Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La maschera e il volto della consulenza tecnica d'accusa (di Rosita Del Coco, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Teramo)


Collocato dal legislatore del 1988 in una condizione di sostanziale parità con la consulenza tecnica della difesa, il contributo dell’ausiliario del pubblico ministero gode, nella prassi, di un giudizio di superiorità epistemologica. In assenza di indici normativi idonei a giustificare una deminutio del prodotto specialistico della difesa, una simile stigmatizzazione si fonda, evidentemente, su una concezione talmente recessiva della prova tecnica da porsi in netta rottura con l’opzione accusatoria che ha ispirato gli estensori del nuovo codice. L’obiettivo del presente lavoro è, dunque, quello di ricercare ed individuare i condizionamenti ed i pregiudizi metodologici che, ancora oggi, ostacolano un approccio non prevenuto al tema della consulenza tecnica.

The mask and the face of the Prosecutor’s technical consultant

Placed by the code of 1988 in a condition of substantial equality with the technical consultancy of the defence, the contribution of the technical consultant of the public prosecutor has been regarded, in the praxis, as endowed with an epistemological superiority. In absence of normative data suitable for gauging a deminutio of the expert evidence of the defence, such stigmatization is based on a so recessive conception of the expert evidence that it places itself in clear contrast with the accusatory option that inspired the new code. The aim of this work is to search for the methodological prejudices that hinder an unprejudiced approach to the theme of technical consultancy.

SOMMARIO:

1. Involuzioni inquisitorie - 2. Consulenza tecnica del pubblico ministero e pregiudizi metodologici - 3. Prova tecnico-scientifica, cultural lag italiano e nuove aperture evolutive - NOTE


1. Involuzioni inquisitorie

Si incorrerebbe in un grave errore di sottovalutazione se si trascurasse la portata di talune eccentriche prese di posizione manifestate all’interno dalla fucina giurisprudenziale. Se lette in controluce, affermazioni all’apparenza destinate ad assumere un rilievo pratico del tutto marginale possono rappresentare la cartina al tornasole del grado di effettiva tenuta di un sistema processuale di stampo tendenzialmente accusatorio. Proprio per questa ragione, in sede scientifica [1] non è passata inosservata una recente pronuncia [2] con la quale i giudici di legittimità, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, hanno ritenuto di dover prendere partito deciso in ordine al “peso” probatorio della consulenza tecnica dell’accusa. A tale proposito, sostengono i giudici della Corte di cassazione che «le conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero, pur costituendo il prodotto di un’indagine di parte, devono ritenersi assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dalla consulenza tecnica della difesa» [3]. Nella prospettiva privilegiata dall’organo della nomofilachia, l’elaborato prodotto dall’ausiliario dell’accusa, ancorché incomparabile con la perizia disposta dal giudice del dibattimento, «è pur sempre il frutto di un’attività di natura giurisdizionale che perciò non corrisponde appieno a quella del consulente tecnico della parte privata» [4]. Si fa davvero fatica ad accettare l’idea che simili «sgrammaticature» [5] possano “portare la firma” del­l’organo di vertice della magistratura, sul quale grava, tra l’altro, il delicato compito di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge». Nell’asserita supremazia epistemologica della «perizia del pubblico ministero» [6] si ravvisano gravi incongruenze sistematiche, impossibili da conciliare con i tradizionali canoni del processo adversary. L’humus di cui si nutre una simile affermazione risiede, evidentemente, in una concezione talmente recessiva della prova tecnica, da porsi in netta rottura con l’opzione accusatoria che ha ispirato gli estensori del nuovo codice. È noto, infatti, che la disciplina del sapere specialistico e, in [continua ..]


