Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La particolare tenuità del fatto: punti di approdo in vista di eventuali modifiche alla disciplina (di Carlo Longari, Ricercatore in diritto penale – Università di Roma “Tor Vergata”)


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 Nel contributo in oggetto l’Autore esamina i più rilevanti punti di approdo in materia di particolare tenuità del fatto, analizzando le principali problematiche sottese alla causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.

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Art. 131 bis c.p.: cultural milestones in view of the final report and amendment proposals to the D.D.L.A.C.2435

In this article the Author examines the most relevant law achievements in relation to the minor nature of the offense, analyzing the main issues of the punishment exemption in the case of trifling criminal offense ex art. 131 bis c.p.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La soglia applicativa - 3. La particolare tenuità del fatto nel codice penale e nei sottosistemi penali - 4. Natura sostanziale - 5. Tenuità dell’offesa, abitualità del comportamento e compatibilità con il reato continuato - 6. Archiviazione per particolare tenuità del fatto e iscrizione sul casellario giudiziale - 7. Tenuità del fatto e interesse ad impugnare - 8. In tema di riti speciali - 9. Responsabilità amministrativa degli enti - NOTE


1. Premessa

La rimodulazione della soglia di definizione del processo per la particolare tenuità del fatto e l’allargamento delle condotte susseguenti al reato nella valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa, previste dalla Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L.A.C.2435 presentata il 24 maggio 2021 dalla Commissione di studio presieduta dal dott. Giorgio Lattanzi [1], offrono lo spunto per la disamina dei punti di approdo, soprattutto alla luce della giurisprudenza di legittimità, degli aspetti più problematici sollevati dall’art. 131 bis del Codice penale [2]. L’istituto della c.d. particolare tenuità del fatto muove nella direzione del rafforzamento dei principi di extrema ratio e di proporzione. L’intento deflattivo del carico giudiziario che ne ha ispirato l’in­tro­du­zione, dunque, si è tradotto in una norma che affida al potere del giudice la valutazione in concreto circa l’opportunità di applicare la pena. Più corretto, quindi, esprimersi in termini non tanto di depenalizzazione, che non può essere concepita se non in astratto, quanto di amministrazione giudiziale della pena [3]. Il legislatore, pertanto, ha generalizzato un meccanismo di esclusione della punibilità legato alla particolare tenuità e lo ha fatto con un intervento sul terreno del diritto penale sostanziale, prevedendo una causa di non punibilità in senso stretto. Tali figure, a differenza delle scriminanti e delle scusanti, si collocano fuori dalla struttura del reato e non incidono sull’esistenza dello stesso, limitandosi esclusivamente ad impedire l’applicazione della pena. Le cause di non punibilità in senso stretto condividono la medesima funzione, seppur in senso diametralmente opposto, delle condizioni obiettive di punibilità. Entrambe, infatti, concorrono a delineare il confine tra “necessità” e “meritevolezza” della pena, assolvendo ad un ruolo estraneo al nucleo offensivo del reato. Nel caso dell’art. 131 bis c.p., il soggetto agente meriterebbe la sanzione penale, ma per ragioni di convenienza politico-criminale il legislatore non ritiene opportuno punire questo fatto particolarmente tenue, seppur tipico, offensivo, antigiuridico e colpevole. La descrizione normativa di questa figura ruota attorno a due “indici-criteri”, la [continua ..]


2. La soglia applicativa

L’operatività dell’art. 131-bis, prevista in relazione ai soli reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ha da sempre destato non poche perplessità, tanto da essere oggetto di fondata censura Costituzionale per vizio di ragionevolezza. La mancata previsione di una soglia individuata anche sul minimo edittale impedisce oggi la possibilità di ricorrere allo strumento deflattivo in presenza di fatti che, seppur privi di particolare offensività, sono sussumibili in fattispecie con previsione di pena massima superiore ai cinque anni [4]. Il proposto riferimento della Commissione ad una soglia di pena minima, che sposa un già diffuso orientamento dottrinale, consentirà, rispetto alla disciplina vigente, di applicare la causa di esclusione della punibilità a condotte di minima importanza riconducibili a una gamma di reati numericamente e prasseologicamente significativa: quelli puniti con pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni e pena minima determinata in misura non superiore a tre anni [5]. A ciò si aggiunge che, considerata la pacifica natura di fattispecie autonoma di reato del tentativo, la soglia minima dei tre anni dovrà essere presa in considerazione anche quando ad essa si giunga tramite la diminuzione di cui all’art.56 c.p. [6]


