Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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I colloqui difensivi dal codice Rocco alla riforma dell'ordinamento penitenziario (di Danila Certosino)


Il colloquio tra difensore e assistito in vinculis rappresenta l’espressione più intensa del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. e, pertanto, deve essere efficacemente garantito sin dal momento iniziale in cui il soggetto venga ad essere privato della libertà personale, ammettendo ipotesi di dilazione, nel corso delle indagini preliminari, solo in presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela. Nel corso degli anni, l’istituto de quo ha subìto diverse modifiche legislative – tra cui si annoverano da ultimo la riforma Orlando e la riforma sull’ordinamento penitenziario –, che, pur orientate a riconoscere effettività e concretezza al diritto del detenuto di avvalersi di quel necessario “supporto tecnico” indispensabile per apprestare un’adeguata strategia difensiva, si sono, tuttavia, rivelate di scarsa portata dal punto di vista delle garanzie.

The defensive interviews from the Rocco code to the reform of the penitentiary system

The interview between defender and assisted in vinculis represents the most intense expression of the right of defence protected by the art. 24 of the Constitution and, therefore, must be effectively guaranteed from the initial moment in which the subject is deprived of personal freedom, admitting hypotheses of deferment of the same, during preliminary investigations, only in the presence of specific and exceptional reasons of caution . Over the years, the institution in question has undergone several legislative changes – including, most recently, the Orlando reform and the reform of the prison system – which, while aimed at recognising the effectiveness and concreteness of the right of prisoners to avail themselves of the necessary "technical support" necessary to prepare an adequate defence strategy, have, however, proved to be of limited scope from the point of view of guarantees.

SOMMARIO:

La disciplina poco garantista del codice del 1930 - La riforma del 1988 e l'ampliamento di tutela - Le modifiche apportate dalla legge n. 332 del 1995 - La riforma Orlando - Le novità introdotte alla disciplina sull'ordinamento penitenziario - NOTE


La disciplina poco garantista del codice del 1930

Il colloquio tra l’indagato destinatario di un provvedimento limitativo della libertà personale e il difensore rappresenta il primo significativo momento di esplicazione del diritto di difesa [1] nelle ipotesi di applicazione di misure restrittive, «qualificandosi l’instaurazione della relazione tra professionista e interessato come un contatto ineludibile per concordare le strategie difensive» soprattutto in vista dell’in­terrogatorio [2]. Sotto la vigenza del codice Rocco, l’istituto de quo si inquadrava come attività sostanzialmente ammi­nistrativa demandata all’autorità giudiziaria [3]; il legislatore del 1930, «ben lungi dal configurare la difesa come “funzione” processuale» [4], aveva subordinato l’esperibilità del colloquio fra difensore e im­pu­tato detenuto ad un provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria procedente, che – ai sensi dell’art. 135 c.p.p. Rocco [5] – avrebbe potuto essere rilasciato solo dopo l’assunzione degli interrogatori [6]. La questione era, pertanto, rimessa alla totale discrezionalità dell’organo giudicante, non sussistendo un preciso diritto [7]; solamente alla fine della fase istruttoria il difensore poteva conferire con l’im­putato senza bisogno di autorizzazione, quando oramai – come è stato autorevolmente evidenziato – la situazione era «per lo più gravemente pregiudicata» [8]. Tale previsione si traduceva non solo in una limitazione dell’attività difensiva, ma più ancora «in uno svilimento dell’autonomia della funzione professionale» che veniva subordinata «alla concessione di permessi da parte del giudice o, peggio ancora, del pubblico ministero» [9]; nei casi connotati da maggiore gravità – dove le indagini istruttorie potevano durare anche due anni – l’imputato poteva, addirittura, vedersi negata la possibilità di interloquire con il proprio patrono per un lungo periodo di tempo [10]. Si trattava di una regolamentazione che teneva in scarsa considerazione le esigenze difensive del­l’imputato in custodia, che proprio durante le prime fasi del processo aveva maggiore bisogno dell’assi­stenza del difensore ai fini [continua ..]


