Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Prescrizione del reato e inerzia del pubblico ministero: nuove prospettive e limiti dei diritti della vittima nelle indagini preliminari (di Martina Aloisi, Dottore in giurisprudenza)


Il 18 marzo 2021 la Corte e.d.u. è tornata ad occuparsi della posizione giuridica rivestita nell’ordinamento italiano dalla persona offesa prima dell’esercizio dell’azione penale, riscontrando l’avvenuta violazione del suo diritto di accesso a un tribunale e di quello alla ragionevole durata del procedimento nel caso in cui, a causa dell’inerzia del titolare delle indagini, il reato si fosse prescritto nella fase delle indagini preliminari. La decisione in commento consente di riaprire il dibattito su due temi che appaiono strettamente correlati: l’interesse di giustizia della vittima del reato, origine di diritti partecipativi che prescindono dalle eventuali richieste civilistiche, e la configurabilità in capo al pubblico ministero di un vero e proprio obbligo di attivazione in tempi ragionevoli, conseguente all’esercizio dei diritti della persona offesa.

Offence prescription and prosecutor’s inaction: new perspectives and victim rights’ limits during investigation

On 18th March 2021 the ECHR re-examined the legal position of the victim of an offence before the institution of a criminal prosecution in Italian law, thus declaring the violation of the right of access to a court and of the right to trial within reasonable time when the prosecution became time-barred because of the inactivity of the public prosecutor. This decision allows for new discussion on two relevant issues which appear strictly connected with each other: the interest of justice of the victim of an offence, which is the origin of participatory rights unrelated from reparation, and the possibility to commit the public prosecutor to investigate within a reasonable time.

Durata irragionevole delle indagini, prescrizione del reato e diritto di accedere al giudice L’indagine per un fatto non complesso che si dilunghi inutilmente viola il diritto della persona offesa ad una celere risposta dell’autorità dinanzi alla denuncia di fatti penalmente rilevanti; l’inerzia degli inquirenti nella gestione del­l’accertamento ridonda negativamente sull’art. 6, §1 Cedu (ragionevole durata del procedimento) e si riverbera sulla posizione dell’offeso, che non ha strumenti effettivi per fare valere le proprie istanze e per sollecitare l’avvio di un giudizio penale sui fatti che lo hanno colpito, donde la contestuale infrazione, da parte dell’autorità nazionale, dell’art. 13 Cedu [nel caso di specie, alcun atto investigativo era stato compiuto per sei anni a seguito di una querela della vittima per diffamazione a mezzo stampa]. [Omissis] INTRODUZIONE 1. La presente causa riguarda l’eccessiva durata delle indagini preliminari svolte nell’ambito del procedimento avviato dal ricorrente, l’assenza di un ricorso effettivo che consenta a quest’ultimo, in quanto parte lesa, di presentare delle doglianze a tale riguardo, e l’archiviazione della denuncia dell’in­teressato per intervenuta prescrizione del reato. Il ricorrente denuncia una violazione degli articoli 6 § 1, 8, 13 e 14 della Convenzione. IN FATTO 2. Il ricorrente è nato nel 1951 e risiede a Caserta. È stato rappresentato dall’avvocato A. Imparato. 3. Il Governo è stato rappresentato dal suo ex agente, E. Spatafora. 4. Il ricorrente è avvocato. All’epoca dei fatti, era anche presidente di una squadra di calcio, la «Casertana». 5. Il 22 luglio 2001 il giornale «Corriere di Caserta» pubblicò in prima pagina un articolo intitolato «Buco di mille miliardi "firmato" Petrella & Co.». L’articolo, accompagnato da una fotografia del ricorrente, conteneva il seguente passaggio: «L’amministrazione sanitaria locale e la regione si sono dissanguate in sei anni. Cifre a nove zeri per gli onorari del presidente della Casertana, Petrella, mentre il vice pretore onorario era [X], numero due della società, che ha fatto eseguire 6.066 pignoramenti, arricchendo così i suoi amici avvocati. (...). Sei anni di salassi nel bilancio della sanità pubblica ad opera di giudici e avvocati (guarda caso Petrella e [X], oggi presidente e vicepresidente della Casertana), [che] avranno ripercussioni per decenni». Il 23, 24 e 25 luglio 2001 il «Corriere di Caserta» pubblicò altri articoli con contenuto simile a quello del 22 luglio. 6. Ritenendo che gli articoli apparsi sul «Corriere di Caserta» avessero offeso il suo onore e la sua reputazione, il 28 luglio 2001 il ricorrente sporse denuncia per diffamazione a mezzo [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il caso e le questioni - 2. La giurisprudenza europea e il diritto della vittima ad accedere a un giudizio equo - 3. Verso un diritto della vittima all’effettività delle indagini - 4. L’incidenza dei diritti della persona offesa sulla configurazione degli obblighi del pubblico ministero relativi all’esercizio dell’azione penale - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Il caso e le questioni

