Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il captatore, tra luoghi e tempo… (di Mario Griffo, Ricercatore di Procedura penale – Università degli studi del Sannio)


Le intercettazioni eseguite a mezzo di captatore informatico fanno risaltare la problematica concernente la tassativa individuazione dei luoghi di svolgimento delle relative attività. In particolare, muovendo dalla “sentenza Scurato”, si ritiene di dover censurare la prassi investigativa della attivazione del microfono al di fuori dei luoghi – anche se non di privata dimora – di svolgimento della attività delittuosa previamente individuati nel decreto autorizzativo. L’aspetto che rende la quaestio particolarmente interessante, infatti, attiene alla verifica della (in)utilizzabilità delle captazioni quand’anche le stesse abbiano interessato un luogo pubblico e non già un “luogo di privata dimora”.

The sensor, between places and time ...

The wiretapping carried out by means of an IT pick-up highlights the problem concerning the mandatory identification of the places where the relative activities are carried out. In particular, starting from the "Scurato ruling", it is deemed necessary to censor the investigative practice of activating the microphone outside the places – even if not of private residence – of carrying out the criminal activity previously identified in the authorization decree. The aspect that makes the question particularly interesting, in fact, concerns the verification of the (in) usability of the captations even when they have affected a public place and not a "place of private residence".

SOMMARIO:

1. Un quesito per nulla scontato - 2. Un breve excursus disciplinare - 3. Le modalità intercettive quanto ai “luoghi” ed al “tempo” - 4. Le declinazioni della prassi - 5. Le “tassative” cause di inutilizzabilità - 6. Uno spunto per riflessioni de iure condendo - NOTE


1. Un quesito per nulla scontato

Dalla lettura delle previsioni normative dedicate al captatore informatico può trarsi un principio elementare: sono inutilizzabili le intercettazioni eseguite in luoghi diversi da quelli ove si stia svolgendo attività criminosa. Bisogna, tuttavia, interrogarsi sul se tale limitazione operi anche per le captazioni eseguite in luogo pubblico o aperto al pubblico. Il quesito possiede significativo rilievo nella generale economia del dibattito instauratosi in ordine alle potenzialità operative del captatore informatico [1] in quanto la (in)utilizzabilità dei risultati incamerati tramite trojan horse sembrerebbe connessa alla specifica individuazione del locus presidiato dalle guarentigie di cui all’art. 614 c.p.p. nel relativo provvedimento autorizzativo [2]. Si ipotizzi, a tal proposito, che vengano autorizzate intercettazioni, tramite captatore, con la limitazione che le stesse avvengano in luoghi di privata dimora. Tutto questo determinerebbe la utilizzabilità delle captazioni di colloqui svoltisi sulla pubblica via in quanto non avvenute in luogo di privata dimora, ovviamente sempre che si proceda per delitti diversi da quelli di criminalità organizzata [3]. In ordine alla specifica problematica, con pronuncia isolata, il Giudice di legittimità non ha mancato di osservare che le intercettazioni per delitti diversi da quelli di criminalità organizzata non possono essere eseguite nei luoghi di privata dimora, attraverso il captatore informatico, se non vi è fondato motivo di ritenere che ivi sia in corso attività criminosa. Il captatore, infatti, «accedendo a dispositivi portatili e che hanno possibilità di realizzare ascolti itineranti, non sarà utilizzabile come strumento di impiego delle intercettazioni se non alle anzidette condizioni, giacché la caratteristica degli strumenti stessi condiziona la modalità di autorizzazione e acquisitiva delle conversazioni, oltre a rischiare di esporre ad acquisizioni non conformi al testo di legge, allo stato in vigore…Né risulta possibile una legalizzazione successiva» [4]. La conclusione impone di tracciare, sia pure per grandi linee, le direttrici lungo le quali si è mosso il legislatore – su input della giurisprudenza di legittimità – nel disciplinare le intercettazioni (ambientali) esperibili [continua ..]


2. Un breve excursus disciplinare

Come è noto le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la “sentenza Scurato”, si sono soffermate sulla possibilità di impiegare, per lo svolgimento delle intercettazioni tra presenti, programmi informatici inseriti a distanza in apparecchi elettronici (smartphone, computer o tablet) [5]. Il nucleo centrale della questione e l’aspetto di maggiore rilevanza della pronuncia hanno interessato il carattere dei dispositivi anzidetti. Essi seguono ordinariamente l’utilizzatore e ne permettono l’impiego come “microspie”. A ciò si aggiunge la possibilità di sfruttarne il profilo itinerante per effettuare intercettazioni all’interno di domicili con il conseguente rischio di possibili elusioni dei limiti normativamente fissati (attività delittuosa in itinere), senza indicazione, ex ante, dei luoghi in cui acquisire le informazioni attraverso la captazione delle conversazioni. La anzidetta decisione delle Sezioni unite, dopo una completa ricostruzione degli orientamenti susseguitisi nel tempo, ha ammesso l’uso del particolare strumento informatico laddove si proceda per i delitti di criminalità organizzata (art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.), caso in cui troverebbe applicazione il disposto di cui all’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella l. 12 luglio 1991, n. 203, che, in deroga all’art. 266 c.p.p., comma 2, ammette le intercettazioni domiciliari anche in difetto di attività delittuosa in corso. Nelle altre evenienze, e de iure condito, avuto riguardo per il quadro normativo all’epoca vigente, per reati diversi da quelli di criminalità organizzata, le intercettazioni, attraverso l’impiego di strumenti portatili e captatori informatici, non sarebbero state ammissibili [6]. Detto questo, il ragionamento sviluppato impone di penetrare, sia pure per sintesi, le matrici generali che hanno ispirato i più significativi interventi legislativi dell’ultimo triennio. Le innovazioni hanno interessato, innanzitutto, i commi 2 e 2-bis dell’art. 266 c.p.p. In ispecie, interpolando il comma 2 di tale previsione, si è prevista la possibilità di disporre intercettazioni di comunicazioni tra presenti anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Se tali [continua ..]