3. La particolare tenuità del fatto nel codice penale e nei sottosistemi penali

Nel momento in cui ha visto la luce l’art. 131-bis c.p., l’esiguità del fatto già viveva nei procedimenti di competenza del giudice di pace [7] e nel procedimento minorile [8]. Pur tuttavia il legislatore non ha regolato i rapporti tra la norma del codice penale e quelle proprie delle discipline speciali, dando così vita al problema della applicabilità della nuova causa di non punibilità nei suddetti sottosistemi. Premessa l’insussistenza di un rapporto di specialità tra le norme [9], la questione versa intorno a quelle fattispecie che, pur non rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 ovvero dell’art. 27 d.p.r. n. 48/1988, possono tuttavia essere ricomprese nell’art. 131 bis c.p. [10]. Circa la norma contenuta nel codice di rito avanti il giudice di pace, la soluzione è arrivata con la sentenza delle Sezioni unite n. 53683 del 2017, che ha ritenuto la non applicabilità dell’art. 131 bis c.p. ai reati di competenza del giudice di pace [11]. Il percorso motivazionale dei giudici di legittimità passa attraverso l’art. 16 c.p., in forza del quale le disposizioni del codice penale si applicano anche alle materie regolate da altre leggi penali solo quando non sia queste stabilito altrimenti. In estrema sintesi, secondo la Suprema Corte, la seconda parte dell’art. 16 c.p. opera come clausola di salvaguardia della disciplina speciale, per il cui accertamento non è sufficiente un mero confronto tra gli istituti isolatamente considerati ma è necessario avere riguardo al ruolo e alla funzione che quegli stessi istituti svolgono all’interno dell’intero sistema di riferimento. E certamente ruolo e funzione specifica riveste l’art. 34 del d.lgs. n. 274/2000, stante la diversa natura giuridica rispetto alla norma codicistica, processuale la prima-sostanziale la seconda, la previsione di specifici epiloghi decisori, caratterizzati da valutazioni del giudice volte a realizzare la conciliazione tra le parti, nonché il ruolo della persona offesa che può, con una manifestazione di volontà espressa, precludere la conclusione del processo per particolare tenuità del fatto. L’indicazione della Corte di legittimità, già accolta dalla dottrina, ha avuto ulteriore conferma nella pronuncia costituzionale n. 120 del [continua ..]


4. Natura sostanziale

Nulla qaestio sulla natura sostanziale della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., che si ricava dalla definizione che ne fa il legislatore in termini di punibilità e non di procedibilità, dalla collocazione sistematica all’interno del codice penale, dal presupposto dell’esistenza di un reato e, infine, dalle disposizioni di coordinamento processuale introdotte nel codice di rito [15]. La definizione legislativa di causa di non punibilità e il presupposto dell’esistenza di un reato, ne esclude la possibilità applicativa, per un verso controversa nelle decisioni di merito, in sede esecutiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 comma 2 c.p. e 673 c.p.p., quale lex mitior che mitiga, rispetto al passato, gli effetti della legge penale incriminatrice. Se infatti la causa di non punibilità presuppone l’esistenza di un reato completo e se l’abolitio criminis presuppone che il reato sia stato invece eliminato dall’ordinamento giuridico, deve valutarsi del tutto arbitrario assimilare le conseguenze dei due fenomeni che si muovono in ambiti operativi differenti. E neppure risulta applicabile tout court l’art. 2 comma 4 c.p., stante lo sbarramento del sopravvenuto giudicato alla sua operatività [16].


