Lo scritto analizza l’ultima legge di riforma del giudizio abbreviato, approfondendo alcuni degli aspetti più delicati, come il tema della partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, e la rinnovata disciplina sull’inammissibilità del rito e i relativi controlli.
This paper concerns the reform bill no. 33 of 2019 regarding the summary trial, focusing on new aspects such as: enhancement of jurors; the request and control of the special trial.
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Pene esemplari vs. deflazione processuale - Partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia e giudizio abbreviato - Preclusione all’abbreviato e controlli sull’erronea imputazione: le novità - Controlli sull’inammissibilità dell’abbreviato: emendatio iuris - (Segue): emendatio libelli - Rimedi all’abbreviato instaurato per un reato ostativo: una disciplina lacunosa - NOTE
La l. 12 aprile 2019, n. 33, in materia d’inammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo, si colloca a pieno titolo nel solco delle scelte di matrice securitaria che, nell’ultimo anno, stanno contrassegnando l’agenda del legislatore, nella realizzazione del cosiddetto “Contratto per il governo del cambiamento”, sottoscritto da Movimento 5 Stelle e Lega Nord. Benché il populismo penale non sia certo nato con le elezioni del 4 marzo 2018 [1], è indubbio che l’attuale compagine governativa sia, o meglio si senta, fortemente impegnata sul fronte della tutela della sicurezza collettiva, come dimostrano i diversi prodotti normativi che si sono avvicendati senza soluzione di continuità in un breve lasso temporale: decreto sicurezza, legittima difesa, riforma dell’ordinamento giudiziario, spazza-corrotti e, appunto, esclusione del rito sommario per i delitti punibili con l’ergastolo. L’obiettivo perseguito è chiaro. Mettere «al centro del sistema … la certezza della pena … dimostran[do] di puntare sulla massima estensione del diritto penale, respingendo ogni forma di depenalizzazione, esaltando l’estremismo sanzionatorio che promuove l’inasprimento delle pene e, infine, elevando il carcere a suprema garanzia» [2] nella lotta alla delinquenza. Sul piano processuale, questo fenomeno è particolarmente evidente nelle due riforme che hanno toccato, prima, il patteggiamento e, ora, il giudizio abbreviato. Per fronteggiare l’endemica, reale o percepita, corruzione che ammorba il Paese, la l. 9 gennaio 2019, n. 3 ha puntato molto sulla pena, in modo addirittura «cieco e, a tratti, irragionevole» [3], specie attraverso gli «incrementi clamorosi delle pene accessorie del settore» [4]. Sennonché, l’efficacia della novella era minacciata dalla previgente disciplina del patteggiamento. Dai dati statistici, il legislatore aveva ricavato che, fra il 2012 e il 2017, il numero di dibattimenti celebrati per il delitto di corruzione propria era stato estremamente esiguo, a tutto favore della definizione anticipata del giudizio ex art. 444 c.p.p. [5]. Da qui, l’opzione di modificare il precedente regime premiale del rito concernente le pene accessorie, allo scopo di evitare la “fuga” [continua ..]
Eppure, era possibile percorrere una diversa strada per «‘rassicurare’ il cittadino» [12]. Sarebbe bastato coinvolgerlo in prima persona nella celebrazione del rito, mantenendo, o almeno rimodulando [13], l’indispensabile sconto di pena quale contrappeso per la rinuncia alle garanzie del dibattimento [14]. In proposito, non si può tacere come la l. n. 33 del 2019 abbia, invece, rivalorizzato la celebrazione del processo di fronte ai giudici popolari della Corte d’assise, i quali sono «il vero ‘giudice naturale’ (art. 25 comma 1 Cost.), inteso [questo] come garanzia di espressione dei comuni valori socio-culturali nell’esercizio della funzione giurisdizionale ed esponente di quel popolo cui la ‘sovranità appartiene’ (art. 1 comma 2 Cost.) e in nome del quale la ‘giustizia è amministrata’ (art. 101 comma 1 Cost.)» [15]. Nel previgente regime, in effetti, la loro partecipazione al giudizio abbreviato era puramente eventuale, in quanto limitata allo svolgimento del rito speciale in grado d’appello [16]. Tanto che non mancava chi dubitasse della legittimità costituzionale della disciplina del rito abbreviato, nella parte in cui permetteva la definizione del processo di fronte al giudice dell’udienza preliminare, a meno di non riconoscere come disponibile per il cittadino la garanzia della naturalità [17]. Sappiamo, d’altro canto, che la Corte costituzionale aveva reputato conforme, fra l’altro, agli artt. 1, 25, 102, commi 2 e 3, Cost. la normativa oggi rivisitata. Per il giudice delle leggi, entro i limiti della ragionevolezza non può essere «motivo di censura la presunta maggiore o minore idoneità o qualificazione … che possa essere rivendicata o riconosciuta all’uno o all’altro organo della giurisdizione, e così la scelta per l’attribuzione della competenza al giudice monocratico piuttosto che a quello collegiale e, nell’ambito del secondo, al collegio tutto professionale piuttosto che a quello composto anche da ‘soggetti idonei estranei all’amministrazione della giustizia’ o anche da ‘giudici popolari’» [18]. Al di là di tali rilievi, a ogni modo, il punto che si vorrebbe rimarcare è un altro. Se è corretto ritenere che i giudici non togati, di per [continua ..]
