Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Intercettazioni all'estero mediante captatore informatico: nuovi strumenti, vecchi problemi (di Mauro Trogu, Dottore di ricerca in Diritto processuale penale interno, internazionale e comparato – Università di Urbino “Carlo Bo”)


Con una pronuncia che si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato, la Corte di cassazione ribadisce che non sia necessario avviare una rogatoria internazionale per intercettare la comunicazione tra presenti che si svolga all’estero, quando le attività prodromiche alla captazione e la registrazione avvengono in Italia. A nulla rileverebbe il fatto che l’intercettazione sia stata compiuta a mezzo di captatore informatico. La soluzione tuttavia lascia irrisolti seri problemi di rispetto della sovranità nazionale e del principio di territorialità della giurisdizione.

Old problems in interception of communications between those present using malware in foreign

With a essay placed in a consolidated jurisprudential trend, the Suprem Court reiterates that it is not necessary a request of judicial assistance to intercept the communication between those present that takes place abroad, when the activities prodromal to the capture and registration take place in Italy. However, the solution leaves unresolved serious problems of respect for national sovereignty.

Sulla utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni tra presenti svolte all’estero mediante captatore informatico Deve considerarsi compiuta sul territorio italiano, e quindi non soggetta alla disciplina delle rogatorie internazionali, l’intercettazione di conversazioni svolte all’estero tra soggetti presenti, rese possibili dall’uso di un captatore informatico inoculato in Italia, trasmetta via internet i dati raccolti, perché siano registrati, su impianti collocati in Italia, in quanto l’atto investigativo deve considerarsi compiuto sul territorio italiano. [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1. Con provvedimento in data 07/11/2019 il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, confermava l’ordinanza in data 8 Agosto 2019 con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato a omissis la misura della custodia cautelare in carcere perché indagato per il reato di cui agli artt. 6, comma 2, 416 bis, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6 ed 8, cod. pen., 3 lett. a), b) e c) L. 16 Marzo 2006 n. 146 e 61 bis cod. pen. 1.1. Il Tribunale, disattesa l’eccezione di inutilizzabilità del materiale captativo sollevata dalla difesa, riteneva che era emersa una solida piattaforma indiziaria idonea a dimostrare che il predetto era “senza dubbio intraneo alla cosca denominata “società di omissis”, uomo con cui il sodale omissis aveva un rapporto talmente paritario da farci anche “affari insieme” e soggetto che faceva “ambasciate tra le consorterie di ndrangheta operanti a omissis e in Canada”, legato in passato a omissis al vertice della cosca, prima di essere assassinato. 2. Avverso la suddetta ordinanza l’indagato propone ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, formulando quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce: violazione degli artt. 606 co. 1 Lett. B), C) ed E) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 178,179, 266, 267, 268, 271, 727 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 15 e 24 Cost., nonché in relazione art. 8 CEDU in ipotesi di mancata autorizzazione per il tramite di rogatoria internazionale – Assoluta illogicità e illegittimità della motivazione in ordine al rigetto della questione preliminare afferente alla inutilizzabilità del risultato delle captazioni effettuate sul territorio canadese attraverso il captatore informatico (Rit. 2102/18 smartphone omissis e Rit. 1033/18 smartphone omissis). Lamenta che le argomentazioni del tribunale del riesame, quanto alla utilizzabilità delle captazioni ambientali de quibus, erano del tutto erronee e fondate su principi giurisprudenziali non pertinenti afferenti la diversa ipotesi di attività di intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate interamente compiuta sul territorio italiano [continua..]

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SOMMARIO:

1. Brevi cenni sulle intercettazioni mediante captatore informatico - 2. Le intercettazioni all’estero: inquadramento normativo - 3. Sovranità e libertà fondamentali - 4. La critica alla tesi dell’instradamento - NOTE


1. Brevi cenni sulle intercettazioni mediante captatore informatico

La sentenza in commento affronta un tema caldo dell’attuale dibattito politico e dottrinale, quello delle intercettazioni di conversazioni a mezzo di captatore informatico (c.d. trojan horse), analizzando l’ipotesi in cui le conversazioni registrate si siano svolte all’estero. Le tematiche con cui si è confrontata la Suprema Corte impongono di procedere preliminarmente ad una sintetica esposizione dei profili materiali e tecnici che caratterizzano questa nuova modalità di intercettazione. L’attività de qua prevede l’inoculazione all’interno di un dispositivo elettronico collegato alla rete internet (un computer, un tablet, uno smartphone) di un programma informatico nocivo (in inglese malware) capace di rendere accessibile il dispositivo bersaglio al soggetto che controlla il programma medesimo, consentendogli così di poter svolgere svariate attività, come ad esempio: copiare i documenti presenti nel dispositivo e spedirli via internet; inserire nuovi documenti; attivare la videocamera e il microfono rendendo possibile la registrazione di ciò che vede e sente il dispositivo (tramutandolo di fatto in una microspia con videocamera); “leggere” tutto ciò che viene digitato nella tastiera; seguire i movimenti del telefono tramite GPS; insomma, il programma è in grado di vedere ogni attività del dispositivo e seguirlo in ogni suo spostamento e azione, rendendolo così uno strumento potentissimo di controllo e intercettazione del suo detentore, che potrà essere intercettato sia quando parla durante una conversazione telefonica, sia quando parla con una persona presente (intercettazione ambientale) [1]. Tutti i dati raccolti vengono trasmessi via internet ad un server presso il quale vengono registrati. Le autorità giudiziarie hanno iniziato a fare uso di questo strumento per fini investigativi parecchi anni fa (la prima sentenza di cui si ha notizia è del 2010 [2]), ma il legislatore è intervenuto a dare una prima disciplina della materia solo di recente, con la tormentata riforma approntata dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 e ss.mm., peraltro applicabile solo ai procedimenti iscritti dopo il 31 agosto 2020 e quindi non operante nel caso in oggetto [3]. Nell’imbarazzante vuoto normativo che privava di qualsiasi base legale la limitazione delle libertà [continua ..]