5. Tenuità dell’offesa, abitualità del comportamento e compatibilità con il reato continuato

Pacificamente risultano definiti i richiesti confini applicativi della tenuità dell’offesa e della abitualità del comportamento. Circa il primo, non deve aversi riguardo ad una offesa tenue o grave in chiave archetipa, ma deve valorizzarsi la concreta estrinsecazione del reato [17]. Per il secondo, una volta definitivamente ammessa la diversità strutturale tra il requisito della non abitualità e il concetto di non occasionalità della condotta [18], gli arresti di maggiore interesse sotto il profilo sostanziale, riguardano la compatibilità del requisito della non abitualità del comportamento con il reato continuato [19]. Le pronunce più recenti tendono ad escludere, nel generale, l’applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. nel caso di più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso [20]. In tale direzione, appare legittimo escludere che, con il riferimento ai reati della stessa indole, il legislatore si sia riferito esclusivamente ai casi di precedenti specifici, ben potendo, in tal caso, utilizzare i canoni della recidiva specifica. Esegesi questa avvalorata anche dalla Relazione Governativa di illustrazione del d.lgs. n. 28/2015, nella quale si legge che nel testo dell’art. 131 bis c.p. “non vi è alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell’ulteriore richiamo alla condotte plurime, abituali e reiterata”. La stessa Relazione Governativa, dunque, se implicitamente riconosce nella continuazione un indice della minor intensità del dolo espresso nella progressione criminosa, ne limita tuttavia l’efficacia al trattamento sanzionatorio, rifiutando di estendere la stessa fino ad elidere la circostanza, ostativa al riconoscimento del beneficio, della oggettiva reiterazione di condotte penalmente rilevanti. Nel passaggio dal citato livello generale al particolare, la giurisprudenza di [continua ..]


6. Archiviazione per particolare tenuità del fatto e iscrizione sul casellario giudiziale

La questione, nel tempo controversa, è stata risolta dalle Sezioni unite con la sentenza n. 38954/2019. Il contrasto giurisprudenziale sul punto vedeva contrapposto un orientamento maggioritario portato a negare l’iscrivibilità nel casellario giudiziale dei provvedimenti di archiviazione adottati ex art.131 bis c.p. ad un secondo che ne riconosce, al contrario, la legittimità. Il primo argomentava sulla non definitività di tale provvedimento giudiziario e, come tale, non rientrava nella categoria dei provvedimenti inscrivibili perimetrata dall’art. 3, comma 1, lett. f) del d.p.r. n. 313/2002. Alla non iscrivibilità nel casellario giudiziale, il medesimo orientamento ne faceva discendere la carenza di interesse dell’indagato a ricorrere avverso tale provvedimento [25]. Il secondo, contrapponeva l’argomento della necessità, per la validità del provvedimento, del contraddittorio tra le parti, previsto dall’art. 411, comma 1 bis c.p.p., indice di un proscioglimento non completamente liberatorio e come tale destinato ad essere iscritto nel casellario giudiziale [26]. È bene precisare che il sostenuto contenuto “non completamente liberatorio” del provvedimento di archiviazione pronunciato ai sensi dell’art. 411 comma 1 c.p.p., presupponeva una interpretazione della modifica apportata all’art. 3 comma 1, lett. f) del d.p.r. n. 313/2002 in termini opposti rispetto a quella condivisa dall’indirizzo giurisprudenziale maggioritario [27]. Ed è proprio sposando tale ultima interpretazione che le Sezioni unite hanno risolto il contrasto legittimando l’iscrizione nel casellario giudiziale del decreto di archiviazione. Per i Giudici, infatti, l’art. 3, comma 1, lett. f) del d.p.r. n. 313/2002, così come modificato nel 2015, non prevede l’iscrivibilità nel casellario giudiziale dei soli provvedimenti che in via definitiva hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p., ed anzi, con la modifica del 2015, il legislatore ha inteso ampliare il catalogo dei provvedimenti giudiziari senza richiederne più il carattere definitivo. Siffatta interpretazione, sempre secondo le Sezioni unite, è coerente anche con le modifiche apportate, sempre nel 2015, agli art. 23 e 24 del d.p.r. n. 313/2002 i quali, individuando il contenuto dei certificati del casellario [continua ..]