La sentenza emanata dalla Corte di Strasburgo il 18 marzo 2021 si segnala per la sua indubbia importanza nell’ottica della valorizzazione della tutela della persona offesa dal reato, riscontrando una violazione convenzionale dei suoi diritti nel caso in cui l’inerzia del titolare delle indagini abbia determinato il maturare del termine di prescrizione del reato e la conseguente archiviazione del procedimento penale. In particolare, i giudici europei hanno ravvisato una violazione degli artt. 6 § 1 e 13 Cedu da parte dell’ordinamento italiano nella parte in cui, rendendo impossibile la costituzione di parte civile all’offeso che sia stato danneggiato da reato, viola il suo diritto ad un equo processo, sotto il profilo della ragionevole durata dello stesso, e il suo diritto di accesso alla giustizia, a causa dell’assenza di un ricorso effettivo di cui il ricorrente possa servirsi per ottenere il soddisfacimento delle sue pretese risarcitorie o l’equa riparazione del danno. Nella fattispecie, il ricorrente presentò querela il 28 luglio 2001 denunciando di essere stato vittima del reato di diffamazione a mezzo stampa in seguito alla pubblicazione di un articolo che lo accusava di corruzione e truffe gravi ai danni della sanità pubblica, manifestando nella denuncia stessa l’intenzione di costituirsi parte civile e chiedere un risarcimento di dieci miliardi di lire a titolo di danno e di interessi. Una volta iscritta la notizia di reato, tuttavia, il titolare delle indagini rimase inerte finché, il 9 novembre 2006, la procura di Salerno chiese l’archiviazione del procedimento in ragione della intervenuta prescrizione del delitto denunciato: il 17 gennaio 2007 il giudice per le indagini preliminari accolse la richiesta di archiviazione, determinando la chiusura del procedimento penale. Il ricorrente si rivolse quindi alla Corte e.d.u., lamentando l’eccessiva lunghezza del procedimento e la violazione del suo right of access to a court poiché l’intervenuta archiviazione gli avrebbe impedito di esercitare l’azione civile in sede penale, costringendolo ad introdurre un’azione davanti al giudice civile che avrebbe potuto rivelarsi inutilmente sterile e costosa, soprattutto in caso di successiva insolvenza della parte avversa. L’approdo giurisprudenziale segnato dalla sentenza in commento rafforza indubbiamente il ruolo [1] della vittima del reato, le [continua ..]


