Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza
(D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14)
I prodromi della riforma
Il d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 rappresenta, pur con tutte le riserve che generalmente accompagnano le riforme di ampia portata, il punto di arrivo di una lunga riflessione che ha accompagnato la disciplina del governo delle crisi di impresa sin dalla legge fallimentare del 1942 e che ha registrato il lento ma progressivo abbandono delle logiche che avevano guidato quel provvedimento.
Pur disciplinando anche procedure differenti, il perno fondamentale della legge era il fallimento, ossia una procedura giudiziaria-liquidativa per effetto della quale il patrimonio dell’imprenditore (persona fisica o giuridica che fosse) veniva sottratto al potere di amministrazione e disposizione dello stesso e destinato al soddisfacimento di tutti i creditori secondo la regola della par condicio.
Il sistema predisposto era sostanzialmente incentrato sul soddisfacimento dei creditori tramite l’esecuzione forzata sui diversi beni che costituivano il patrimonio del fallito. Lo smembramento dell’azienda e del complesso produttivo era dunque la regola.
Analizzando per intero la legge fallimentare, si comprendeva agevolmente come la locuzione “crisi di impresa”, sostanzialmente utilizzata quale sinonimo di insolvenza, fosse espressione di un evidente disvalore.
L’insolvenza accertata era, cioè, una macchia quasi indelebile per l’imprenditore che, accanto alle conseguenze patrimoniali, subiva una serie di misure personali che avevano una portata eminentemente punitiva.
L’impianto della legge fallimentare ha però iniziato a scricchiolare già negli anni settanta. Già in quel periodo, in contrapposizione alle finalità tradizionali del governo delle crisi di impresa (la protezione ed il soddisfacimento dei creditori dell’ente in dissesto attraverso la disgregazione dei complessi produttivi) si inizia a manifestare in maniera evidente la diversa esigenza di conservazione dell’organismo stesso, sempre più considerato un’entità da preservare e tutelare.
Queste prime istanze si tradussero nel d.l. 30 gennaio 1979, n. 26 che introdusse una nuova procedura, ossia l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi che, al di là dell’importanza della stessa, segnano l’affermarsi accanto alla finalità della liquidazione e disgregazione dei complessi produttivi anche il recupero e la riorganizzazione degli stessi.
La rivoluzione iniziata negli anni settanta non risiede però solo nella previsione di una nuova procedura di risoluzione della crisi dichiaratamente volta al recupero, ma anche nell’aver posto in luce come il miglior soddisfacimento dei creditori non passi necessariamente per lo smembramento dei complessi produttivi [continua..]