Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

03/03/2020 - Corte e.d.u., 3 marzo 2020, Filkin c. Portogallo

argomento: corti europee - misure di prevenzione e sicurezza

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Ricorre a Strasburgo un cittadino russo nei cui confronti era stato disposto  il blocco del conto detenuto presso una banca spagnola, per ordine della autorità giudiziaria portoghese la quale, nell’ambito di una complessa indagine per riciclaggio, sospettava che le somme trasferite sul conto bloccato derivassero da pericolose attività criminali, tra cui il traffico internazionale di stupefacenti. Le reiterate richieste  del destinatario del provvedimento - coinvolto  nella relativa inchiesta in veste  di sospettato - volte sia alla consultazione del fascicolo dell’accusa, che alla revoca della misura  applicata, non trovavano accoglimento. Il giudice istruttore, oltre ad opporre il segreto investigativo, rivendicava la legittimità del provvedimento, in quanto disposto non a titolo di sequestro di  deposito bancario con finalità probatorie, ma come misura precauzionale applicabile conformemente a quanto previsto sia dalla legge nazionale portoghese che dalle direttive UE sulla prevenzione del riciclaggio, anche in presenza di semplici sospetti di operazioni collegate al riciclaggio di denaro sporco. Tali argomentazioni venivano ribadite dai giudici successivamente intervenuti nel controllo di regolarità del procedimento. Trascorsi tre anni e sette mesi dall’applicazione della misura, il caso veniva chiuso per insufficienza di prove e le somme di denaro “sbloccate”, senza peraltro che il soggetto  ne venisse informato. Nell’adire la Corte europea, il ricorrente denunciava la violazione del diritto al rispetto dei beni garantito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, tradottasi nella impossibilità di adempiere alcuni obblighi contrattuali assunti in precedenza; e del diritto ad un processo equo.

Ritenuti i profili inerenti il giusto processo assorbiti nella più generale previsione di cui all’art. 1 del Protocollo n. 1, in quanto - nonostante il silenzio della norma - la tutela del diritto di proprietà in ambito giudiziario non può prescindere dalla presenza di adeguate garanzie procedurali, quali il rispetto del contraddittorio e la parità delle armi,  i giudici ribadiscono  le condizioni di legittimità delle interferenze che possano frapporsi all’esercizio di diritti convenzionalmente riconosciuti. L’intervento statuale che, eventualmente, limiti in via temporanea il diritto di proprietà di un soggetto costituisce senz’altro una ingerenza, che in tanto può ritenersi legittima in quanto    risulti funzionale ad uno scopo legittimo, ovvero al soddisfacimento di un interesse generale, coincidente nel caso de quo con la prevenzione di un grave reato; e proporzionata allo scopo perseguito, ovvero fondata su un equo bilanciamento tra esigenze della collettività e  tutela dei diritti individuali, con particolare riguardo alla garanzie  giurisdizionali connesse all’esercizio dei diritti stessi.

 Ciò premesso, la conoscenza del provvedimento da parte del soggetto solo in una fase molto avanzata del procedimento, ha reso la misura preventiva non proporzionata alle esigenze di efficacia delle indagini e di tutela degli interessi di giustizia che, a parere dei Giudici  non sarebbero state comunque frustrate dal coinvolgimento dell’interessato nelle vicende applicative delle misura disposta a suo carico.   L’«addebito speciale e esorbitante» di cui è stato gravato il richiedente in spregio al necessario contemperamento  tra interesse dell’autorità e  diritto individuale al rispetto della proprietà e del diritto di difesa ad essa connesso, ha determinato pertanto la violazione della norma convenzionale invocata.