Libertà di espressione e giustizia penale
(Corte e.d.u., 7 marzo 2019, Sallusti c. Italia)
La Corte di Strasburgo è intervenuta sui rapporti tra libertà di espressione e giustizia penale, esprimendo una censura verso il nostro Paese per il caso di un noto giornalista, condannato alla pena della reclusione per un anno e due mesi, oltre ad euro 5.000 di multa, per diffamazione aggravata, in rapporto a due articoli pubblicati nel 2007 su una testata nazionale.
La vicenda in argomento aveva seguito un iter particolare, post rem iudicatam:
– il 16 ottobre 2012 il pubblico ministero notificava all’interessato l’ordine di esecuzione, sospeso ex art. 656, comma 5, c.p.p.;
– il condannato lasciava decorrere il termine per la richiesta di misure alternative dalla libertà;
– spirati i trenta giorni per l’anzidetta istanza, la Procura sospendeva nuovamente il provvedimento restrittivo, stavolta ai sensi dell’art. 1, comma 3, l. 26 novembre 2010, n. 199, e trasmetteva gli atti al magistrato di sorveglianza, che applicava all’odierno ricorrente la detenzione domiciliare.
All’indomani della seconda sospensione, la dottrina si era interrogata se una prassi siffatta non ledesse l’art. 656, comma 7, c.p.p., laddove vieta di interrompere gli effetti dell’ordine di carcerazione per più di una volta; l’opinione maggioritaria concludeva per la legittimità dell’opzione individuata dal pubblico ministero nel caso in parola, poiché la norma testé invocata si riferirebbe al solo meccanismo sospensivo descritto dall’art. 656, comma 5, c.p.p. e non ad altri, previsti da regole speciali come, per l’appunto, l’art. 1, comma 3, l. n. 199 del 2010.
Ma la vicenda dell’attuale istante non si esauriva a questo punto.
Nel dicembre 2012 l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo i poteri a lui accordati dall’art. 87, comma 11, Cost., concedeva al condannato di commutare la parte di pena detentiva ancora da espiare in regime domiciliare nella corrispondente sanzione pecuniaria, calcolata secondo il criterio dell’art. 135 c.p. (un giorno in vinculis = euro 250 di multa).
Alla base di siffatta decisione v’erano proprio gli orientamenti critici, già palesati in sede europea, «in particolare dal Consiglio d’Europa, rispetto al ricorso a pene detentive nei confronti dei giornalisti»: così si esprimeva la Presidenza della Repubblica, nella nota di accompagnamento al decreto di commutazione della pena, peraltro sollecitando, «nelle istituzioni e nella società, una riflessione sull’esigenza di pervenire a una disciplina più equilibrata ed efficace dei reati di diffamazione a mezzo stampa».
È parso utile ripercorrere la vicenda, [continua..]