2. La giurisprudenza europea e il diritto della vittima ad accedere a un giudizio equo

Proprio il riconoscimento di tale diritto di accesso al giudice in capo alla vittima del reato evidenzia l’esistenza di un diritto al processo, quale garanzia preliminare a tutte le altre garanzie processuali previste dalla Cedu [5]. Da qui discenderebbe ciò che parte della dottrina italiana qualifica «diritto alla giurisdizione» [6], inteso come diritto non solo di accesso a un giudice ma comprensivo delle garanzie del giusto processo [7]. Com’è noto, i giudici di Strasburgo escludono di netto la possibilità di riconoscere all’offeso un diritto di iniziativa processuale finalizzato alla condanna del presunto autore del reato. Tuttavia, al contempo, tendono costantemente ad affermare che – qualora lo Stato preveda l’esercizio dell’azione civile all’interno del processo penale – il processo stesso debba possedere tutte le garanzie previste dall’art. 6 Cedu, tra le quali rientra anche il principio di ragionevole durata del procedimento. L’evoluzione giurisprudenziale europea manifesta quindi una chiara tendenza a considerare il processo uno «strumento fondamentale di salvaguardia (anche) degli interessi delle vittime da reato» [8], potenziandone, in tal modo, il ruolo e le legittime aspettative. La sentenza in esame aggiunge un altro tassello a favore della tutela del soggetto che cumuli le qualità di persona offesa e di danneggiato dal reato, riconoscendogli lo status di parte sostanziale qualora abbia esercitato i diritti e le facoltà riconosciutegli dalla legge nella fase delle indagini preliminari. Tuttavia, il ragionamento della Corte, sempre legato alle sole pretese civilistiche, non sembra del tutto condivisibile. La circostanza che nella fattispecie il titolare delle indagini non avesse mai presentato la richiesta di rinvio a giudizio impedì la formalizzazione della costituzione di parte civile, per cui è innegabile che una domanda non fosse neanche stata formulata, né a tal fine poteva essere considerata sufficiente la semplice riserva di richiedere un risarcimento del danno, seppure quantificato, inserita in querela. Lo stesso ricollegare l’esercizio dei diritti riconosciuti alla persona offesa nella fase investigativa alla costituzione di parte civile potrebbe sembrare fuorviante. Invero tali situazioni giuridiche soggettive nulla hanno a che vedere con le domande di riparazione, [continua ..]


3. Verso un diritto della vittima all’effettività delle indagini

Al fine di garantire pienamente il diritto alla giurisdizione della vittima del reato, potrebbe quindi essere utile sganciare la sua tutela dalla necessaria richiesta di risarcimento del danno. A ben guardare, per ottenere il risarcimento del danno è sempre possibile adire il giudice civile. Al contrario, in assenza di un processo penale, a rimanere inascoltata è proprio la richiesta di giustizia dell’offeso. Mentre può legittimamente dubitarsi che la sola presentazione della querela comporti il sorgere in capo al danneggiato dal reato di una legittima aspettativa a che la decisione sulla fondatezza delle sue domande di riparazione del danno venga presa all’interno del circuito processuale penale, è indubbio che il solo rivolgersi alle pubbliche istituzioni affinché svolgano i ruoli affidati loro dalla legge fa sorgere in capo all’offeso dal reato una legittima aspettativa a che la sua domanda di giustizia trovi adeguato soddisfacimento. Un procedimento che pretenda di essere equo non può prescindere dalla tutela di tali aspettative [12] e la stessa Corte e.d.u. ha sostenuto che la tempestività e l’efficacia della risposta statuale alla commissione di atti illeciti costituiscono un requisito essenziale al fine di mantenere la fiducia dei cittadini nell’operato dello Stato [13]. Occorre peraltro evidenziare che la coesistenza della persona offesa e della parte civile e la necessaria previsione delle richieste di riparazione del danno perché l’offeso possa accedere, in qualità di parte, al processo penale, contribuiscono alla percezione della vittima del reato come una figura dai caratteri ambigui e confusi [14], indebolendola [15]. Alla luce di tali considerazioni, mentre in nessun caso può essere attribuito alla persona offesa un diritto all’instaurazione del processo, ben più ragionevole sarebbe riconoscere all’offeso un diritto all’attivazione del titolare delle indagini, con il quale deve intendersi diritto a che le indagini da questi svolte a seguito dell’emergere della notizia di reato siano effettive. La tutela della posizione della vittima del reato e il soddisfacimento delle sue istanze di giustizia richiedono infatti che il titolare delle indagini si attivi al fine di accertare se vi sono i presupposti per l’esercizio dell’azione penale. All’offeso quindi non deve essere [continua ..]


