senso che la confisca dei terreni e delle opere può essere disposta anche in assenza di condanna, purché vi sia stato un accertamento della lottizzazione abusiva [3]. Tale orientamento [4] si fonda essenzialmente sull’assunto che la norma, ai fini della confisca, ritiene sufficiente una sentenza (anche non di condanna) che accerti la lottizzazione abusiva. La confisca de qua, dunque, avrebbe natura di sanzione amministrativa e non di misura di sicurezza o di pena e, per tale ragione, l’assenza di una condanna non sarebbe di ostacolo alla sua applicazione. A ben vedere, la confisca di cui all’art. 44 del d.p.r. n. 380 del 2001 è istituto ontologicamente diverso da quello disciplinato nell’art. 240 c.p. Difatti, emerge come, da un lato, la confisca prevista dalla legge speciale preveda una vera e propria espropriazione a favore dell’autorità comunale, mentre la confisca codicistica, dall’altro, rappresenta una espropriazione a favore dello Stato. Da ciò deriva che la prima non è una misura di sicurezza patrimoniale, ma si sostanzia al pari, ad esempio, dell’ordine di demolizione delle opere edilizie abusive di cui all’art. 31, comma 9, d.p.r. 380 del 2001, in una mera sanzione amministrativa, applicata dal giudice penale, in via di supplenza rispetto al potere amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune (ai sensi dei commi 7 e 8 dell’art. 30 d.p.r. 380 del 2001). La confisca urbanistica è, dunque, obbligatoria a prescindere da una sentenza di condanna, atteso che essa è conseguenza di un’opera realizzata in mancanza di autorizzazione o in contrasto con gli strumenti urbanistici. Contrariamente, a quanto previsto dall’art. 240 c.p., nel caso in esame, le opere abusive non sono intrinsecamente pericolose o strumenti teleologicamente necessari alla commissione del reato. Ancora, a differenza di quanto dispone in via derogatoria l’ultimo comma dell’art. 240 c.p., la confisca urbanistica resta obbligatoria anche se [continua ..]
La Corte europea ha, sul punto, progressivamente, elaborato un vero e proprio statuto europeo della confisca, ovvero una serie di principi minimi di garanzia che qualunque provvedimento di confisca deve rispettare, riconducibili, in particolare, al principio di legalità ed irretroattività in materia penale, al principio di presunzione d’innocenza e, più in generale, al principio del giusto processo. Al riguardo, non può sfuggire in via di premessa che la Corte di Strasburgo ha enucleato, in occasione della sentenza Engel c. Paesi Bassi (prima decisione che affronta il tema) [5], i criteri diagnostici della natura penale di una sanzione, che è tale se esiste: a) consequenzialità della misura rispetto alla condanna per un reato; b) natura e scopo della misura; c) qualificazione operata dal diritto interno (o, in sua vece, dalla giurisprudenza); d) procedure di applicazione ed esecuzione; e) grado di afflittività. La Corte, inoltre, stabiliva, sempre con la medesima decisione, che la confisca in materia urbanistica costituisce una vera e propria sanzione penale, come tale inapplicabile a fatti commessi precedentemente la sua entrata in vigore in forza dell’art. 7 CEDU. Misura, dunque, intesa non di natura accessoria e/o amministrativa, bensì come vera e propria pena. Di immediato impatto sull’ordinamento italiano è, poi, la nota sentenza resa della Corte Europea nel caso Sud Fondi s.r.l. c. Italia [6]. La pronuncia prende avvio da un procedimento penale concernente il complesso immobiliare di Punta Perotti, conclusosi, dopo un pluriennale iter giudiziario, con l’assoluzione degli imputati dai vari illeciti loro ascritti, tra i quali il reato di lottizzazione abusiva. La Corte di Cassazione [7] aveva definitivamente affermato che la lottizzazione era da considerarsi abusiva, in quanto non eseguita in conformità alla legislazione di riferimento. Al contempo, però, aveva riconosciuto l’oggettiva “oscurità” del predetto quadro normativo, che aveva cagionato un errore scusabile sulla legge penale alla quale era conseguita l’assoluzione degli imputati ex art. 5 c.p. Attesa, tuttavia, la sussistenza del reato nella sua dimensione materiale, la Corte di Cassazione aveva disposto la confisca di tutti i terreni abusivamente lottizzati e delle opere ivi costruite, ai sensi e per gli [continua ..]