Sul fronte più squisitamente tecnico, il nucleo della riforma gira intorno: alla modifica dell’art. 442 c.p.p., attraverso l’abrogazione di quella parte della norma in cui si disponeva che «alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta» e «alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo» semplice (art. 3 l. n. 33 del 2019); al conseguente divieto di ammettere il giudizio speciale per i reati puniti con l’ergastolo, mediante l’introduzione dell’art. 438, comma 1-bis, c.p.p. (art. 1 l. n. 33 del 2019); ai rimedi da seguire nelle ipotesi in cui vi siano delle variazioni “patologiche” o “fisiologiche” dell’imputazione, ai sensi dei nuovi artt. 438, commi 6 e 6-ter, 441, comma 1-bis, e 429, comma 2-bis, c.p.p. (artt. 1, 2 e 4 l. n. 33 del 2019). Completa il quadro la norma intertemporale, in forza della quale la riforma si applica solo ai reati commessi successivamente all’entrata in vigore della legge, ossia il 20 aprile 2019 (art. 5 l. n. 33 del 2019). Mentre quest’ultima previsione non pone alcun problema, poiché taglia alla radice qualunque questione sulla successione di leggi di matrice processuale che prevedono un trattamento penale più favorevole all’imputato, facendo propri gli insegnamenti provenienti dalla vicenda Scoppola [20], meno lineare potrebbe apparire cosa accade quando si procede nell’udienza preliminare con un reato ostativo all’abbreviato in ordine tanto ai controlli del giudice quanto ai conseguenti rimedi. Similmente, occorre ricostruire cosa avvenga nel caso in cui l’abbreviato venga chiesto e ammesso erroneamente per un delitto punibile in astratto con l’ergastolo. Dopo la sentenza n. 176 del 1991, la Corte costituzionale si era già occupata del tema. Contestando inesattamente un reato punibile con la pena più grave, il pubblico ministero avrebbe potuto impedire lo svolgimento del rito semplificato, così da negare il trattamento sanzionatorio più favorevole alla controparte. In tali frangenti, secondo i giudici di Palazzo della Consulta, sarebbe risultato interdetto all’organo giurisdizionale, investito dalla domanda di semplificazione delle forme processuali, modificare l’imputazione [continua ..]
Lo sbaglio in cui potrebbe incorrere il pubblico ministero nel formulare la richiesta di rinvio a giudizio, a ben vedere, potrebbe originare da un’errata qualificazione giuridica dell’illecito, piuttosto che da un difetto di correlazione tra i fatti materiali allegati rispetto alla loro descrizione. Tali ipotesi vanno tenute distinte. L’odierna novella, infatti, non sembra riguardare i casi di emendatio libelli, ma, come si evince dallo stesso tenore dell’art. 429, comma 2-bis, c.p.p., unicamente i casi di emendatio iuris. Ciò, del resto, troverebbe una conferma espressa nella giurisprudenza costituzionale ante “Carotti”, allorché il giudice delle leggi aveva avuto occasione di chiarire, quanto «al riconoscimento del potere di modificazione dell’imputazione … anche come contestazione di una determinata materialità dei fatti», che, «prima e al di fuori della cristallizzazione dell’imputazione ai fini e nei limiti della decisione sull’ammissibilità del rito, ritrova[va] pienezza e anzi doverosità di applicazione il principio della necessaria costante corrispondenza tra l’imputazione e le emergenze processuali» [22], in forza della sent. cost. n. 88 del 1994 [23]. Se quanto precede risulta corretto, allora, è evidente che i rimedi da esperire nelle due situazioni ipotizzate divergono notevolmente. Più specificamente, qualora si tratti di emendare, su richiesta dell’imputato, un errore sulla qualificazione dell’illecito addebitato [24], non si scorgono ostacoli ad attribuire al giudice dell’udienza preliminare il potere di procedere all’emendatio iuris [25] in fase d’ammissione del rito speciale. Se, al contrario, non venisse istaurato l’abbreviato, il delitto contestato potrebbe comunque essere riqualificato con il decreto che dispone il giudizio, dovendo il giudice dare corso agli adempimenti di cui al nuovo art. 429, comma 2-bis, c.p.p. [26]. Qua, è agevole però sostenere, argomentando dalla sent. cost. n. 401 del 1991 [27], che il rinvio operato dall’art. 429, comma 2-bis, c.p.p. all’art. 458, comma 2, c.p.p. fa sì che il giudice dell’udienza preliminare sia incompatibile rispetto all’organo investito del rito abbreviato, ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.p. Chiude [continua ..]
