Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale (di Francesca Delvecchio)


LA CONSULTA SUI “TEMPI” DELLA MESSA ALLA PROVA: NESSUN’ECCEZIONE AL TEMPUS REGIT ACTUM (C. cost., sent. 26 novembre 2015, n. 240) La Corte costituzionale (sentenza del 26 novembre 2015, n. 240) si pronuncia in tema di disciplina intertemporale della messa alla prova, ritenendo infondata la questione di legittimità dell’art. 464-bis, comma 2, c.p.p., sollevata dal Tribunale di Torino in riferimento gli artt. 3, 24, 111 e 117, comma 1, Cost., e art. 7 CEDU, nella parte in cui la norma, in assenza di una disposizione transitoria, preclude l’ammis­sione all’istituto agli imputati di processi pendenti in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della l. n. 67 del 2014. La pronuncia, invero molto attesa, interviene per fare chiarezza sulla vexata quaestio dei “tempi di applicazione” dell’art. 464-bis c.p.p. che, in assenza di coordinate normative espresse, può essere risolta unicamente facendo ricorso ai principi generali di diritto intertemporale previsti dall’ordinamento. Un’operazione, questa, tutt’altro che agevole, che a monte presuppone un’indagine circa la natura del nuovo istituto processuale: in parte disciplinato all’interno del codice penale, come nuova causa di estinzione del reato, e in parte nel codice di procedura penale, quale nuovo procedimento speciale, la messa alla prova assume connotati sia sostanziali che processuali; la sua natura “anfibia” si ripercuote inevitabilmente sulla scelta delle norme intertemporali da applicare. Difatti, ove si ritenga che abbia natura essenzialmente processuale, l’operatività della disciplina sarebbe sorretta dal principio tempus regit actum, con la conseguenza che non potrebbe accedersi all’isti­tuto in tutti i giudizi che abbiano già superato i termini di cui all’art. 464-bis c.p.p. Ove, al contrario, si consideri che le nuove norme abbiano introdotto un istituto sostanziale di favore, si potrebbe richiamare il principio di retroattività della lex mitior superveniens, convenzionalmente imposto (ex art. 7 CEDU). Il Tribunale torinese, inserendosi nel solco già tracciato da altre pronunce della giurisprudenza di merito, si mostra favorevole ad un’esegesi estensiva, che conduca all’applicazione della messa alla prova anche ai giudizi in cui i termini siano spirati, ma si trovino pendenti in primo grado: esigenze di uguaglianza e ragionevolezza – si legge nell’ordinanza di rimessione – impongono l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole a quei processi nei quali sia già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento. Ciò appare rispettoso anche del diritto di difesa dell’imputato, declinato come [continua..]

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Fascicolo 1 - 2016