Dopo una lunga attesa dalla celebrazione dell’udienza, il 28 giugno 2018 è stata depositata la decisione GIEM e a. c. Italia [11], con la quale la Corte e.d.u., Grande Camera, si è espressa, anzitutto, sul problematico rapporto tra la confisca urbanistica, ex art. 44, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 e la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato. L’articolata vicenda riguardava più ricorsi concernenti l’irrogazione della confisca di numerosi suoli, oggetto di lottizzazione abusiva, in assenza di una condanna: ragion per cui i ricorrenti, quattro società e una persona fisica, contestavano che la misura ablatoria non fosse dotata di una sufficiente base giuridica. La Grande Camera, riprendendo quanto già ampiamente sostenuto nei precedenti casi, ha ribadito che la confisca urbanistica è certamente una “sanzione penale particolarmente dura ed intrusiva”. Inoltre, i giudici di Strasburgo, rigettando completamente l’assunto per cui i giudici italiani agiscono, in materia di confisca, in luogo dell’autorità amministrativa, hanno confermato, per l’ennesima volta, la natura penale della confisca prevista dall’art. 44, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001. Ne discende, come imprescindibile corollario, che ad essa devono essere applicate tutte le garanzie convenzionali ricollegate alla nozione di “materia penale”, in termini di rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, del nullum crimen sine lege ex art. 7 CEDU, nonché delle garanzie del doppio grado di giurisdizione ai sensi degli artt. 2 e 4 Prot. 7 CEDU. Non stupisce, dunque, l’ennesima accertata violazione del diritto di proprietà di cui all’art. 1 Prot. add. CEDU da parte dello Stato italiano, a causa della natura sproporzionata e poco flessibile della misura ablatoria, rispetto alle finalità perseguite, ossia la protezione dell’ambiente e la tutela del paesaggio. Il tutto avvenuto, per di più, in assenza di contraddittorio. Dunque, la Grande Camera, rispetto ai rilievi che in questa occasione si intende sottolineare, ha sostanzialmente assunto le seguenti determinazioni: – la confisca de qua non è né una sanzione amministrativa [12] né tantomeno una misura di sicurezza, ma, certamente, una sanzione penal-afflittiva, che [continua ..]
Sul punto, la Corte di cassazione [13], alla luce della sentenza Varvara, aveva sostenuto, con un primo arresto giurisprudenziale, che è preclusa la confisca dei beni quando non viene pronunciata una condanna per il reato di lottizzazione abusiva e che «la misura non potrebbe perciò essere più adottata quando il reato è prescritto, nonostante sia stata, o possa venire, anche incidentalmente, accertata la responsabilità personale di chi è soggetto alla confisca”, perché ciò si porrebbe “in contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, comma 2, Cost., in quanto determinerebbe una forma di iperprotezione del diritto di proprietà, nonostante il bene abusivo non assolva ad una funzione di utilità sociale (artt. 41 e 42 Cost.), con il sacrificio di principi di rango costituzionalmente superiore, ovvero del diritto a sviluppare la personalità umana in un ambiente salubre (artt. 2, 9 e 32 Cost.).». Per altro verso, con ordinanza del 17 gennaio 2014 [14], il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica, sollevava una questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001, in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui consente che la confisca urbanistica dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite venga disposta anche in una sentenza che dichiari estinto il reato per intervenuta prescrizione [15]. Il rimettente, difatti, reputava che la possibilità di disporre la confisca urbanistica fosse in contrasto con una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione. All’uopo, la Corte costituzionale (sentenza n. 49 del 2015), nel dichiarare inammissibile la questione, con specifico riferimento al rapporto estinzione del reato – confisca urbanistica, sottolineava che la questione della disputa sottendeva un ben più importante quesito: quando il legislatore ragiona in termini di condanna, si riferisce al provvedimento ovvero all’accertamento della responsabilità, benché seguito da un’eventuale sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato? La medesima Corte concludeva che «nell’ordinamento giuridico italiano, la [continua ..]
La Corte di cassazione, con la sentenza del 9 febbraio 2019, ritiene compatibile “la confisca urbanistica e la pronuncia di una sentenza di prescrizione”, pienamente conforme ai principi convenzionali, «dovendosi invece appurare l’attenzione sul dato sostanziale dell’avvenuto accertamento dell’esistenza del reato e della colpevolezza dell’imputato, attuando tutte le garanzie proprie della natura penale della sanzione irrogata». Così come articolato dalla giurisprudenza, difatti, il ragionamento condurrebbe ad un’abrogazione tacita dell’art. 129 c.p.p., in quanto il giudice, dovendo procedere all’accertamento della fattispecie abusiva, nelle sue accezioni oggettive e soggettive, senza in alcun modo eludere il diritto alla difesa e al contraddittorio, non sarà più obbligato alla immediata declaratoria di avvenuta estinzione del reato, benché lo stesso sia già ampiamente prescritto [21]. Si andrebbe, in questo modo, ad estendere, pericolosamente, il potere dispositivo del giudice, a discapito dei diritti dell’imputato. La prescrizione del reato determina, com’è noto, l’estinzione dello stesso sul presupposto che, a distanza di molto tempo, viene meno l’interesse dello Stato sia a punire un comportamento penalmente rilevante, sia a tentare il reinserimento sociale del reo [22]. Se si guarda la ratio sottesa all’istituto della prescrizione, si può agevolmente affermare che il legislatore abbia previsto termini diversi a seconda del bene giuridico tutelato, ingenerando nell’interprete l’idea che gli stessi siano stati di volta in volta ponderati, anche alla luce dell’intervenuto disinteresse dello Stato rispetto alla punizione e/o riabilitazione sociale del reo. A fronte, dunque, della scelta del legislatore del 2001 (epoca di approvazione del Testo unico sull’edilizia), la sentenza annotata novella, in sostanza, la disciplina richiamata, consentendo all’autorità giudiziaria di imputare sine die un soggetto, al solo fine di accertare l’esistenza di un fatto illecito, non tanto per una condanna, quanto per punire l’illecito commesso con una confisca. Tale ultimo assunto risulta essere in contrasto, addirittura, con una chiara ed espressa voluntas del legislatore, che ha dettato, in materia edilizia ed urbanistica, una [continua ..]