Anche dopo la recente riforma, peraltro attesa da circa un ventennio, le intercettazioni sono destinate a rimanere una prova largamente atipica, plasmabile a piacimento dalla giurisprudenza e dalle prassi operative, senza effettive garanzie per gli interessi costituzionali che ne risultano coinvolti e con un significativo arretramento della tutela del diritto di difesa. Il tutto aggravato dal potere sempre maggiore riconosciuto alla polizia giudiziaria, vero dominus della prova.
Legal amorphism and constitutional indifference in the new wiretapping’s discipline After the recent reform, awaited for about twenty years, wiretapping is going to remain a largely atypical evidence: its use can be shaped by jurisprudence and praxis, without effective guarantees for the constitutional interests involved and with a significant regression of the right of defense protection. The ever-increasing power of the judicial police, the true dominus of evidence collecting, is aggravating the situation.
UNA LUNGA ATTESA PER UN RISULTATO DELUDENTE
Dopo oltre vent’anni di tentativi falliti e almeno cinque disegni di legge scritti sull’onda emotiva dello scandalo generato, di volta in volta, dalla pubblicazione di conversazioni riguardanti per lo più esponenti politici, l’originaria disciplina codicistica delle intercettazioni è stata riformata dal d.lgs. n. 216 del 2017 [1].
Parlare di riforma delle intercettazioni è, tuttavia, eccessivo. All’interno dell’ampio mosaico rappresentato dalla “riforma Orlando” della giustizia penale, a questa delicata materia sono state dedicate solo poche tessere mirate. L’intervento è risultato condizionato da una delega legislativa dettagliata e, al tempo stesso, angusta, portato evidente del timore parlamentare di affrontare una vera riforma che ripensasse ab imis la prova principe del processo penale del ventunesimo secolo.
Si è così optato per un risultato minimale, forse l’unico politicamente raggiungibile nell’attuale congiuntura socio-politica, costituito dalla riscrittura selettiva di alcune disposizioni attraverso la quale pervenire, almeno nelle intenzioni, al duplice obiettivo di tutelare la riservatezza dei terzi estranei al procedimento e di dare regolamentazione normativa all’impiego del captatore informatico.
A fronte delle numerose questioni e dei gravi problemi sollevati dall’impiego di tecnologie sempre più invasive e agevolmente praticabili, la scelta del legislatore si presenta subito poco risolutiva e, tutto sommato, marginale. Nessuno si era certamente illuso che un Parlamento a fine legislatura, guidato da maggioranze eterogenee e precarie, potesse fornire una convincente risposta all’esigenza, costituzionalmente imposta, di circoscrivere le intercettazioni in un ambito di effettiva eccezionalità. Sicuramente, però, una volta assunta la decisione di mettere mano a tale delicata materia, era ragionevole attendersi un intervento più organico che toccasse almeno una parte dei nodi irrisolti emersi dalla prassi applicativa quasi trentennale del codice di procedura penale.
Al contrario, il d.lgs. n. 216 del 2017 non solo ha deluso le aspettative, ma non è nemmeno riuscito a trovare un accettabile punto di equilibrio fra il diritto di difesa, la tutela della riservatezza, la libertà di stampa e il diritto di cronaca.
UNA LEGISLAZIONE ADIAFORA AI VALORI COSTITUZIONALI
Il dato che più sconcerta è proprio il difetto genetico di aver posto in un indebito bilanciamento di valori l’inviolabile diritto di difesa e l’interesse alla tutela della privacy dei soggetti estranei alla vicenda processuale. Il diritto di difesa è un principio costituzionale rafforzato dalla clausola di inviolabilità in ogni stato e grado del procedimento. Lo stesso art. 24, comma 2, Cost. non prevede [continua..]