3. Le modalità intercettive quanto ai “luoghi” ed al “tempo”

Qualsivoglia ragionamento che interessi il captatore informatico non può prescindere dalla esplorazione delle dinamiche di reciproca interferenza tra legislazione e prassi, muovendo dall’assunto, tanto ovvio quanto ineludibile, a mente del quale ci si trova al cospetto di un istituto di pura creazione giurisprudenziale. Partendo da tale premessa, bisogna constatare come il legislatore si sia discostato dalla decisione “Scurato” quanto alla possibilità di effettuare intercettazioni «ubiquitarie» [14] in un luogo di privata dimora, al di fuori della disciplina derogatoria contemplata per i delitti di criminalità organizzata di cui all’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991. Secondo i giudici di legittimità, infatti, non sarebbe possibile prevedere in anticipo i luoghi di privata dimora in cui il dispositivo elettronico si troverebbe e, di conseguenza, indicarli nel decreto autorizzativo del giudice per le indagini preliminari [15]. Specularmente, non sarebbe proficuo, per gli organi di polizia giudiziaria, seguire gli spostamenti del “bersaglio” e disattivare la captazione al momento del­l’ingresso in un luogo di privata dimora [16]. Il legislatore, dal suo canto, ha adottato una opzione diametralmente opposta a quella avallata per via nomofilattica, ritenendo ammissibile la captazione itinerante/domiciliare nel caso in cui vi sia il fondato motivo di ritenere che in un luogo di privata dimora si stia svolgendo attività criminosa [17]. L’art. 266, comma 2, secondo periodo, c.p.p. non ha subìto, all’evidenza, alcuna variazione [18]. La possibilità di procedere alla avanguardistica intercettazione nei luoghi di cui all’art. 614 c.p., peraltro, è – implicitamente – corroborata dal disposto di cui al comma 2-bis dell’art. 266 c.p.p. nonché dal rafforzato onere motivazionale imposto al giudice per le indagini preliminari dall’art. 267, comma 1, ultimo periodo, c.p.p.: il giudice per le indagini preliminari deve indicare nel provvedimento autorizzativo «i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono». La giurisprudenza di legittimità, al cospetto di una simile problematica, si dovrà interrogare [19] sul livello di precisione richiesto al [continua ..]


4. Le declinazioni della prassi

Sul fronte delle prassi, la materiale difficoltà di determinare, aprioristicamente, il luogo di effettuazione della intercettazione sollecita, inevitabilmente, il rimando ad accadimenti della vita quotidiana, strettamente connessi alle peculiarità dei delitti per i quali si procede [23]. A titolo esemplificativo [24], si consideri il caso della lotta allo spaccio di sostanze psicotrope o stupefacenti. Nel caso si giunga a conoscenza di un imminente incontro per la cessione di un ingente quantitativo di sostanza, ma non si sia a conoscenza dell’ubicazione del luogo dello scambio, il provvedimento autorizzativo della intercettazione itinerante potrebbe contenere una formula del tipo: «nel luogo in cui Tizio incontrerà Caio per cedergli la sostanza stupefacente». Si può immaginare, allora, che i giudici di merito faranno ricorso a formule generali ed ampie per saggiare la precisione della delimitazione spaziale; le quali, tuttavia, di per sé non possono assumere un significato precettivo se non calate nel peculiare orizzonte della fattispecie concreta [25]. Simili problematiche paiono amplificate ove si accolga, come fanno alcuni [26], una accezione estesa di domicilio, tale da abbracciare “anche” il ricorrente concetto di domicilio informatico [27]. Così argomentando, il luogo di privata dimora nel quale viene effettuata l’intercettazione itinerante non si rinverrebbe nello spazio fisico nel quale è presente il dispositivo elettronico portatile infettato, bensì, nello smartphone stesso. In altre parole, il captatore è la cimice, mentre il domicilio è lo smartphone, a condizione che quest’ultimo soddisfi «i requisiti dello ius includendi se; dello ius includendi et excludendi alios e della destinazione del luogo ad attività private tipiche della vita domestica o a spazio di attività lavorativa» [28]. Corollario di tale ermeneusi: il fondato motivo di ritenere che “si stia svolgendo l’attività criminosa” andrebbe riferito al dispositivo elettronico portatile infetto e non già al luogo fisico in cui avviene la captazione, rimanendo così «del tutto residuale» [29] l’ipotesi della intercettazione itinerante al di fuori di un luogo di cui all’art. 614 [continua ..]


