Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Le Sezioni unite impongono l'obbligo della rinnovazione delle prove decisive nei giudizi di rinvio dopo annullamento delle sentenze assolutorie (di Giuseppe Tabasco, Avvocato)


La decisione in commento potrebbe costituire il volano per un ripensamento del recente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nell’ipotesi di cambiamento nella composizione del tribunale, quantomeno per il testimone decisivo.

The Joint Sections impose the obligation of renewal of the decisive evidence in referral judgments after annulment of acquittal sentences

The decision in question could constitute the driving force of a rethinking of the recent orientation of the Joint Sections of Cassation regarding renewal of the court hearings in the event of change in the composition of the court, at least for the crucial fitness.

Obbligatoria la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di rinvio che segue all’annullamento di una sentenza di assoluzione Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza di appello che abbia ribaltato la sentenza di assoluzione di primo grado, è necessaria la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante nuova assunzione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, anche nel caso in cui detta rinnovazione vi sia già stata nel giudizio di appello seguito ad un precedente annullamento con rinvio, dovendo la rinnovazione avvenire davanti al medesimo giudice che deve decidere. [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. La sentenza impugnata è stata pronunziata, il 3 giugno 2019, dalla Corte di Assise di appello di Milano, quale Giudice del rinvio dopo l’annullamento della prima sezione penale di questa Corte, ed ha ribaltato la pronunzia della Corte di Assise di Brescia del 27 settembre 2008 che aveva assolto S.M., tratto a giudizio per rispondere – in concorso con il cugino V.M. e con D.G. – dell’omicidio volontario di A.C., del figlio diciassettenne L.C. e della compagna del primo e madre del giovane, M.T., nonché dei connessi reati di detenzione e porto di due armi comuni da sparo. 1.1 Più precisamente, secondo l’editto accusatorio, l’omicidio era aggravato dalla premeditazione, dai motivi futili e dalla crudeltà, i reati in materia di armi dal nesso teleologico nonché – tutte le fattispecie – dall’aver commesso il fatto per agevolare Cosa Nostra. Con la sentenza oggi impugnata, pur sovvertendo il verdetto liberatorio del primo grado, la Corte territoriale ha escluso le circostanze aggravanti dei motivi futili e della premeditazione quanto all’omicidio, quella dell’agevolazione mafiosa, per entrambi i reati, ed ha ritenuto la penale responsabilità dell’imputato solo per la detenzione di una pistola calibro 22. 1.2 I fatti. Secondo il resoconto di quanto emerso nel corso dell’Istruttoria dibattimentale che si ricava dalle sentenze di merito e, in particolare, da quella di prime cure, il fatto risale alla mattinata del 28 agosto 2006, quando L.C. e la M. furono trovati morti nella tavernetta della villetta dove abitavano a Brescia, con segni di colpi d’arma da fuoco al capo e di ferite da arma da taglio alla gola e con le mani legate all’indietro con fascette stringi tubo. Vicino a loro vi era anche A.C., che presentava ferite analoghe e che, al momento dell’accesso dei soccorritori, era ancora vivo, sia pure gravemente ferito, ma che sarebbe morto di lì a poco in ospedale. La casa era stata, in alcune sue parti, rovistata. Un primo fronte delle indagini era diretto ad identificare tre uomini – visti da alcuni vicini – che quella mattina sul presto erano scesi da una Fiat Punto di colore grigio [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il caso deciso - 2. La prova “decisiva” secondo la pronuncia della Corte di legittimità - 3. L’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello tra giurisprudenza convenzionale e giurisprudenza interna - 4. L’opportuna rinnovazione dell’istruttoria anche nei giudizi di rinvio - 5. La logica di controllo del giudizio di appello e la sua realizzazione attraverso la rinnovazione dell’istruttoria - 6. Gli auspicabili risvolti della sentenza - NOTE


