argomento: decisioni in contrasto - atti del procedimento
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Si registra in giurisprudenza un contrasto in ordine all’obbligo di traduzione di atti a favore dell’imputato alloglotta che abbia eletto domicilio presso il difensore. Secondo un primo orientamento, in tale ipotesi deve escludersi un obbligo di traduzione degli atti, non verificandosi alcuna lesione concreta dei diritti dell’imputato: tale principio di diritto è stato inizialmente affermato con riguardo all’imputato alloglotta che non comprenda la lingua italiana e si sia reso latitante o irreperibile (Cass., sez. VI, 19 giugno 2014, n. 47896; Cass., sez. VI, 11 giugno 2009, n. 28010; Cass., sez. VI, 13 novembre 2007, n. 47550), anche a seguito della riformulazione dell’art. 143 c.p.p. (Cass., sez. II, 17 febbraio 2015, n. 12101) ed è stato successivamente esteso anche ai casi in cui l’imputato abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia (Cass., sez. II, 16 marzo 2017, n. 31643; Cass., sez. V, 6 novembre 2017, n. 57740). Un diverso indirizzo ermeneutico, cui aderisce la sentenza in esame, afferma al contrario l’obbligo di traduzione degli atti a favore dell’imputato alloglotta anche nel caso in cui questi abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, non anche quello di procedere alla loro traduzione (Cass., sez. I, 23 marzo 2017, n. 23347; Cass., sez. V, 28 settembre 2016, n. 48916).