Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il rapporto tra la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. e le sanzioni amministrative accessorie (di Federico Lucariello)


L’Autore, partendo dall’analisi di una recente pronuncia della Suprema Corte, esamina gli aspetti sostanziali e processuali della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p.

A valle di tale ricostruzione è valutato il rapporto tra il predetto istituto e le sanzioni amministrative accessorie alle sentenze di condanna. In particolare, ci si sofferma sul quesito se la sentenza ex art. 131-bis c.p. possa costituire valido sostrato per una sanzione amministrativa accessoria ed a chi spetti la relativa comminatoria.

The relationship between the cause of non-punishability ex art. 131-bis c.p. and the accessory administrative sanctions

Starting from the analysis of a recent ruling of the Supreme Court, the Author examines the substantive and procedural aspects of the cause of non-punishability due to the particular tenuousness of the fact referred to in art. 131-bis, criminal code.

Following this reconstruction, the relationship between the aforementioned institution and the administrative sanctions attached to the sentences of conviction is evaluated. In particular, the article tries to answer the question of whether the sentence pursuant to art. 131-bis, criminal code, can be a valid substrate for an accessory administrative sanction and to whom the relative application is entrusted.

SOMMARIO:

Premessa - La particolare tenuità del fatto - Segue: i presupposti applicativi: il limite edittale - Segue: la particolare tenuità dell’offesa - Segue: l’abitualità del comportamento - I profili procedimentali: la particolare tenuità nelle indagini preliminari e nell’udienza preliminare - Segue: la particolare tenuità nelle successive fasi - Particolare tenuità e sanzioni amministrative accessorie - NOTE


Premessa

La Suprema Corte si pronuncia sulla compatibilità tra la sentenza ex art. 131bis c.p. e le sanzioni amministrative accessorie alle sentenze di condanna. Nel caso analizzato, in particolare, un soggetto è stato tratto a giudizio con una contestazione ai sensi degli artt. 31, comma 1 e art. 44, comma 1, lett. c), d.p.r. n. 380 del 2001 e, artt. 142, 146 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, per la realizzazione di opere asseritamente abusive in zona vincolata paesaggisticamente, in assenza del relativo nulla osta. Nel giudizio di merito il reato è stato dichiarato non punibile ai sensi dell’art. 131bis c.p., tuttavia il tribunale ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi ai sensi del d.p.r. n. 380 del 2001, art. 41 e d.lgs. n. 42 del 2004, art. 181. Con un unico motivo di ricorso, l’imputato ha lamentato la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per errata applicazione del d.p.r. n. 380 del 2001, art. 41 e d.lgs. n. 42 del 2004, art. 181. Ciò alla stregua del consolidato orientamento di legittimità per il quale la sentenza di condanna dell’imputato per il reato di cui al d.p.r. n. 380 del 2001, art. 44 costituirebbe presupposto logico e giuridico rispetto all’ordine del giudice penale di demolizione delle opere abusive. Nel rispondere al quesito, i Giudici hanno precisato che l’ordine di demolizione è stato emesso non all’esito della condanna bensì di una sentenza di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p. [1]. Rappresentando questi ordini delle sanzioni amministrative accessorie alla sentenza di condanna, in mancanza di tale specifica sentenza, il relativo potere di disposizione è precluso al giudice penale restando solo in capo all’autorità amministrativa.


La particolare tenuità del fatto

Per comprendere la portata della sentenza in commento è utile ripercorrere l’iter logico seguito dai giudici di legittimità, e dunque, analizzare compiutamente l’ipotesi della particolare tenuità del fatto, salvo poi valutare la compatibilità con la stessa delle sanzioni amministrative accessorie. L’istituto è stato introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015, che ne ha disciplinato sia gli aspetti sostanziali (art. 131-bis c.p.) che processuali (artt. 411, 469 e 615-bis c.p.p.), con l’intento di ricomprendere tutte quelle situazioni nelle quali, data la scarsa offensività del fatto, una qualsiasi sanzione penale appaia sproporzionata [2]. Ciò anche al fine di garantire un alleggerimento del carico giudiziario, riconducendo il sistema a una maggiore efficienza. Alla luce di questa considerazione, si è correttamente osservato come esso costituisca anche una depenalizzazione in concreto mediante la quale il legislatore, pur mantenendo ferma la qualificazione del fatto come reato, ne esclude la punibilità laddove lo stesso appaia particolarmente tenue. D’altronde, la dottrina aveva più volte sollecitato l’introduzione di una fattispecie quale quella in commento, al punto che in tutti i progetti di riforma del sistema penale delle ultime legislature erano previste ipotesi similari [3]. È bene pero sottolineare come si tratti, in realtà, di un istituto non del tutto nuovo, essendo previste figure di tal fatta nel processo minorile (art. 27, d.p.r. n. 448 del 1988) e nei procedimenti innanzi al giudice di pace (art. 34, d.lgs. n. 274 del 2000) [4]. Proprio nel momento in cui il legislatore contemporaneo ha optato per l’introduzione dell’ipotesi della particolare tenuità del fatto si è, dunque, trovato di fronte a due modelli, quelli appena richiamati, tra loro parzialmente differenti. Nonostante sia medesimo il risultato perseguito, diverso è il percorso degli stessi sul piano tecnico-giuridico. Mentre la previsione del processo minorile si caratterizza per essere configurata come una causa di non punibilità, viceversa, l’ipotesi disciplinata dal d.lgs. n. 274 del 2000 struttura la particolare tenuità alla stregua di una causa di improcedibilità dell’azione penale. Di fronte alle due alternative, il legislatore del 2015 sembra aver optato decisamente [continua ..]


