Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'estradizione passiva ai tempi della pandemia di Covid-19 (di Marco Pittiruti, Ricercatore di Diritto processuale penale – Università degli Studi Roma Tre)


Con una pronuncia di estrema attualità e di grande rilievo pratico, la Corte di cassazione ha statuito che, ai fini della procedura di estradizione passiva, il rischio di contagio intramurario da Covid-19 nello Stato di destinazione non può giustificare il rigetto della richiesta estera di consegna. Nella prospettiva accolta dai giudici di ultima istanza, infatti, il periculum per i diritti fondamentali dell’individuo va escluso qualora lo Stato accipiens fornisca specifiche rassicurazioni circa l’adozione delle iniziative sanitarie necessarie al fine di garantire la salute del consegnando. Prendendo le mosse dalla questione delineata, e analizzandone le possibili soluzioni, l’Autore mira a formulare alcune riflessioni in ordine alla tematica concernente l’effettività del diritto alla salute nell’ambito del procedimento di estradizione, onde individuare un corretto bilanciamento tra il principio di mutua collaborazione interstatuale e la doverosa garanzia di protezione dei diritti individuali.

The extradition procedure at the time of the COVID-19 Pandemic

The Court of Cassation, with a timely decision that will have a significant practical impact on case-law, has stated that, in the extradition procedure, the fear of an intramural contagion from Covid-19 in the country of destination does not justify the rejection of the foreign request for delivery. Indeed, according to the Court, the risk for the fundamental rights of the individual must be excluded if the requesting State provides specific reassurance about the adoption of the health initiatives necessary to ensure the safety of the person. Starting from the question outlined and analysing the possible solutions, the Author aims at formulating some reflections on the issue concerning the protection of the health of the individual in the context of the extradition procedure, in order to identify a correct balance between the principle of mutual interstate collaboration and the necessary guarantee for individual rights.

Estradizione, emergenza sanitaria e diritti fondamentali dell’individuo In tema di estradizione, non sussiste il pericolo che il soggetto da consegnare subisca trattamenti disumani o degradanti, connessi ai rischi per la salute determinati dall’epidemia da Covid-19, se lo Stato richiedente garantisce che l’estradando verrà collocato in istituto penitenziario dove non vi sono detenuti positivi al Covid-19 e sarà sottoposto ad uno screening sierologico, assicurando, altresì che ai detenuti e al personale penitenziario è fatto obbligo di utilizzare dispositivi di protezione individuale, con limitazione degli spostamenti e dei contatti sociali. [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma dichiarava sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione presentata dal governo degli Stati Uniti d’America nei confronti del cittadino italiano (omissis) in relazione al mandato di arresto internazionale emesso il 21 agosto 2019 dal Gran Giurì della Corte distrettuale dell’Ohio nell’ambito del procedimento nel quale il prevenuto è indagato per i reati previsti dal Titolo 18 dell’US Code (Codice delle leggi federali degli Stati Uniti), sezione 1832 (a)(5) e (a)(4), corrispondenti ai delitti italiani di partecipazione ad una associazione per delinquere e rivelazione o tentata rivelazione di segreti industriali, di cui agli artt. 416 e 623 cod. pen.: mandato di arresto in esecuzione del quale il (omissis) è stato tratto in arresto in Italia e sottoposto il 3 ottobre 2019 alla misura della custodia cautelare agli arresti domiciliari, poi sostituita, 15 novembre 2019, con la misura del divieto di espatrio. Rilevava la Corte di appello come sussistessero le condizioni previste dai Trattati bilaterali tra Italia e Stati Uniti d’America del 1983 e del 2006 per accogliere quella richiesta di estradizione passiva processuale: sottolineava come fossero riconoscibili gli elementi idonei ad integrare la ‘base ragionevole’ circa la commissione da parte del (omissis) dei due indicati reati; come tutte le questioni processuali poste dalla difesa fossero prive di pregio; e come spettasse al Ministro, a norma dell’art. III del Trattato tra Italia e Stati Uniti del 1983, la prerogativa di concedere o negare l’estradizione in regione del fatto che i reati contestati risultano commessi fuori dal territorio dello Stato richiedente. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il (omissis), con atto sottoscritto dai suoi due difensori, il quale ha dedotto i seguenti sei motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 698, comma 1, e 705, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., e mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello accolto la richiesta di estradizione in un caso nel quale è manifesto il difetto di giurisdizione dell’autorità [continua..]