1. Il caso deciso

La Suprema Corte ritorna sul dovere di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale prima di poter procedere ad un overturnig in peius della sentenza assolutoria, gravante su ogni giudice che, nello sviluppo della cognizione successivo al proscioglimento di primo grado, sia chiamato a valutare la responsabilità dell’imputato assolto in primo grado [1]. Nel caso sotteso alla sentenza che si annota la Corte regolatrice, in un primo momento, aveva annullato la sentenza di condanna pronunciata in appello, la quale aveva ribaltato il verdetto liberatorio pronunciato in prime cure per violazione dei «principi della giurisprudenza della Corte edu, in particolare della sentenza Dan contro Moldavia», imponendo che andassero nuovamente escussi i testi decisivi per l’assoluzione. Successivamente, il giudice del rinvio, pur adempiendo al comando imposto dalla sentenza rescindente, riteneva che la disposizione contenuta nell’art. 603, comma 1 bis, c.p.p andasse intesa nel senso che nella fase rescissoria fosse sufficiente rinnovare l’istruttoria dibattimentale procedendo all’esame dei soli testi che non fossero stati già escussi dinanzi al primo Collegio della Corte di Appello, non ritenendo, viceversa, necessario procedere nuovamente all’esame dei testi già escussi nel corso dell’istruttoria di secondo grado, perché per tale prova dichiarativa già si era instaurato un rapporto di immediatezza con il giudice. Avverso tale decisione veniva proposto nuovamente ricorso per cassazione e la Suprema Corte ha ancora una volta annullato la sentenza, statuendo, da un lato, che in sede di rinnovazione in appello la prova è "decisiva", laddove «si tratti di un elemento che, sulla base della sentenza di primo grado, ha determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio e che, se espunto dal complesso del materiale probatorio, si rivela potenzialmente idoneo a incidere sull’esito del giudizio di appello». In altre parole – a parere della Corte – «costituiscono prove orali decisive anche quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna»; dall’altro, che anche il giudizio di rinvio deve allinearsi ai principi espressi [continua ..]


2. La prova “decisiva” secondo la pronuncia della Corte di legittimità

Come noto, nel vigore del codice di procedura penale del 1930 la mancata assunzione di una prova non costituiva di per sé violazione della legge processuale e poteva essere dedotta come motivo di ricorso soltanto allorché avesse dato luogo ad una motivazione viziata [2]. Viceversa, nel vigente codice di rito penale uno dei motivi per cui può essere proposto il ricorso per cassazione, ex art. 606, comma 1, lett. d) c.p.p., inerisce proprio alla mancata assunzione di una prova decisiva a condizione, tuttavia, che la parte ne abbia fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2. Il primo elemento che integra la fattispecie del vizio è costituito dalla mancata assunzione di una controprova, ossia di una prova a discarico richiesta dall’imputato su fatti costituenti oggetto di prove a carico o di una prova a carico richiesta dal pubblico ministero su fatti costituenti oggetto di prove a discarico. Tale scelta legislativa è stata criticata dalla dottrina, che ha ritenuto che essa determini l’incensurabilità di tutte le ipotesi in cui viene negata l’acquisizione di un elemento non superfluo, non irrilevante, né vietato dalla legge, ai sensi degli articoli 190, comma 1, e 495, comma 1, del codice di procedura penale [3], sebbene, in sede di emanazione del vigente codice fosse stato affermato che la lett. d) dell’art. 606, comma 1, c.p.p. «risponde ad una logica di depurazione del vizio di motivazione da possibili deviazioni della decisione che traggono origine dalla violazione di norme processuali» e «perciò costituisce autonomo motivo di ricorso la lesione del diritto alla prova», di guisa che, attribuendo autonomo rilievo al vizio di mancata assunzione di una prova decisiva, si è operato «in una prospettiva autenticamente accusatoria», ponendo in primo piano «il contraddittorio tra le parti come garanzia di una corretta formazione del convincimento del giudice» [4]. In giurisprudenza, peraltro, il presupposto è stato inteso in senso estremamente restrittivo. Il secondo elemento costitutivo della fattispecie prevista dall’art. 606, comma 1, lett. d) c.p.p. è rappresentato dalla decisività della prova. Inoltre, la determinazione del concetto di decisività ha costituito uno dei profili più [continua ..]