Quanto alle ipotesi di emendatio libelli, le sorti della domanda di abbreviato si desumono dagli assetti in materia di modifica del fatto nell’udienza preliminare tracciati dalla copiosa giurisprudenza costituzionale. A essere rigorosi, invero, il giudice di tale fase, rilevato il difetto di corrispondenza tra il fatto contestato e quello emergente dal fascicolo, dovrebbe disporre «la trasmissione degli atti al pubblico ministero … determinando la regressione del procedimento sino alla fase delle indagini preliminari, affinché quest’ultimo assumesse le proprie determinazioni in ordine all’azione penale» [30], ai sensi dell’art. 521, comma 2, c.p.p. [31]. Occorre, tuttavia, prendere atto che, sul tema in questione, la Corte costituzionale segue le statuizioni elaborate dalle sezioni unite della Corte di cassazione con riguardo ai rimedi esperibili in caso d’imputazione formulata in maniera generica [32]. Si è affermato così un “diritto vivente” [33] in base al quale, in caso di emendatio libelli, il giudice dovrebbe, in prima battuta, invitare il pubblico ministero a modificare l’imputazione nel corso dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 423 c.p.p.; solo allorché l’organo dell’accusa non assecondasse l’input giudiziale, scatterebbe – quale extrema ratio – il «rimedio regressivo al riscontrato difetto di correlazione» [34], a norma dell’art. 521, comma 2, c.p.p. Applicato questo schema alla domanda inammissibile di abbreviato per difetto di contestazione, si verrebbe a delineare la seguente situazione. Il pubblico ministero, invitato dal giudice ad aggiustare l’imputazione, potrebbe ricalibrarla, rendendo possibile la definizione anticipata del processo. In tale eventualità, ci chiediamo però se il giudice divenga incompatibile ex art. 34, comma 2, c.p.p. È vero che la Corte costituzionale ha già escluso una violazione dell’imparzialità del giudice nell’ipotesi di elaborazione “cooperativa” dell’accusa in seno all’udienza preliminare. A suo parere, infatti, l’«invito a modificare l’imputazione rappresenta un rimedio ‘endofasico’», in cui «il giudice esterna un convincimento … ma lo fa come [continua ..]
Un cenno conclusivo meritano le situazioni in cui, viceversa, per cause “fisiologiche” o “patologiche” non si può, o non si poteva, celebrare il giudizio abbreviato. Al riguardo, il legislatore ha disciplinato solo la prima evenienza, stabilendo, similmente a quanto previsto per le nuove contestazioni nel corso del rito sommario, che, «se, a seguito [di queste], si procede per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, il giudice revoca, anche d’ufficio, l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione», trovando qui applicazione l’art. 441-bis, comma 4, c.p.p. (art. 441-bis, comma 1-bis, c.p.p.). Diversamente, resta dubbio cosa accada quando si procede con l’abbreviato – perché, ad esempio, instaurato prima e al di fuori dell’udienza preliminare [37] – sulla base di un’imputazione per un reato che solo apparentemente non osta alla semplificazione delle forme processuali. Poiché la l. n. 33 del 2019 non ha previsto su tale fronte dei rimedi affini a quanto prescritto dall’art. 441-bis, comma 1-bis, c.p.p., la soluzione va rinvenuta sul piano interpretativo. In proposito, tocca distinguere, come in precedenza, fra i casi di emendatio iuris e libelli. Nel primo, il giudice potrebbe respingere la domanda di abbreviato già in fase ammissiva, sindacando la correttezza del nomen iuris attribuito dal pubblico ministero ai fatti. Allorché, all’opposto, venisse ammesso erroneamente il rito premiale, sembra ragionevole prospettare un’interpretazione analogica dell’art. 441-bis, comma 1-bis, c.p.p., considerata la somiglianza della situazione disciplinata da tale norma e quella non regolamentata dalla legge. Nel secondo, invece, occorre applicare ancora l’art. 521, comma 2, c.p.p. [38]. Posto che, di recente, la Cassazione ha dato risposta negativa al quesito se al pubblico ministero «sia consentito procedere alla modificazione dell’imputazione o a contestazioni suppletive con riguardo a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari» [39], va a ogni modo ribadito che il «giudice del giudizio abbreviato non è [mai] esonerato dal controllo di correlazione … con conseguente … trasmissione degli atti al pubblico ministero in [continua ..]