Segue: i presupposti applicativi: il limite edittale

Sul piano operativo, il legislatore ha delimitato l’ambito di applicazione della particolare tenuità del fatto con specifico riferimento alla pena edittale prevista in astratto. La causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. ha una portata generale ed è applicabile a tutti i reati, sia delitti che contravvenzioni, per i quali sia prevista la pena detentiva della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria. L’art. 131-bis, comma 4, c.p., stabilisce i criteri di determinazione della pena prevedendo che: non si tiene conto delle circostanze comuni; si tiene conto delle circostanze per le quali sia prevista una pena di specie diversa; si tiene conto delle circostanze a effetto speciale; per le circostanze a effetto speciale è altresì escluso il giudizio di bilanciamento ai sensi dell’art. 69 c.p. Il diverso trattamento riconosciuto alle circostanze autonome e a quelle a effetto speciale si spiega con la considerazione che le stesse sembrano configurare il reato sul piano del disvalore quasi come se fosse una fattispecie autonoma. Ha destato, invece, qualche perplessità la scelta di non menzionare il delitto tentato. Da ciò, ad avviso di chi scrive, non pare possa desumersi una volontà di escludere tale ipotesi dall’applicazione della causa di non punibilità. Sul punto, innanzitutto deve osservarsi che è ormai consolidato l’orientamento che vede nel delitto tentato una figura autonoma di reato caratterizzata dalla combinazione dell’art. 56 c.p. (che disciplina appunto il tentativo) con le norme incriminatrici con cui è compatibile. In secondo luogo, il tenore letterale dell’art. 131-bis c.p. non contempla, ma non esclude, il delitto tentato. L’estensione alle fattispecie rimaste allo stato di tentativo, dunque, non solo non contrasta ma appare altresì in piena sintonia con la ratio di escludere la punibilità per la particolare tenuità dell’of­fesa. Da ultimo, l’opposto orientamento porta a conclusioni francamente aberranti e inique. Laddove, infatti, si ritenesse che la particolare tenuità non si applichi al delitto tentato si dovrebbe concludere che, a fronte di un episodio consumato, la causa di non punibilità possa trovare applicazione ma, se lo stesso episodio si arresta allo stadio del [continua ..]


Segue: la particolare tenuità dell’offesa

La causa di non punibilità è polarizzata dalla contestuale ricorrenza di una offesa tenue arrecata in concreto al bene giuridico tutelato dalla norma e di un comportamento non abituale. In primo luogo, la particolare tenuità dell’offesa deve essere desunta dagli elementi che ineriscono prevalentemente il momento obiettivo dell’illecito penale. Vengono dunque in gioco le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutati alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma 1, c.p. Con riguardo al primo aspetto, quindi, saranno oggetto di valutazione: la natura, la specie, i mezzi, il tempo, l’oggetto, il luogo e tutte le altre modalità della azione, nonché il grado della colpevolezza, sia in ipotesi dolose che colpose. Per quanto concerne, invece, il giudizio inerente l’esiguità del danno o del pericolo, è necessario comunque che la condotta abbia rilevanza penale e che pertanto sussistano il danno o almeno la messa in pericolo del bene giuridico protetto, ma gli stessi devono essere talmente esigui da non essere meritevoli neppure della risposta sanzionatoria più lieve prevista dall’ordinamento penale per quel fatto. Si tratta, con tutta evidenza, di una valutazione ampiamente discrezionale da intendersi sia come danno civile (danno risarcibile) subito dalla parte offesa, sia come danno cd. “criminale”, ossia quel tantum di offesa necessario e sufficiente per l’esistenza del reato. Alla luce di quanto sin qui detto, sembra cogliere nel segno quella dottrina che sottolinea come l’art. 131 bis c.p., rappresenti una causa di non punibilità in senso stretto, di guisa che è tenue, (…), solo il fatto già di per sé tipico (e dunque offensivo), antigiuridico e colpevole, rispetto al quale risulti venuta meno la necessità della pena [8]. Rispetto al parametro appena individuato si era posto il problema in relazione ai reati nei quali fosse prevista una soglia minima di punibilità. La questione però è stata risolta dalle Sezioni Unite riconoscendo che la causa di non punibilità si applica anche i reati nei quali è tipizzata una soglia minima di rilevanza penale o, come nel caso della guida in stato di ebbrezza, siano previste soglie plurime di [continua ..]


