CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II, SENTENZA 12 SETTEMBRE 2017, N. 41571 – PRES. EST. – FIANDANESE
L’art. 603, comma 3, c.p.p. in applicazione dell’art. 6 della CEDU, deve essere interpretato nel senso che il giudice di appello per pronunciare sentenza di assoluzione in riforma della condanna del giudice di primo grado, deve preventivamente rinnovare la prova testimoniale della persona offesa, quando, costituendo prova decisiva, intenda valutarne diversamente l’attendibilità, salvo il caso in cui tale prova risulti travisata per omissione, invenzione o falsificazione.
La Corte ribadisce, inoltre, che la motivazione rafforzata da parte del giudice di appello è doverosa, non solo nel caso di pronuncia di condanna in seguito ad assoluzione pronunciata in primo grado, ma anche nel caso di pronuncia di assoluzione a seguito di precedente sentenza di condanna.
> < [Omissis] RITENUTO IN FATTO Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza in data 27 marzo 2014, dichiarava M.A. colpevole del delitto di estorsione, commesso in concorso con S.F. e An.Ro., separatamente giudicati con rito abbreviato, e lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 600 di multa, nonché, in solido con la Chiesa Cristiana Evangelica Missionaria Pentecostale, al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili I.F. e V.A., da liquidarsi in separata sede, con il pagamento di una provvisionale, per ciascuna delle parti civili, di Euro 20.000,00. Secondo l’accusa, il M., operando in concorso con i suddetti coimputati, aveva costretto I.F. e V.A., ai quali un’anziana signora, L.S.G., aveva in precedenza donato un immobile, a risolvere questa donazione per donare nello stesso contesto l’immobile medesimo alla Chiesa Cristiana Evangelica Missionaria Pentecostale di cui il M. era ministro del culto. Risoluzione della donazione e successiva donazione verificatesi in (OMISSIS). Il giudice di primo grado chiarisce che la vicenda processuale traeva origine dalle sommarie informazioni testimoniali rese, in data 27 febbraio 2008, da I.N., figlia delle persone offese, davanti al sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, la quale aveva narrato di aver subito, nel (OMISSIS), atti di violenza sessuale da parte del M. In tale circostanza, riferiva, tra l’altro, la vicenda di cui al presente procedimento. Il tribunale esponeva il contenuto delle dichiarazioni testimoniali assunte in dibattimento, non solo delle persone offese, ma anche di altri testi, sulla cui credibilità esprimeva motivata valutazione positiva; concludeva nel senso che il M. era ben consapevole delle minacce che S.F. e An.Ro., parenti di L.S.G., rivolgevano alle persone offese e si era inserito nella vicenda estorsiva come “autore non di una singola ed esplicita minaccia, ma di una serie di pressioni velate, di intensità progressivamente crescente, tali da determinare la coartazione della volontà delle persone offese, anche avvalendosi, in modo incisivo, della forza intimidatrice e di persuasione derivante dal ruolo apicale da egli ricoperto nell’ambito dell’organizzazione religiosa della quale l’I. e la sua famiglia erano adepti”, ricevendo, infine, il profitto della contestata estorsione, alla quale contribuiva in modo decisivo. In esito ad impugnazione dell’imputato, la Corte di Appello di Messina, con sentenza in data 11 marzo 2016, assolveva il M. dal delitto ascritto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, ritenendo contraddittoria la prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo. La Corte territoriale rilevava che le parti offese avevano descritto la vicenda soltanto sette anni dopo e che sia la moglie di I.F., V.A., sia la figlia N., avevano [continua..]