Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La Cassazione conferma l'operatività del divieto di reformatio in peius anche in sede di rinvio


[Omissis] RITENUTO IN FATTO   1. Con sentenza n. 34147 del 21.04.2015 della sezione 2 di questa Corte diveniva irrevocabile – fatte salve le statuizioni di cui subito infra – la pronuncia emessa il 28.06.2014 dalla Corte di appello di Milano a carico di oltre 40 imputati, incentrata principalmente sull’affermazione dell’operatività, nel territorio del capoluogo lombardo e delle province limitrofe, dell’associazione di stampo mafioso nota come ndrangheta, “costituita da numerose locali, di cui 15 individuate, coordinate da un organismo denominato “(OMISSIS)”... (omissis) deputato a concedere agli affiliati “cariche” e “doti”, secondo gerarchie prestabilite e mediante cerimonie e rituali tipici dell’associazione mafiosa ...”: a significare, cioè, l’effet­tività, in seno alla tradizionale struttura giudizialmente accertata come propria della ndrangheta nel suo territorio di naturale elezione – di tipo gerarchico-piramidale, connotata tuttavia dalla coesistenza di singole ed articolate realtà territoriali – delle anzidette compagini criminose, diretta filiazione di quelle d’origine, pur nel riconoscimento di una propria autonomia, filtrata dal summenzionato organismo di vertice, chiamato altresì a garantire il dovuto coordinamento con i soggetti apicali dell’asso­ciazione calabrese d’origine. Rispetto al quadro di estrema sintesi testè delineato, la citata sentenza di legittimità, nel rigettare ovvero dichiarare inammissibili la quasi totalità dei ricorsi proposti dagli imputati, nonché quello formalizzato dal P.G. di Milano, disponeva altresì, al di là di talune parziali statuizioni che qui non rilevano, l’annullamento con rinvio della pronuncia adottata dalla Corte ambrosiana nei confronti di L.B. – già ritenuto dal Tribunale meneghino a capo della “locale” di (OMISSIS), con conseguente sua condanna, per violazione dell’art. 416 bis c.p., comma 1, alla pena di anni quattordici di reclusione, ridotta ad anni dodici con la sentenza annullata – stante il rilevato, radicale difetto di motivazione, il giudice distrettuale essendo pervenuto alla conferma della sua colpevolezza pur senza trattarne sostanzialmente la posizione; nonché nei confronti di C.C.A., limitatamente alla sola pronuncia di confisca – ferme dunque le condanne alla pene di anni undici di reclusione, per i reati di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso ed intestazione fittizia di beni, con esclusione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, e di ulteriori anni uno di reclusione, per il reato di turbativa d’asta, anche in questo caso con esclusione dell’aggravante di cui al succitato D.L. n. 152 del 1991, art. 7, oltre che di quella di cui al capoverso della [continua..]

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Fascicolo 3 - 2018