La Corte di Giustizia si pronuncia nuovamente sui termini per l’adozione di una decisione sul m.a.e.
(Corte di Giustizia U.E., Sez. I, 12 febbraio 2019, causa C-4092/18 PPU)
La questione pregiudiziale affrontata dalla decisione in esame concerne la compatibilità del diritto interno dei Paesi Bassi rispetto al dettato della decisione quadro 2002/584/GAI e all’interpretazione dell’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (nel prosieguo: la “Carta”): nello specifico, essa era volta a chiarire se, nei casi di esecuzione di un mandato d’arresto europeo (m.a.e.) a carico di una persona per la quale il rischio di fuga è stato ritenuto elevato e non passibile di essere contenuto in maniera apprezzabile da alcuna diversa misura, sussista un obbligo generale e incondizionato alla remissione in libertà del soggetto, nel momento in cui il periodo di restrizione del predetto si protragga per più di 90 giorni a decorrere dalla data dell’arresto, così come impone l’art. 22,§ 4, dell’OLW (Legge sulla riconsegna).
L’istanza in parola è stata presentata dal Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam) in relazione ad un m.a.e. emesso dalle competenti autorità del Regno Unito nei confronti di T.C., cittadino britannico sospettato di aver partecipato, quale membro di spicco di un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, all’importazione, distribuzione e vendita di un’ingente quantità di cocaina. Il predetto, arrestato nel territorio dei Paesi Bassi, è stato posto in stato di custodia cautelare per un periodo inizialmente pari a 60 giorni, poi prorogato di ulteriori 30, nell’attesa che il Tribunale, che aveva presentato un rinvio pregiudiziale, adottasse la decisione di esecuzione del m.a.e.
Ciò posto, la Corte ha preliminarmente osservato che, per garantire l’efficacia del sistema di consegna delle persone condannate o sospettate, delineato dalla decisione quadro 2002/584 e fondato sul principio del c.d. riconoscimento reciproco, si devono interpretare gli artt. 15 e 17 della decisione quadro nel senso di imporre all’autorità procedente l’adozione della decisione definitiva sull’esecuzione del m.a.e. entro termini ben precisi, pari a 60 giorni, prorogabili al massimo di 30 giorni in casi particolari. Tuttavia, secondo quanto già statuito nella sentenza Lanigan (C. giust. UE, 16 luglio 2015, Lanigan, C-237/15), la necessità di garantire al giudice di ultima istanza la possibilità di adire la Corte di Giustizia, da un lato, nonché l’eventuale valutazione effettuata dall’autorità deputata all’esecuzione del m.a.e. circa l’esistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante (art. 4 della Carta) o di violazione del diritto al giusto processo in [continua..]