3. L’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello tra giurisprudenza convenzionale e giurisprudenza interna

Come noto, le direttive della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, in materia di impugnazioni, lasciavano inalterata l’impostazione tradizionale del nostro sistema processuale [12]. Era, pertanto convinzione comune che fosse necessario un ripensamento per adeguare la disciplina al carattere accusatorio che ormai aveva assunto il nuovo processo penale. In particolare, l’attenzione si appuntò sul giudizio di appello, in cui il materiale probatorio è compendiato essenzialmente dai verbali del dibattimento di primo grado, evidenziando l’incongruenza se non addirittura l’illogicità costituita dalla possibilità «che a un giudizio di primo grado che edifica la prova nell’oralità del contraddittorio possa seguire, spesso con esiti demolitivi di quella stessa costruzione, una revisio prioris istantiae fondata su canoni di accertamento esattamente antitetici, così consentendo, proprio al giudice che non assume alcuna prova, la riforma anche integrale di un accertamento che viceversa, proprio sull’assunzione diretta della prova si fonda» [13]. In altri termini, da un lato, veniva evidenziato come in appello si smarrisse l’immediatezza, ossia il contatto diretto tra giudice e fonte di prova; dall’altro, come l’esistenza di una assoluzione in primo grado, sebbene controbilanciata da una sentenza di condanna in appello, avrebbe impedito di fugare ogni ragionevole dubbio, onde pervenire ad una declaratoria di responsabilità [14]. Tali perplessità portarono il legislatore a rimodulare l’impugnabilità delle sentenze di primo grado, prevedendo, in via generalizzata l’inappellabilità sia da parte del pubblico ministero che dell’imputato, delle sentenze dibattimentali di proscioglimento [15]. Tuttavia, la Corte costituzionale, ritenendo che tale soluzione comportasse uno squilibrio irragionevole tra i poteri delle parti dichiarò l’illegittimità della norma che aveva introdotto l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, riportando la disciplina codicistica alla sua versione originaria [16]. In tale contesto, la giurisprudenza di legittimità si orientò nel senso di ritenere che il giudice di appello, qualora avesse voluto condannare l’imputato prosciolto in primo grado, avrebbe dovuto motivare il suo convincimento, evidenziando tutti gli [continua ..]


4. L’opportuna rinnovazione dell’istruttoria anche nei giudizi di rinvio

La recente sentenza in commento statuisce recisamente che il giudizio di rinvio debba conformarsi ai canoni europei di oralità ed immediatezza, allorché esso segua ad una sentenza liberatoria che si basi sulla prova dichiarativa. In tal caso, la Corte regolatrice ritiene necessaria la più ampia rinnovazione dell’istruttoria nella fase rescissoria, affermando che il giudice del rinvio ha il potere di valutare la necessità di estendere la rinnovazione anche a prove diverse da quelle cui si riferisce il mandato […], qualora ritenga sussistenti i presupposti di legge per disporla, anche alla luce della rinnovata acquisizione [cui dovrà provvedere in ragione dell’imput proveniente dalla sentenza di annullamento]. Viene, quindi, riaffermata l’importanza di mantenere un rapporto diretto fra giudice e prova dichiarativa proprio nell’ipotesi di overturning della sentenza di assoluzione, non potendo consentirsi che colui il quale ha la responsabilità di decidere sulla colpevolezza o innocenza di un accusato possa pervenire alla decisione avvalendosi delle dichiarazioni verbalizzate di un teste di cui viene riapprezzata la credibilità attraverso una mera e solitaria lettura dei relativi verbali. La condanna in appello basata su una diversa valutazione delle prove dichiarative ritenute non attendibili non può essere pronunciata se non dopo un nuovo esame della fonte di prova da parte del giudice di appello. Tale necessità si estende anche al giudizio di rinvio perché in virtù del principio di immediatezza il confronto diretto del giudice con la prova dichiarativa deve instaurarsi ogniqualvolta egli intenda ribaltare la sentenza di assoluzione. Non si può fare a meno di condividere il dictum secondo cui il principio di immediatezza si estende ad ogni segmento del processo. Il giudizio di rinvio, che segue ad una sentenza di annullamento della Corte regolatrice, che ha unicamente censurato il percorso argomentativo della sentenza di appello, è di tipo prosecutorio e, pertanto, non può dirsi che si tratti di un nuovo giudizio di appello «e la decisione di secondo grado, sia pure cassata, non può dirsi espulsa nella sua interezza dalla vicenda processuale» [32]. Ne consegue che le regole di valutazione e/o esclusione della prova, che il giudice dovrà adottare, debbano essere le stesse sia per il primo appello [continua ..]