4. L’incidenza dei diritti della persona offesa sulla configurazione degli obblighi del pubblico ministero relativi all’esercizio dell’azione penale

È evidente che la previsione di un diritto all’attivazione del pubblico ministero in capo alla vittima non può in alcun modo prescindere dalla previsione di un correlato obbligo di agire in capo al titolare delle indagini. Il rischio, altrimenti, è quello di privare le garanzie della persona offesa di effettività, svuotandole di significando. Tale collegamento è stato riscontrato dalla stessa Corte e.d.u. che, nella sentenza Petrella c. Italia, per affermare la violazione del diritto della persona offesa, è partita dalla premessa dell’esistenza, nell’ordinamento italiano, del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. È proprio quest’ultimo principio, infatti, a comportare l’insorgere in capo all’offeso della legittima aspettativa a che il titolare delle indagini decida sulla fondatezza o meno della notizia di reato, formulando una richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio. In definitiva, tale principio comporterebbe un obbligo per il pubblico ministero a svolgere le indagini necessarie ad assumere le sue determinazioni relative all’esercizio dell’azione penale, in un senso o nell’altro, escludendo però la legittimità di qualsiasi condotta inerte. A ciò si aggiunge l’interpretazione che la Corte costituzionale ha già dato in passato al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, arricchendolo del principio di completezza delle indagini [22]. Non sarebbe infatti sufficiente l’assunzione di una determinazione sull’esercizio dell’azione penale quale che sia, ma è necessario che la stessa sia presa con cognizione di causa, sulla base di un quadro probatorio completo [23]. Dall’obbligatorietà dell’azione penale discenderebbe quindi un favor actionis fondato sulla presenza di indagini complete, le quali, peraltro, devono concludersi entro un tempo ragionevole [24]. Tali considerazioni appaiono perfettamente in linea con i diritti partecipativi dei quali dovrebbe essere riconosciuta titolare la persona offesa. Potremmo quindi concludere che ai diritti della vittima corrispondono veri e propri obblighi per il titolare delle indagini di attivarsi e di farlo in modo efficace e diligente, svolgendo tutte le indagini a tal fine necessarie ed evitando ogni tipo di inerzia. Sennonché, una volta delineata [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

Al termine di questa disamina sembra possibile svolgere alcune considerazioni sul ruolo che la vittima del reato attualmente riveste all’interno dell’ordinamento italiano e sulla sua compatibilità con gli strumenti internazionali. De lege lata, l’offeso è oggi investito per lo più di poteri di sollecitazione dell’attività del pubblico ministero che possono legittimamente rimanere inascoltati, posto che la legislazione italiana non ha previsto alcun obbligo di valutazione di merito di tali atti di impulso, privando di fatto di effettività i poteri ad essi attribuiti. La stessa previsione dell’art. 335 c.p.p. che, com’è noto, permette alla persona offesa di ricevere notizia sulle iscrizioni delle notizie di reato che la riguardano, è destinata a rimanere priva di significato in assenza di mezzi effettivi finalizzati a sollecitare l’attività investigativa e le conseguenti determinazioni del pubblico ministero. L’informazione, infatti, dovrebbe logicamente fungere da presupposto per l’esercizio di ulteriori poteri ma in assenza di strumenti volti a consentire lo svolgimento di effettive investigazioni rischia di rimanere priva di significato. Invero, la qualità di persona offesa viene rafforzata solo al termine delle indagini preliminari qualora il pubblico ministero avanzi una richiesta di archiviazione, mediante l’apertura di un vero e proprio incidente processuale al quale la persona offesa partecipa rivestendo un ruolo molto simile a quello di una parte processuale – salvo poi non essere definita tale dal legislatore – per il tramite dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, facoltà il cui esercizio è totalmente slegato da qualsiasi valutazione del danno derivante dal reato. Si tratta tuttavia di uno strumento attivabile solo a valle delle indagini preliminari, laddove non è sempre possibile ovviare alle inerzie o ai ritardi del titolare delle indagini. Ciò non soltanto perché, come nella fattispecie oggetto della sentenza in esame, il reato potrebbe essersi ormai prescritto, ma anche perché il decorso del tempo potrebbe aver reso impossibile o più difficile l’accertamento del reato, rendendo del tutto inutile e tardivo il rimedio predisposto dal legislatore. È quindi essenziale anticipare l’intervento della vittima del reato ai fini di una [continua ..]


NOTE
Fascicolo 5 - 2021