Chiamato a pronunciarsi sui poteri della Corte di cassazione nel valutare la legittimità di una sentenza su pena concordata quando per uno dei reati per cui è stato ratificato l’accordo sia intervenuta l’abolitio criminis, il Supremo Collegio ritiene che il venir meno di uno dei termini essenziali del contenuto dell’accordo che ha portato al “patteggiamento” travolga l’intero provvedimento e imponga l’annullamento della sentenza per una nuova valutazione delle parti.
Application of the penalty at the request of the parties: all to be redone in case of abolitio criminis The Supreme Court of cassation, which is called to rule on the powers of the Court of Cassation in assessing the legitimacy of a judgement on the application of the agreed penalty, in the event that for a crime for which the agreement has been ratified intervened the abolitio criminis, believes that the absence of one of the essential terms of the agreement, which has led to the settlement, involves the entire provision and requires the cancellation of the judgement for a new assessment of the parties.
La Quaestio iuris all’esame della corte
Con la pronuncia in commento la Suprema Corte di cassazione affronta la tematica della successione di leggi penali, e in particolar modo esamina l’ampiezza dei propri poteri allorquando, successivamente all’emissione di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non ancora passata in giudicato, intervenga l’abolitio criminis per uno dei reati oggetto di “patteggiamento”.
Come è noto, la fattispecie della c.d. abolitio criminis è disciplinata dall’art. 2, comma 2, c.p., il quale prevede che «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».
Detta disposizione attribuisce alla legge abolitrice un effetto retroattivo, non tanto ispirato al principio del favor rei, quanto ad esigenze di parità di trattamento, rilevanti ai sensi dell’art. 3 Cost., atteso che alla commissione di quello stesso fatto – verosimilmente per l’intervenuto mutamento della percezione del disvalore sociale di determinate condotte – l’ordinamento non ricollega più alcuna sanzione penale [1].
Stante il tenore letterale del richiamato art. 2, comma 2, c.p., è pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che la sentenza di “patteggiamento” debba essere revocata, al pari della sentenza di condanna, qualora l’abrogazione della norma incriminatrice sia avvenuta in fase esecutiva [2].
Ciò in quanto il principio di diritto sostanziale nullum crimen sine lege ha una portata di carattere generale che prescinde dal rito adottato ed opera anche retroattivamente, con conseguente cessazione delle sanzioni penali irrogate e dei loro effetti [3].
Emerge, invece, un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto in ordine alle sorti della sentenza emessa ex art. 444 c.p.p., qualora l’accordo sia stato ratificato per più reati e, successivamente al “patteggiamento” ed alla conseguente emissione della sentenza di applicazione della pena, nelle more del giudizio di cassazione, sia stata abrogata (o depenalizzata) una sola delle disposizioni di legge che si assumono essere state violate.
Detta fattispecie, come sopra anticipato, è stata presa in esame nella sentenza in chiosa, considerato che uno degli addebiti ascritti all’imputato, ovverosia la contestazione di aver guidato un veicolo in violazione dell’art. 116 c. str., quindi senza aver conseguito la corrispondente patente di guida, è stato depenalizzato [4] in pendenza del ricorso per cassazione promosso dal difensore dell’imputato.
Il Supremo Consesso, tra gli altri motivi di ricorso, è stato quindi chiamato ad esprimersi sul vizio di legge dedotto [continua..]