5. La logica di controllo del giudizio di appello e la sua realizzazione attraverso la rinnovazione dell’istruttoria

Sul piano dogmatico resta un ultimo e davvero difficile interrogativo cui non si può evitare di cercare di dare risposta. È possibile ritenere che attraverso la rinnovazione del dibattimento l’appello consenta di formulare un autentico giudizio quale quello emesso dal giudice di primo grado, o piuttosto non si è costretti a riconoscere che la logica dei due riti risponda a discipline profondamente diverse e nient’affatto sovrapponibili? I vari e mutevoli orientamenti, culminati nella sentenza delle Suprema Corte in commento e protesi all’intransigente tutela dell’art. 27, comma 2, della Carta costituzionale, eludono sorprendentemente il tema, sul quale bisogna far convergere l’attenzione. Il giudizio, inteso come procedimento mentale per pervenire alla decisione è tanto più vero quanto più è immediato il rapporto tra il giudice e i dati che costituiscono gli elementi del giudizio medesimo. È chiaro, quindi, che ogni mediazione fra il soggetto giudicante ed il dato finisce per alterare il giudizio. Tuttavia, il processo penale ha una funzione cognitiva [35] che non può essere realizzata attraverso un rapporto conoscitivo diretto del giudice con i fatti e le circostanze oggetto del suo giudizio. La prova dichiarativa, infatti, costituisce sempre una mediazione fra il giudice ed i fatti sottesi al giudizio medesimo, di guisa che non sono questi ultimi a costituire gli elementi per il giudizio, bensì «ciò che di essi risulta dopo il racconto di chi ha visto o udito» [36]. Le prove che consentono la ricostruzione del fatto sono rappresentate dal risultato di quanto riferito sui dati e le circostanze dalla fonte probatoria. Allora, affinché sia garantita la fedeltà del giudizio alla realtà del dato, ciò che necessita è il contatto diretto del giudice con la fonte di prova. In ciò consiste l’immediatezza, che è anche identità tra giudice che assume e giudice che valuta la prova stessa [37]. Tale rapporto diretto non può realizzarsi nel giudizio di appello, perché il giudice di secondo grado non si trova davanti ai dati originari. Egli non li percepisce direttamente e, pertanto, non si tratta di dati oggettivi e insuscettibili di alterazione, bensì di risultati di un giudizio già espresso [38]. La conoscenza è mediata dalla [continua ..]


6. Gli auspicabili risvolti della sentenza

In prospettiva cognitiva, il giudice del mutato collegio in primo grado, che non ha assistito al­l’assunzione e alla formazione della prova dichiarativa, dispone soltanto dei verbali delle dichiarazioni per pronunciare la decisione nel merito. Tuttavia, in qualsiasi momento emerga la necessità di dichiarare la colpevolezza, è opportuno che il giudice mantenga un rapporto diretto con la prova, in particolare con la prova dichiarativa: al fine di operare il controllo, nel giudizio di appello, al fine di garantire un giudizio di verità nel giudizio di primo grado. Tale condizione, nel giudizio di prime cure, gli consente di compiere «verifiche fattuali, riscontri ed incroci di circostanze storiche» [40], che solo il metodo dialettico dell’esame incrociato può garantire, consentendo di cogliere anche i connotati espressivi di carattere non verbale. Ne consegue che un cambiamento della composizione del tribunale dopo l’audizione di un testimone “importante” dovrebbe “normalmente” portare ad una nuova audizione di quel testimone [41]. Non è condivisibile quindi l’orientamento, già esposto, della Corte costituzionale e delle Sezioni unite, a cagione del mancato rispetto dei principi di oralità ed immediatezza. Allora, la decisione che ha statuito l’applicabilità dell’obbligo della rinnovazione delle prove decisive nel giudizio di rinvio dopo annullamento della sentenza assolutoria, ponendosi in linea con la più recente giurisprudenza sovranazionale, potrebbe costituire il volano per estendere la medesima regola a tutte le tipologie di controlli, compresi i procedimenti incidentali e complementari [42]. E, soprattutto, potrebbe rappresentare un monito per un ripensamento dell’orientamento ultimo della giurisprudenza di legittimità in tema di rinnovazione dell’istruttoria nell’ipotesi di cambiamento nella composizione del tribunale, sebbene difficile proprio nel presente momento storico, che vede introdotta nel nostro ordinamento una rimessione “obbligatoria” della questione di diritto qualora sulla stessa siano già intervenute le Sezioni unite e la Sezione semplice investita del ricorso non condivida il principio di diritto formulato, ancorché si tratti di un modello soft di precedente a vincolatività relativa.


NOTE
Fascicolo 5 - 2021