argomento: corti europee - esecuzione/trattamento carcerario
» visualizza: il documento (Corte e.d.u., 21 gennaio 2020, Strazimiri c. Albania)Articoli Correlati: carcere - non imputabile
Processato per tentato omicidio e dichiarato non imputabile poiché affetto da schizofrenia paranoica, un cittadino albanese era ristretto in carcere con ordinanza del tribunale impositiva di un trattamento medico obbligatorio, dato l’accertato persistere delle sue condizioni di elevata pericolosità. Tuttavia, a causa della conclamata inadempienza dello Stato albanese nell’attuazione della legge interna sulla predisposizione di istituti ad hoc per gli internati con problemi di salute mentale, il soggetto veniva confinato («confined» letteralmente nel testo) nell’ospedale di un istituto penale ordinario, nel quale rimaneva per lunghi anni. Questo l’oggetto principale del ricorso, che denuncia la violazione dell’art. 3 C.e.d.u.. I giudici di Strasburgo, anche in forza dei numerosi rapporti sull’inerzia del governo albanese provenienti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani e degradanti, dichiara la reiterata inosservanza della norma convenzionale. Al di là della criticità delle condizioni materiali di detenzione dovute al sovraffollamento; al degrado degli edifici; alla quasi totale assenza di riscaldamento e acqua calda; alla scarsità di illuminazione e areazione degli ambienti; l’aspetto di maggiore gravità è individuato nella assoluta insufficienza del trattamento medico prestato al soggetto. In spregio ai parametri di “adeguatezza” della assistenza medica definiti nell’ambito della precedente elaborazione (Grande Camera, 31 gennaio 2019, Rooman c. Belgio), la cura dell’internato si era limitata alla somministrazione di medicine, laddove il Piano di trattamento personalizzato stilato in base al Protocollo sulla diagnostica e cura della schizofrenia, approvato dal Ministero della Salute, prevedeva la combinazione di antipsicotici, terapie sociali e psicoterapia, quale unico e irrinunciabile approccio multifattoriale in grado di condurre alla riduzione dei sintomi, alla prevenzione di futuri eventi psicotici e ad una auspicabile reintegrazione sociale del malato. Al contrario, il soggetto è stato lasciato a se stesso, in una situazione di totale “abbandono terapeutico” - afferma la Corte - il che ne ha accresciuto l’isolamento e determinato l’ulteriore deterioramento e declino del generale stato di salute. Tra le pieghe del caso giuridico, la tragicità della vicenda umana sottostante: i giudici la colgono per intero nel momento in cui scrivono che la patologia di tali soggetti li conduce, talvolta, alla totale incapacità di esprimere la sofferenza e gli abusi patiti, con la conseguenza di aggravare, sotto il profilo morale, la responsabilità delle istituzioni titolari della loro custodia.