Segue: l’abitualità del comportamento

Perché possa ritenersi applicabile l’art. 131-bis c.p. si richiede, inoltre, la non abitualità del comportamento. All’uopo, il legislatore individua tre situazioni tassative di abitualità per le quali, appunto, la causa di non punibilità non può trovare applicazione. La prima ipotesi non presenta particolari problematiche e ricorre per i soggetti che, ai sensi degli artt. 102 ss. c.p., siano dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Pertanto, all’indivi­duo che abbia commesso un fatto particolarmente tenue ma che si trovi in una delle situazioni di pericolosità sociale elencate non potrà applicarsi la causa di non punibilità. La seconda eventualità concerne quei soggetti che abbiano commesso più fatti della stessa indole anche se ciascuno, isolatamente considerato, debba essere considerato particolarmente tenue. In questo caso la Suprema Corte considera tali non soltanto i reati che violino una medesima disposizione di legge ma anche quelli aventi profili di omogeneità sul piano oggettivo o soggettivo [11]. Peraltro, il dato normativo non lascia dubbi sul fatto che uno dei reati possa essere quello per cui si procede e che, dunque, non sia necessaria la contestazione della recidiva ovvero la iscrizione dei reati della stessa indole nel certificato del casellario giudiziario. In altri termini, l’art. 131-bis c.p. deve essere escluso anche nel caso in cui il procedimento in oggetto concerna esso stesso più reati della stessa indole, da decidersi con la stessa sentenza o, al contrario, si tratti di fatti tra loro molto distanti nel tempo [12]. La terza ipotesi di inapplicabilità concerne i reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. La norma non si segnala per essere particolarmente chiara; sembra tuttavia potersi concludere che l’abitualità si riferisce ai reati eventualmente abituali; la reiterazione concerne i reati necessariamente abituali. Appare invece ancora difficile comprendere se le condotte plurime rappresentino una ripetizione delle condotte reiterate o si riferiscano piuttosto alla realizzazione di più atti rispetto a quelli descritti nella fattispecie [13].


I profili procedimentali: la particolare tenuità nelle indagini preliminari e nell’udienza preliminare

Le istanze che sul profilo sostanziale si sono tradotte nell’escludere la punibilità per fatti reato completi in tutti gli elementi ma che arrecano al bene giuridico una offesa particolarmente tenue, palesano, sul piano processuale, una evidente scelta deflattiva [14]. Il legislatore ha in particolare modificato gli artt. 411, 469 e 651-bis c.p.p. L’intento deflattivo si esprime nella massima estensione nella previsione contenuta nell’art. 411 c.p.p., che disciplina l’archiviazione per particolare tenuità, al contrario non prevista nei procedimenti di competenza del giudice di pace. All’esito delle indagini preliminari, laddove il pubblico Ministero ritenga che sussistano le condizioni di applicabilità dell’art. 131-bis c.p., avanza al giudice per le indagini preliminari una richiesta di archiviazione [15]. Di questa l’organo dell’accusa è tenuto in ogni caso a darne avviso alla persona offesa – a prescindere da una richiesta ai sensi dell’art. 408 c.p.p. – ma anche all’indagato. Entrambi possono prendere visione degli atti ed estrarne copia e, nel termine di dieci giorni dalla notifica della richiesta, presentare opposizione [16]. È evidente dunque la particolarità di un siffatto itinerario procedimentale, dal momento che anche all’indagato è data la possibilità di presentare opposizione alla richiesta di archiviazione [17]. Le ragioni di tale deviazione dal modello ordinario non appaiono difficili da comprendere. La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità non è infatti priva di conseguenze negative per chi ne beneficia [18]; in secondo luogo, potrebbe ricorrere una ipotesi più vantaggiosa –si pensi per esempio alla remissione di querela– che l’indagato potrebbe far valere in sede di opposizione. Nel caso di mancata opposizione o di inammissibilità della stessa, il g.i.p procede de plano e, se accoglie la richiesta, provvede all’archiviazione del procedimento con decreto motivato [19]. In caso di dissenso dalle determinazioni del Pubblico Ministero, dispone la restituzione degli atti allo stesso [20]. Naturalmente anche il contenuto dell’atto di opposizione è modellato sui parametri che caratterizzano la pronuncia ex art. 131-bis c.p., per cui [continua ..]