7. Tenuità del fatto e interesse ad impugnare

L’interesse ad impugnare i provvedimenti giudiziali che hanno fatto applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. è stato diversamente declinato. Pacificamente riconosciuto in capo all’imputato destinatario di sentenza [30]. La pronuncia, infatti, ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso [31]; è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale [32]; può essere ostativa ad una nuova applicazione della causa di non punibilità [33]. Controverso, fino alla citata sentenza delle SS.UU. n. 38954 del 30 maggio 2019, nell’ipotesi di decreto emesso ai sensi dell’art. 411 comma 1-bis c.p.p. La riconosciuta legittima cittadinanza del provvedimento di archiviazione nel casellario giudiziale offre al destinatario del provvedimento un indiscutibile interesse all’impugnazione e supera l’orienta­mento giurisprudenziale negativo [34]. Negato alla parte civile, tutte le volte nelle quali la sentenza intervenga dopo lo svolgimento del­l’at­tività istruttoria. Diversamente, ove il provvedimento sia stato emesso in assenza dell’accertamento del fatto contestato all’imputato, la particolare tenuità non può dirsi in alcun modo apprezzata “per mezzo di un giudizio sintetico sul fatto concreto, elaborato alla luce di tutti gli indici normativamente indicati, avuto riguardo non alla fattispecie astratta di reato, ma a quella concretamente realizzata [35]”; ne segue che, in tali casi, al mancato accertamento del fatto segue la preclusione di efficacia della pronuncia ai sensi del­l’art. 651-bis c.p.p., con interesse della parte civile all’impugnazione del provvedimento.


8. In tema di riti speciali

La declaratoria di non punibilità all’interno dei cd. riti speciali ha sollevato due tipologie di problemi. La prima riguarda la compatibilità della stessa con l’art. 129 c.p.p. e, in particolare, la possibilità di un immediato proscioglimento anche nei casi di richiesta di decreto penale di condanna o di applicazione pena su richiesta delle parti. La necessità di un accertamento nel merito dei presupposti applicativi dell’art. 131 bis c.p. e il dato normativo contenuto nell’art. 129 c.p.p., che non contempla tra le ragioni di immediato proscioglimento la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto hanno portato ad escluderne la possibilità applicativa da parte del giudice destinatario della richiesta del rito speciale [36]. La seconda, connessa alla prima, ha ad oggetto la attuabilità in capo al giudice destinatario della richiesta di rito speciale di restituire gli atti al pubblico ministero sollecitando una valutazione sulla possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto. Tale capacità, negata per il rito di cui all’art. 444 c.p.p. va invece ritenuta ammissibile con riferimento al procedimento per decreto. Non vi è dubbio, infatti, che rientra nei poteri del giudice per le indagini preliminari l’invito a verificare il carattere particolarmente tenue dell’illecito contestato nell’imputazione, senza che ciò implichi alcuna invasione delle competenze dell’organo requirente [37].


9. Responsabilità amministrativa degli enti

Il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. insiste, per la propria natura, sull’accertamento della responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 e apre la strada sul destino da assegnare alla responsabilità della persona giuridica quando alla persona fisica siano riconosciuti gli effetti di una causa di non punibilità. Gli arresti attuali, incentrati sull’autonomia della responsabilità della persona giuridica rispetto a quella della persona fisica, non escludono che il primo possa essere destinatario di una sanzione amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001 anche in presenza di una declaratoria di proscioglimento della persona fisica per particolare tenuità del fatto. Si tratta, nella sostanza, del totale accoglimento del dato normativo che, all’art. 8 del d.lgs. 231/2001 prevede che “la responsabilità dell’ente sussiste anche quando …il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia” [38]. In altri termini, l’accertamento di un reato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, riconducibile secondo i modelli di imputazione soggettiva degli art. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001 ad una colpa di organizzazione, si viene a configurare come presupposto necessario e sufficiente a fondare l’assoggetta­bilità a sanzione dell’ente, a prescindere dalla punibilità dell’autore individuale, al di fuori delle sole ipotesi di estinzione del reato previste nell’art. 8 lett. b) del d.lgs. n. 231/2001 [39]. Così, l’autonomia della responsabilità della persona giuridica rispetto a quella della persona fisica necessita, in presenza di un proscioglimento di quest’ultima per particolare tenuità del fatto, di un autonomo accertamento della responsabilità dell’ente nel cui interesse o vantaggio il reato è stato commesso. Più precisamente, la responsabilità della persona giuridica, cui non si estende ex lege l’art.131-bis c.p. [40], non può essere desunta in via automatica dall’accertamento contenuto nella sentenza di proscioglimento emessa nei confronti della persona fisica [41].


NOTE
Fascicolo 5 - 2021