2. Consulenza tecnica del pubblico ministero e pregiudizi metodologici

A ben vedere, dietro ai macroscopici errori che caratterizzano la sentenza criticata si cela un duplice pregiudizio metodologico che ha finora ostacolato, nella prassi, una riflessione “laica” e non prevenuta intorno al tema della consulenza tecnica del pubblico ministero. Così da ispirare atteggiamenti intrisi di stentoree affermazioni di principio, ma di sostanziale chiusura verso ogni forma di rinnovamento concettuale e culturale imposto dal nuovo sistema processuale e dal modello costituzionale di giusto processo. Ci si riferisce, da un lato, all’assunto ricorrente secondo cui il pubblico ministero rappresenta una parte imparziale all’interno della dialettica processuale [16]. Dall’altro lato, alla tendenza ad identificare il grado di affidabilità della prova tecnico-scientifica con i connotati della parte o dell’organo che conferisce l’incarico. Entrambi questi profili, tra loro intimamente connessi in forza di un peculiare legame di dipendenza logica, hanno finito per rappresentare i condizionamenti costanti, quasi dei punti fermi attorno ai quali si è sviluppata (e avviluppata) la riflessione sul tema della prova tecnica, rendendo impossibile un approccio di tipo meramente processuale. Soffermando, per il momento, l’attenzione sul primo profilo evidenziato, negli atteggiamenti ermeneutici comunemente assunti in ordine al ruolo ed ai compiti del pubblico ministero è possibile rilevare i riflessi di un fenomeno di “giurisdizionalizzazione” silente di tale organo. Tale fenomeno affonda le proprie radici storiche in epoche ben lontane, risalenti, molto probabilmente, al momento in cui è scomparsa la figura del giurì di accusazione e il monopolio dell’inchiesta e dell’accusa è stato consegnato nelle mani di uno o più soggetti pubblici [17]. Dalla trasmissione al pubblico ministero delle attività di accusa si è, infatti, tratta l’implicazione di una ontologica superiorità di tale soggetto, che ha dato la stura alla creazione di una vera e propria presunzione di infallibilità para-giurisdizionale [18]. Una presunzione a sua volta rinfocolata dalla retorica di un principio di obbligatorietà dell’azione penale troppo spesso orientato verso la legittimazione di metodi procedurali a vocazione autoritaria. Nella prospettiva da ultimo indicata si spiega, ad esempio, il [continua ..]


3. Prova tecnico-scientifica, cultural lag italiano e nuove aperture evolutive

Spostando l’attenzione sul secondo “pregiudizio metodologico” sopra evidenziato, consistente nella tendenza a graduare l’affidabilità della prova tecnico-scientifica in base allo statuto processuale dei differenti soggetti che conferiscono l’incarico, l’opinione diffusa è che «in via scalare discendente, il perito è incaricato dal giudice da cui ripete la connotazione di imparzialità e è gravato dall’obbligo penalmente rilevante di verità; il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero ne ripete i caratteri dell’ufficio e è portatore solo di un onere di verità; alla stessa stregua di quello nominato dal difensore, che per di più è un “difensore tecnico” di parte privata» [36]. Attraverso una tale ricostruzione prendono forma fattori discriminanti che assegnano un diseguale peso probatorio ai contributi tecnici veicolati all’interno del processo, a prescindere da qualsiasi valutazione, in concreto, della qualità degli stessi ed in assenza di fondamenti normativi idonei a giustificare forme di supremazia gnoseologica [37]. Simile impostazione, ampiamente radicata nella prassi, appare evidentemente distonica rispetto alle rinnovate cognizioni epistemologiche, le quali rifiutano l’idea che la scienza possa produrre conoscenze certe ed irreversibili e, ancor più, rifuggono l’idea che l’affidabilità del sapere scientifico all’interno del processo possa essere condizionata dai connotati dei suoi protagonisti. Al contrario, l’approccio scientifico alla formazione del sapere, basato sul metodo della falsificazione delle teorie e delle congetture [38], può trovare adeguata trasposizione nel processo solo attraverso un sistema dialetticamente orientato, geneticamente incompatibile con posizioni precostituite di fede privilegiata [39]. Con la conseguenza che tutte le evidenze specialistiche devono essere forgiate attraverso il metodo del contraddittorio. Nel tentativo di intraprendere un serio percorso evolutivo in tema di prova tecnico-scientifica appare, allora, inevitabile azzerare ogni discriminazione tra quest’ultima e le prove “comuni” ed esaltare, anche in subiecta materia, l’alto valore euristico e maieutico del dialogo rispetto a forme unilaterali di accertamento [40], in perfetta aderenza [continua ..]


NOTE