La riforma del 1988 e l'ampliamento di tutela

Con l’entrata in vigore del codice del 1988 ed il passaggio ad un sistema di stampo accusatorio, la di­sciplina “poco garantista” delineata dall’art. 135 cod. abr. è stata, finalmente, superata dalla formulazio­ne normativa enucleata nell’ambito dell’art. 104 del “nuovo” codice di procedura penale [22]; il criterio della “benevola” concessione da parte del giudice [23] è stato sostituito da quello del “diritto al colloquio” [24], previsto sia dalla legge delega 3 aprile 1974, n. 108, che dalla legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, secondo, però, differenti formulazioni. Nella prima, il diritto al colloquio con il difensore era stato contemplato dal momento “immediatamente” successivo al primo interrogatorio davanti al magistrato [25], mentre la legge delega del 1987 [26] ha previsto anche la possibilità che avvenga subito dopo, ma non oltre sette giorni dall’esecuzione del provvedimento limitativo della libertà personale [27]. Traducendo in norma il principio sancito dall’art. 2, n. 6, l.d., l’art. 104 c.p.p. [28] ha svincolato il colloquio da qualsiasi provvedimento autorizzativo, statuendo il diritto “assoluto, disponibile ed incondizionato” [29] dell’im­putato in stato di custodia cautelare di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della misura (art. 104, comma 1, c.p.p.) e della persona arrestata o fermata di interloquire subito dopo l’arresto o il fermo (art. 104, comma 2, c.p.p.), così da garantire l’attuazione immediata di un’efficace assistenza tecnica [30]. L’equiparazione tra le varie figure soggettive [31] risponde, così, ad un’esigenza di razionalità del sistema «trattandosi in ogni ipotesi di soggetti che vengono privati della libertà personale in virtù di provvedimenti per i quali sono previste dinamiche procedimentali in cui necessariamente si inseriscono significativi spazi di assistenza difensiva» [32]. Secondo la nuova disciplina l’indagato o imputato in stato di restrizione ha diritto di essere ammesso a colloquio con il proprio difensore anche prima di rendere l’interrogatorio, e ciò per la natura di strumento di difesa – e non più di ricerca della [continua ..]


Le modifiche apportate dalla legge n. 332 del 1995

Il sistematico differimento dell’esercizio del diritto al colloquio con il difensore da parte della persona in vinculis ha rischiato di produrre lo svuotamento della stessa regola dettata dai primi due commi dell’art. 104 c.p.p., tanto da suggerire la soppressione tout court di una norma che «disegna in termini di non trascurabile discrezionalità un potere (…) il cui esercizio è modulato sul duplice parametro della specificità e della eccezionalità delle esigenze cautelari da salvaguardare, senza peraltro che la sua osservanza sia corroborata da sanzione processuale né supportata dal testuale assoggettamento a impugnazione» [67]. La soluzione più radicale è subito apparsa impraticabile sul piano operativo; così, il disegno di riforma si è indirizzato piuttosto nel senso di restringere le dimensioni temporali del differimento, al fine di imporre «un diverso e più soddisfacente punto di equilibrio fra la duplice necessità, da una parte, di impedire che il colloquio del difensore con l’indagato detenuto si trasformi in un fattore inquinante dagli effetti potenzialmente rovinosi per lo sviluppo delle indagini e, dall’altra, di garantire una piena e immediata attuazione del diritto di difesa indipendentemente dall’assoggettamento dell’indagato a prov­vedimento restrittivo della libertà personale» [68]. Durante i lavori preparatori della l. 8 agosto 1995, n. 332, il legislatore si è orientato in favore della difesa: il testo predisposto dal Comitato ristretto presso la Commissione Giustizia della Camera prevedeva, così, all’art. 1, una riduzione del termine massimo della dilazione da sette a tre giorni, garantendo in ogni caso all’indagato un margine di due giorni per le consultazioni difensive prima dello svolgimento dell’interrogatorio stesso [69]. Tale soluzione non apparve, tuttavia, adeguata [70] perché il messaggio lanciato avrebbe avuto, in questo modo, effetti dirompenti dal punto di vista sistematico [71]; anche la modifica de qua doveva, infatti, annoverarsi nel quadro degli interventi ispirati a una sempre più avvertita necessità di rafforzamento della funzione di garanzia e di terzietà assegnata dal codice del 1988 alla figura del giudice per le indagini preliminari. [continua ..]