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SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La tutela della salute dell’estradando nella fase giurisdizionale - 3. Rischio di contagio intramurario da Covid-19 ed estradizione passiva - 4. L’efficacia preclusiva “rebus sic stantibus” del provvedimento di diniego dell’estradizione - NOTE


1. Il caso

Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione è stata chiamata principalmente ad affrontare il delicato tema dell’incidenza della pandemia di Covid-19 sulla richiesta di estradizione passiva, con particolare riferimento alla possibilità di inscrivere, nel novero delle condizioni ostative alla traditio, il rischio di contagio intramurario nel Paese di destinazione. A tale specifico riguardo, invero, la difesa dell’estradando aveva lamentato l’inadeguata ponderazione, da parte dei giudici della Corte d’appello, dei pericoli per la salute a cui il soggetto sarebbe stato esposto nelle carceri statunitensi. In particolare, nell’ottica difensiva, l’elevato numero di contagi da Covid-19 registrato nello Stato federato di destinazione avrebbe comportato, per il ricorrente, un considerevole rischio di contrarre il virus. Mettendo a repentaglio un diritto fondamentale dell’individuo, tale periculum avrebbe dovuto, pertanto, essere inquadrato alla stregua di una situazione preclusiva alla consegna. Con conseguente obbligo, per l’autorità giudiziaria italiana, di respingere la richiesta di estradizione avanzata dal governo statunitense. Nel rigettare la censura proposta, la Suprema Corte ha definito «più che adeguato» l’impianto argomentativo della sentenza impugnata, la quale aveva escluso il rischio di possibili lesioni del diritto alla salute del consegnando in ragione delle garanzie fornite, nel corso del giudizio di primo grado, dallo Stato richiedente. Quest’ultimo, in particolare, aveva avuto modo di precisare che il soggetto richiesto sarebbe stato assegnato ad un istituto carcerario privo di casi accertati di positività al Covid-19, istituto all’interno del quale detenuti e personale ausiliario sono obbligati ad indossare sistemi di protezione individuale e a rispettare uno speciale regime di limitazione degli spostamenti e dei contatti sociali. L’autorità estera aveva inoltre specificato che, al momento di ingresso nella struttura penitenziaria, il soggetto richiesto sarebbe stato sottoposto a screening sierologico per accertare un’eventuale positività al Covid-19, nonché successivamente collocato in isolamento per quattordici giorni. Secondo la lettura patrocinata dalla sentenza in commento, dunque, il timore di un contagio da Covid-19 nel territorio di destinazione non [continua ..]


2. La tutela della salute dell’estradando nella fase giurisdizionale

Al fine di comprendere i termini della questione e la linea ermeneutica seguita dalla Corte, pare opportuno ripercorrere il sistema normativo predisposto a tutela del diritto alla salute dell’estradando. L’art. 705, comma 2, c.p.p. assolve il delicato compito di comporre armonicamente le istanze di cooperazione giudiziaria tra Stati con l’esigenza di garantire un’effettiva protezione ai diritti della persona, declinando i casi nei quali il principio di mutua collaborazione diviene recessivo rispetto alla tutela dei diritti fondamentali e l’autorità nazionale deve conseguentemente rigettare la richiesta di consegna proveniente dallo Stato estero [1]. Nella sua formulazione originaria, il citato art. 705, comma 2, c.p.p. definiva i presupposti negativi per l’estradizione limitandosi a operare, all’interno della lettera c), un generico rinvio all’art. 698 c.p.p., in forza del quale «non può essere concessa l’estradizione […] quando vi è ragione di ritenere che l’im­putato o il condannato verrà sottoposto […] ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona». Dunque, ai fini di una statuizione negativa sulla consegna, assumevano precipuo rilievo i trattamenti deteriori per i diritti fondamentali a cui l’estradando sarebbe stato sottoposto nel Paese di destinazione, la cui concreta individuazione era, però, demandata all’opera giurisprudenziale. A porre fine alla eccessiva genericità del dato normativo, scandendo in maniera più puntuale i motivi afferenti alla tutela dei diritti fondamentali che impongono il diniego dell’estradizione, ha provveduto il D. lgs. n. 149/2017 [2], con il quale sono state introdotte, nel testo dell’art. 705, comma 2, c.p.p., due «regole negative assolute» [3], corrispondenti ad altrettanti divieti di consegna. Segnatamente, stabilisce la novellata lettera c) della disposizione da ultimo richiamata che l’e­stra­di­zione deve essere negata «se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta […] a pene o tratta­menti crudeli, disumani o degradanti», nonché, più in generale, ogniqualvolta sussista il rischio che il soggetto richiesto venga sottoposto ad «atti» in grado di ledere i suoi diritti fondamentali. Mentre la nuova [continua ..]


