Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La Cassazione e la tela di Penelope. I giudici "guardiani" dell'equo processo (di Filippo Giunchedi)


La Corte europea dei diritti dell’uomo impone che il giudice di appello non possa riformare in peius una sentenza di proscioglimento senza aver prima avuto un contatto diretto con la fonte di prova dichiarativa. La Cassazione ha avallato questo modello estremamente garantistico offrendo ampia espansione alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; le Corti di appello, con atteggiamento ostinatamente refrattario, continuano, invece, a perseguire un modello di giudizio di seconda istanza mediante una rivisitazione ex actis.

La peculiarità della decisione che si annota consiste nello specificare come, indipendentemente dal fatto che la violazione della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia stata dedotta nel ricorso di legittimità, la Suprema Corte sia tenuta ad esaminare d’ufficio la questione in quanto relativa alla violazione dei diritti dell’e­quo processo.

Si tratta di un approccio estremamente importante che testimonia l’effettiva penetrazione dei principi europei nel tessuto connettivo del nostro processo penale.

Supreme Court and Penelope's canvas. Judges are the fair trial "guardians"

The European Court of Human Rights requires that the appellate court can not reform in peius acquittals witout a direct contact with the source of evidence declarative. The Supreme Court has endorsed this model extremely protective nature offering a wide expansion to the renewal of education hearing; the appeal courts, with stubbornly refractory attitude, continue to pursue a model of appeal judgment by revisiting ex actis.

The peculiarity of the decision is to specify how, regardless of whether the violation of the renewal of education hearing is presented in the application of legality, the Supreme Court is required to consider on the issue because of infringement of the rights fair trial.

It is a very important approach that demonstrates the effective penetration of the Europeans in the connective tissue of our criminal process.

L’HABITAT DI RIFERIMENTO E L’HUMUS SOVRANAZIONALE Le intersezioni tra processo penale interno e fonti sovranazionali connaturano con sempre maggiore intensità le decisioni e le trame argomentative tessute dai giudici italiani, i quali si trovano a muoversi in un network normativo multilivello sempre più complesso e articolato, costretti a rapportarsi con interpretazione conforme e contro-limiti che impediscono torsioni esegetiche in rottura con il dato normativo interno in ragione della natura di norme interposte delle fonti sovranazionali [1]. In questo contesto il giudice rischia di incorrere nella tentazione di Icaro, il quale pur dovendo spiccare il volo per uscire dal labirinto normativo, deve evitare di cedere alla fascinazione delle fonti sovranazionali, sforzandosi di volare ad una quota tale da consentirgli, da un lato, di usufruire dell’elasticità esegetica offerta dalle fonti sovranazionali così come filtrate dalla loro giurisprudenza e, dall’altro, di evitare voli troppo arditi “ammaliato” dalle sirene dell’etica dei valori, pena il rischio di cadere rovinosamente, con la conseguente perdita di certezza del diritto [2]. D’altronde un sistema penale non più esclusivamente «statocentrico» [3] espone il giudice alle intemperie della molteplicità delle fonti e alla responsabilità di dover comprendere, mediante una difficile ars interpretandi, quale legge applicare, spostando il polo dei rapporti verso un’attività ermeneutica legata al carattere fluttuante del diritto che investe la logica della completezza dei principi, piuttosto che quella ingannevole dei valori [4]. Ed allora pur ribadendo ancora una volta la primazia dell’interpretazione conforme, ove il limite è costituito dall’analesticità di talune norme, tali da far operare il sindacato di legittimità costituzionale secondo l’insegnamento delle capostipiti “sentenze gemelle” [5], non possono sottacersi ipotesi in cui di fronte ad interpretazioni di resistenza allo spirito europeo, risulta necessario ripristinare l’ortodossa chiave di lettura, soprattutto quando lo sviamento dal precedente non trova ragion d’essere nella peculiarità del caso concreto. Allo stesso tempo non può trascurarsi come, in materia penale, vada emergendo un formante giurisprudenziale che assevera la preferenza della Cassazione per la soluzione di maggiore rilevanza pratica, quale garanzia per le parti per l’esito migliore della causa, vale a dire lo ius litigatoris. In particolare questa attività che va a disancorarsi dal precedente, deve realizzarsi laddove tenda a favorire l’im­pu­tato. In breve, lo sviamento dalla giurisprudenza consolidata dovrebbe avere un effetto pratico pro reo in aderenza al canone della [continua..]

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