5. Le “tassative” cause di inutilizzabilità

Gli itinerari tracciati consentono di rassegnare una conclusione di indubbia significanza: sebbene esperite in luogo pubblico o aperto al pubblico, le intercettazioni ambientali autorizzate rispetto ad uno specifico “luogo di privata dimora” all’interno del quale non si stia svolgendo attività delittuosa non sono utilizzabili. Epilogo, questo, che non riceve avallo alcuno dai dettami della “sentenza Scurato”. Invero, la ricostruzione delle linee normative ed esegetiche che hanno interessato lo sviluppo degli impieghi del captatore informatico dimostra come l’ancoraggio della enfatizzata inutilizzabilità intercettiva ai contenuti della sentenza Scurato può condurre a risultati opinabili, oltre che fuorvianti. È l’addentellato normativo ipostatizzato nelle richiamate previsioni di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p. a corroborare la inappuntabilità dei risultati conseguiti sul fronte della inutilizzabilità dei risultati cognitivi acquisiti in maniera irrituale e, dunque, delle garanzie irrinunciabili e delle (fondamentali) prerogative individuali. D’altro canto, la commendevolezza della soluzione prospettata, già sul fonte propriamente metodologico, è inferibile dal rimando alle previsioni disciplinanti le “patologie” dei dati carpiti attraverso il cd. trojan horse. È contemplato, infatti, che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati “fuori dei casi consentiti dalla legge” o se non siano state “osservate le disposizioni previste dagli art. 267 e 268 commi 1 e 3”, ossia le prescrizioni autorizzative ed operative (art. 271, comma 1, c.p.p.), nonché le disposizioni relative all’uso del captatore informatico (art. 271, comma 1-bis, c.p.p.). Quanto ai requisiti di ammissibilità delle intercettazioni, l’art. 266 c.p.p., come visto, individua le categorie dei reati per i quali è consentito ricorrere allo specifico mezzo captativo, per titolo o secondo il livello di pena prevista. Non sussistono, di conseguenza, particolari difficoltà per riscontrare quando l’intercettazione sia ammissibile, se non nel momento in cui intervenga la “modifica” del reato o si profilino fatti di reato nuovi o diversi rispetto alla contestazione utilizzata per la richiesta e la autorizzazione alla intercettazione. Ad [continua ..]


6. Uno spunto per riflessioni de iure condendo

Il primo settembre 2020 è entrata in vigore la riforma delle intercettazioni e, soprattutto, la biasimata disciplina che consente la inedita “pesca a strascico” [37] mediante captatore informatico. Sicché, la posizione espressa – di assoluta garanzia – mira a porre un argine allo strapotere investigativo del captatore informatico. Sono ormai note le problematiche implicate da uno strumento tanto invasivo: un virus che riesce ad entrare, con inganno, nell’apparecchio che si vuole intercettare, non per distruggerlo né tanto meno per danneggiarlo, ma per carpire qualsiasi dato ivi possa trovarvisi. Un meccanismo, per vero, concepito per istallarsi in modo occulto sui congegni elettronici che si vuole monitorare agendo senza far rilevare all’utente la propria presenza. L’ufficiale di polizia giudiziaria che opera tale controllo può decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera; visualizzare quel che appare sullo schermo; monitorare la navigazione in internet; perquisire i files contenuti nell’hard disk o salvati in cloud; accedere alle applicazioni di posta elettronica e di messaggeria; visualizzare gli sms inviati e ricevuti ed intercettare quelli in entrata e uscita; carpire le conversazioni telefoniche; attivare il microfono ed effettuare intercettazioni ambientali nel raggio di una decina di metri dall’apparecchio; attivare la videocamera e riprendere quanto viene inquadrato. Insomma, il captatore informatico è in grado di penetrare nell’intimità di una persona in una misura finora sconosciuta, tanto profonda quanto pervasiva. Non a caso, si è detto − forse in un pizzico di esagerazione − che l’intrusione informatica rasenta il controllo psichico [38]. Senza dubbio, il monitoraggio e la captazione in tempo reale da remoto di tutta la sfera individuale fa sembrare l’intercettazione su un’utenza telefonica o la videoripresa in una certa abitazione strumenti vecchi e polverosi. Ecco perché l’intrusione informatica sollecita – sempre e comunque – profonde considerazioni; ecco perché vanno salutate con favore certe prese di posizione funzionali ad invaginare le immani – e forse non completamente esplorate – potenzialità investigative del captatore informatico entro ambiti di stretta legalità, che forniscono lo spunto [continua ..]


NOTE