La riforma Orlando

Con l’entrata in vigore della l. 23 giugno 2017, n. 103, c.d. “Riforma Orlando”, l’istituto dei colloqui tra soggetto in vinculis e difensore ha subìto ulteriori sostanziali modifiche. L’art. 104, comma 3, c.p.p. è stato, infatti, sottoposto ad un significativo ritocco da parte del legislatore [81]: in particolare, la previsione circoscrive, attualmente – a seguito della modifica operata dall’art. 1, comma 25, l. 103/2017 –, la possibilità del differimento del colloquio nella fase delle indagini preliminari soltanto ad alcune categorie di reato, ovvero quelle connotate da maggior allarme sociale, delineate dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., per le quali opera il pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente [82]. La ratio della previsione de qua risiederebbe nella esigenza di contenere la lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, restringendo le ipotesi in cui il diritto “assoluto” dell’indagato/imputato in stato di restrizione di conferire immediatamente con il proprio legale possa essere compresso [83]. Nonostante il nobile intento, non ci si può esimere dal sottolineare come la novella legislativa abbia suscitato più di una perplessità [84]; obiezioni significative sono state formulate dall’Unione delle Camere Penali Italiane, che, già immediatamente dopo la pubblicazione del disegno di legge, hanno espresso un parere negativo sulla modifica legislativa in tema di colloqui difensivi, sottolineando espressamente la loro contrarietà alla stessa e suggerendo l’integrale abrogazione dell’art. 104, commi 3 e 4, c.p.p. In particolare, l’UCPI ha precisato che quanto legiferato è l’inevitabile conseguenza non «di una valutazione circa la pericolosità del soggetto arrestato o sottoposto a custodia cautelare in carcere, quanto piuttosto di una inaccettabile manifestazione di totale sfiducia nei confronti del difensore e del suo ruolo», considerando del tutto paradossale la limitazione del relativo colloquio proprio per i reati più gravi, per i quali la persona arrestata necessita di un maggior confronto tecnico e, pertanto, dovrebbe poter interloquire con il legale immediatamente [85]. La nuova disciplina si pone, [continua ..]


Le novità introdotte alla disciplina sull'ordinamento penitenziario

In attuazione della delega sulla riforma dell’ordinamento penitenziario contenuta nella l. 103/2017 [90], l’art. 11, lett. g) del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, ha da ultimo introdotto importanti modifiche all’art. 18 l. 26 luglio 1975, n. 354, in tema di colloqui e corrispondenza con il difensore. Com’è noto, l’articolo de quo, nella sua originaria formulazione, non conteneva alcuna specifica indicazione relativamente alla possibilità da parte del condannato di avere colloqui con il proprio difensore; nel silenzio del codice di rito circa i colloqui dei difensori con i detenuti “definitivi”, la prassi era inizialmente orientata nel senso di applicare le circolari amministrative del D.A.P. in tema di colloqui con persone diverse dai congiunti e dai conviventi, le quali, nell’esigere l’autorizzazione del direttore dell’istituto, specificavano, da un lato, che le esigenze connesse alla predisposizione della difesa tecnica integrassero senz’altro i “ragionevoli motivi” richiesti per la concessione del colloquio, escludendo, dall’altro lato, che gli incontri con il difensore fossero computati nel “monte mensile” riconosciuto al condannato [91]. Con la recente riforma – che ha recepito a livello normativo il dictum della sentenza “addittiva” della Corte Costituzionale n. 212/1997 [92] – è stato aggiunto all’art. 18 ord. pen., dopo il primo, un nuovo comma, che contempla il diritto, per i detenuti e gli internati, di “conferire con il proprio difensore sin dal­l’inizio dell’esecuzione della misura o della pena” [93], salve le limitazioni previste dall’art. 104 c.p.p. [94]. La modifica operata è posta a garanzia del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., affinché non subisca indebite compressioni nei riguardi dei soggetti detenuti in fase esecutiva; tra l’altro, merita evidenziare come la stessa Corte Europea annoveri il diritto di comunicare confidenzialmente con il proprio difensore tra i principi fondamentali di un processo equo, precisando che, se un avvocato non potesse intrattenersi con il suo cliente senza essere controllato e ricevere istruzioni riservate, la sua assistenza perderebbe molto della sua utilità [95]. Ne deriva che, sia l’imputato, sia il condannato o internato [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2019