In tema di chiamata in correità, oltre alla ricerca dei riscontri, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato ulteriori specifici criteri, che costituiscono delle linee guida funzionali al vaglio delle deposizioni dei collaboratori. In questi casi, la valutazione da parte del giudice non può prescindere da un esame accurato in ordine all’attendibilità del singolo dichiarante. Solo una preliminare delibazione di questo tipo costituisce logico presupposto di una valida chiamata in correità.
About the confident's liability as a logical assumption of a valid accomplice evidence About the theme of accomplice evidence, in addition to corroborations, academic jurisprudence and case law have elaborated some more specific criteria, which represent useful guide-lines to evaluate the confidents’ statements of fact. In these cases, the Court’s evaluation isn’t able to leave something out of consideration from a careful inspection about the single confident’s liability. Only a preliminary decision of this kind represent a logical assumption of a valid accomplice evidence.
IL CASO SOTTOPOSTO ALL’ATTENZIONE DELLA CORTE
Il tema affrontato dalla suprema Corte di cassazione rappresenta un evergreen in punto di valutazione della prova dichiarativa e, nello specifico, di quella peculiare dichiarazione che viene resa nel corso di un procedimento penale da parte di un collaboratore di giustizia chiamante in correità.
Non si tratta di problematiche squisitamente teoriche o limitate alle valutazioni tecniche relative all’utilizzo di simili contributi in particolari procedimenti, quali quelli in materia di criminalità organizzata, ma di questioni di più ampio spessore che sovente assumono rilievo culturale e finanche politico.
L’importanza di una chiara disciplina sul punto discende, dunque, dalla primaria esigenza di individuare una serie di criteri valutativi che siano tali da consentire il conferimento di valore probatorio alle predette dichiarazioni, le quali, solo laddove risultino sottoposte ad adeguato vaglio da parte del giudicante, potranno contribuire alla formazione del suo libero convincimento.
Così i giudici di legittimità hanno chiarito come fosse una metodologia non corretta quella seguita da una Corte territoriale che, investita di una serie di censure relative all’attendibilità dei chiamanti in correità in seno ad un’associazione per delinquere dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, aveva ritenuto sufficiente l’esame della loro credibilità intrinseca ed estrinseca condotto attraverso la mera analisi dei riscontri con altri elementi di prova.
La rilevanza delle problematiche sottese al tema in questione ha fatto sì che, nonostante la molteplicità di pronunce sul punto, i giudici di Piazza Cavour, annullando la sentenza di merito con rinvio, abbiano sentito la necessità di precisare ancora una volta ciò che, evidentemente, ovvio non era: la valutazione della chiamata in correità da parte del giudice non può prescindere da un vaglio accurato e scrupoloso in ordine all’attendibilità del singolo dichiarante. Solo una preliminare delibazione di questo tipo costituisce logico presupposto di una valida chiamata in correità.
IMPORTANZA DELLA PROVA DICHIARATIVA. LA CHIAMATA IN CORREITÀ
Ultimamente si è soliti affermare che la prova dichiarativa, la quale storicamente riveste un ruolo di primario rilievo nella dinamica del processo penale, stia subendo, con l’evoluzione della tecnica un processo di erosione volto a minarne la valenza quasi monopolistica, essendo sempre più surclassata dal ruolo che sta conquistando negli anni il mezzo peritale. Tuttavia, non sempre è possibile disporre di elementi indiziari o probatori traibili attraverso l’ausilio della scienza. In determinati settori, infatti, e per particolari categorie delittuose, non si può prescindere dal contributo di chi, avendo fatto [continua..]