Segue: la particolare tenuità nelle successive fasi

Tra le ipotesi esplicitamente previste vi è quella che la sentenza ex art. 131-bis c.p. sia emessa ai sensi dell’art. 469 c.p.p. [23] Tale disposizione, come è noto, consente il proscioglimento per improcedibilità dell’azione penale o per estinzione del reato, quando tali situazioni emergano dal fascicolo e non occorra la celebrazione del dibattimento, sempreché l’imputato e il pubblico ministero non si oppongano. Nel caso del proscioglimento per particolare tenuità del fatto, però, a differenza delle altre fasi, il legislatore prevede esplicitamente che anche la persona offesa sia sentita se compare, senza tuttavia che alla stessa sia riconosciuto alcun poter di veto [24]. Pur mancando una espressa indicazione, non vi è alcun ostacolo a che si giunga ad un proscioglimento per particolare tenuità del fatto all’esito del giudizio di merito. In tal caso non è riconosciuto alcun potere di veto alle parti, i cui diritti e le cui facoltà sono salvaguardate dalla piena possibilità di interlocuzione nel corso del contraddittorio dibattimentale [25]. Neppure appare possibile ravvisare uno spazio per una rinuncia al proscioglimento dibattimentale per particolare tenuità, trattandosi in ogni caso di una pronuncia di merito. La sentenza ex art. 131-bis c.p. sarà sempre appellabile sia dal pubblico ministero che dall’imputato. Pur trattandosi di una sentenza di proscioglimento, questa presenta infatti tratti non del tutto favorevoli per l’imputato [26]. Basti solo pensare come alla luce dell’art. 651-bis c.p.p., nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno, la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento «ha efficacia di giudicato quanto al­l’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso». Inoltre, alla stregua degli artt. 3, 4, 24 e 25 del d.p.r. n. 313 del 2002, il provvedimento risulta iscritto nel certificato del casellario giudiziario. Da ultimo occorre sottolineare che, alla luce della natura sostanziale dell’istituto e del principio del favor rei, esso si applica a tutte le fattispecie, anche precedenti alla entrata in vigore del [continua ..]


Particolare tenuità e sanzioni amministrative accessorie

Ricostruiti la natura giuridica e il funzionamento dell’istituto previsto dall’art. 131 bis c.p., è possibile quindi stabilire se lo stesso sia valido presupposto o meno delle sanzioni amministrative accessorie che talvolta accompagnano la sentenza di condanna. Le considerazioni sin qui svolte confermano come la particolare tenuità del fatto sia una causa di non punibilità del tutto peculiare. La stessa, come detto, non esclude la tipicità del fatto e dunque il carattere di illiceità del comportamento ma, una volta accertata la sussistenza di una fattispecie penalmente completa, la esenta dalla pena. Conseguentemente si può senza alcun dubbio escludere che la sentenza che accerti la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p. sia una sentenza di condanna. Il tema è stato più volte affrontato dalla Suprema Corte che tendenzialmente ha sempre annoverato la sentenza in parola tra quelle di proscioglimento. Si tratta, è bene ribadirlo, di una ipotesi sui generis che, anche se accerta il reato, dispone il proscioglimento dal medesimo [28]. Da tale carattere la pronuncia che in questa sede si commenta fa discendere l’impossibilità per il giu­dice penale di applicare la sanzione amministrativa accessoria della demolizione dell’opera asseritamente abusiva. In particolare, si ritiene infatti che essendo presupposto necessario per la sanzione la pronuncia di una sentenza di condanna o un atto alla stessa equiparabile, l’ordine di demolizione sarebbe ontologicamente incompatibile con la sentenza ex art. 131-bis c.p. La conclusione raggiunta non è però pacifica nella stessa giurisprudenza di legittimità. Invero, sul punto vanno innanzitutto rammentati due precedenti di segno diametralmente opposto entrambi resi in materia di guida di stato ebbrezza ma le cui considerazioni possono estendersi a tutte le ipotesi di sanzioni amministrative accessorie. Nella nota sentenza Longoni [29], la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice penale dovesse applicare le sanzioni amministrative accessorie (in quel caso, la sospensione della patente) anche a fronte di una sentenza ex art. 131-bis c.p. Viceversa, in altro successivo provvedimento la medesima sezione della Cassazione ha reputato non appagante la soluzione appena richiamata. Sul punto, la Corte ha ribadito la mancanza [continua ..]


NOTE