3. Rischio di contagio intramurario da Covid-19 ed estradizione passiva

Una volta riconosciuto che il pericolo di violazioni del diritto alla salute, qualunque ne sia la causa, può giustificare il rifiuto della consegna del soggetto richiesto, s’impone un’ulteriore, duplice verifica. Occorre, infatti, considerare, in primo luogo, il grado di pericolosità che contraddistingue, in astratto, una possibile infezione da Covid-19, dal momento che, ai sensi dell’art. 705, comma 2, lett. c-bis), c.p.p., non ogni rischio per la salute giustifica il divieto di estradizione, bensì soltanto quello connotato da «eccezionale gravità». In secondo luogo, è necessaria un’attenta riflessione sui parametri alla stregua dei quali operare il giudizio di concretezza e di attualità che deve caratterizzare il rischio per il consegnando di contrarre tale virus nell’istituto penitenziario di destinazione. Come precisato dalla giurisprudenza interna [8] e sovranazionale [9], invero, in materia d’estradizione, il pericolo di nocumento per i diritti fondamentali deve essere specificamente riferibile alla condizione dell’estradando, alla luce della situazione registrata nello Stato estero al momento della traditio. Relativamente al primo aspetto evidenziato, è lapalissiano che i pericoli per la salute connessi a un contagio da coronavirus presentino tutti i connotati di eccezionale gravità ai quali il legislatore ha inteso subordinare il rifiuto dell’estradizione, a causa dei (purtroppo) ampiamente noti effetti nocivi del Covid-19 sulla persona. Con riferimento al secondo profilo, è ovvio che la possibilità di contrarre il virus sia destinata ad aumentare esponenzialmente se l’individuo è ristretto in carcere [10], soprattutto in ragione della grave situazione di sovraffollamento [11] che oramai affligge, senza distinzioni, sia il sistema penitenziario italiano sia quello dei Paesi esteri [12] e che «impedisce o, comunque, rende più difficoltoso il distanziamento sociale» [13]. A tali rilievi non si sottraggono di certo gli istituti penitenziari nordamericani. Basta, infatti, considerare che, in quel contesto, dall’inizio della pandemia, oltre 350.000 detenuti hanno già contratto il Covid-19 e che, tra questi, più di 2000 sono le persone decedute a causa di complicazioni legate [continua ..]


4. L’efficacia preclusiva “rebus sic stantibus” del provvedimento di diniego dell’estradizione

A tale conclusione appena patrocinata è stata rivolta, tuttavia, un’ulteriore critica, imperniata sulla natura transitoria dell’emergenza sanitaria in atto. Segnatamente, in dottrina, si è sostenuto che, a fronte di un epilogo negativo del procedimento di estradizione, allo Stato estero sarebbe impedito il rinnovo della richiesta, pure in caso di miglioramento della condizione epidemiologica nel proprio territorio, ostando a tale possibilità la regula iuris contenuta nell’art. 707 c.p.p. Stabilisce, infatti, la disposizione de qua che la sentenza contraria alla traditio impedisce un successivo pronunciamento favorevole sulla domanda estera di consegna presentata per i medesimi fatti «salvo che la domanda sia fondata su elementi che non siano già stati valutati dall’autorità giudiziaria». Stando a una simile impostazione, il provvedimento di rigetto della richiesta di estradizione legato al rischio di contrarre il coronavirus configurerebbe un’ipotesi di giudicato, suscettibile di impedire una successiva e diversa decisione dell’autorità giudiziaria italiana. Con buona pace delle esigenze di mutua cooperazione, irragionevolmente pregiudicate anche in caso di mutamento della condizione sanitaria [23]. Allo scopo di evitare un tale effetto preclusivo, è stata proposta una soluzione inedita: una volta constatata la presenza di una situazione sanitaria preclusiva, l’autorità giudiziaria dovrebbe sospendere il procedimento d’estradizione senza pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni che consentono la traditio, nell’attesa di un’auspicabile evoluzione positiva del quadro epidemiologico. La soluzione prospettata, oltre a essere basata su un wishful thinking, poiché è ignoto, al momento, se e quando la pandemia di Covid-19 avrà fine, sconta, però, il difetto di un appiglio normativo idoneo a fondare la possibilità di una tale “anomala” sospensione [24]. Nelle ipotesi in considerazione potrebbe, al più, prefigurarsi l’opportunità di un differimento ex officio, ad opera del Presidente della Corte d’ap­pello, della data d’udienza per la decisione fissata ai sensi dell’art. 704, comma 1, c.p.p. Anche tale soluzione, però, non affranca da ulteriori rischi per il soggetto [continua ..]


NOTE