2. Le intercettazioni all’estero: inquadramento normativo

La sentenza in commento si è occupata di un caso in cui il captatore informatico era stato inserito all’interno di un dispositivo elettronico, poi portato dal suo legittimo possessore in Canada, dove si erano svolte alcune conversazioni tra persone presenti, intercettate proprio mediante il dispositivo bersaglio. La quaestio iuris che viene chiamata a risolvere la Corte di cassazione è la seguente: intercettazioni del genere debbono considerarsi eseguite in territorio italiano o in territorio straniero? E quindi, è o meno necessario, per la loro esecuzione, procedere con rogatoria internazionale? L’art. 696, commi 2 e 3, c.p.p. stabilisce che «nei rapporti con Stati diversi da quelli membri dell’Unione europea ... le richieste di assistenza giudiziaria internazionale … in materia penale, sono disciplinati dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale. Se le norme indicate ai commi 1 e 2 mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme del presente libro.». Poiché tra Italia e Canada è in vigore una specifica Convenzione bilaterale [13], è a quella che si dovrà fare riferimento in via preliminare per capire se le attività di indagine sotto esame sono disciplinate da una fonte speciale. Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione, le Parti contraenti si sono obbligate a prestarsi la più ampia assistenza per «le attività di acquisizione probatoria comprese le perquisizioni ed i sequestri», disposizione sufficientemente ampia da ricomprendere qualsiasi attività di indagine, mezzo di prova e mezzo di ricerca della prova. Il successivo art. 3, comma 1, lett. a) prevede che l’assistenza può essere rifiutata «se lo Stato richiesto ritiene che l’esecuzione della richiesta comprometterebbe la sua sovranità, la sua sicurezza nazionale o altri suoi interessi pubblici essenziali, o sarebbe contraria ai princìpi fondamentali del suo sistema giuridico». Assume infine rilevanza l’art. 17, comma 2, lett. b), ai sensi del quale le richieste di assistenza aventi ad oggetto “misure coercitive” diverse da perquisizioni e sequestri debbono comprendere una motivazione rafforzata «nella quale sono indicate le ragioni per cui si ritiene che possono essere raccolte prove nel [continua ..]


3. Sovranità e libertà fondamentali

Il concetto di sovranità esprime l’attributo di ogni Stato che ha un potere di comando in un dato territorio, supremo, originario e che non riconosce superiori (sovranità interna); tale potere lo rende indipendente da qualsiasi altro Stato (sovranità esterna) [16]. Da ciò consegue che ogni Stato ha il monopolio dei poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale nel territorio sul quale esercita la propria sovranità. Questo concetto è stato messo in crisi negli ultimi decenni anche dallo sviluppo e dall’affermazione di organizzazioni internazionali e sovranazionali che tendono a limitare i poteri degli Stati [17]. Nell’Unione europea questa tendenza si è manifestata, tra l’altro, in tutte quelle forme di assistenza e cooperazione che consentono agli organi giurisdizionali di uno Stato di svolgere alcune delle proprie funzioni in territorio straniero, o che mirano a riconoscere efficacia (quasi) immediata a provvedimenti giurisdizionali esteri. Dal concetto di sovranità esterna deriva il principio generale per cui è fatto divieto alle autorità giurisdizionali di uno Stato di compiere atti istruttori sul territorio di un altro Stato in assenza di una espressa previsione normativa o di uno specifico accordo tra i due Stati [18]. Non vi è dubbio infatti che la tutela (e l’eventuale compressione) dei diritti e delle libertà fondamentali di una persona ricada sotto la responsabilità dello Stato nel cui territorio essa si venga a trovare: l’art. 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (New York, 16 dicembre 1966), recita testualmente che «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare ed a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente Patto». Ciò premesso, nell’ambito della procedura di intercettazione la riservatezza della conversazione tra due o più soggetti viene violata nel momento della captazione, in quanto è quello il momento che consente a un terzo non autorizzato di poterne ascoltare il contenuto. La successiva registrazione potrebbe anche non avere luogo per molteplici ragioni, ma questa eventualità non varrebbe a ripristinare la lesione del diritto alla segretezza della comunicazione, che rimarrebbe comunque violato. [continua ..]


4. La critica alla tesi dell’instradamento

Invero l’orientamento costante della Corte di cassazione è quello, richiamato nella stessa sentenza in commento, secondo il quale, quando l’attività di ricezione, registrazione e verbalizzazione delle conversazioni intercettate avviene in Italia, non sarebbe necessario avviare una rogatoria internazionale [19]. Ciò varrebbe tanto nel caso in cui l’intercettazione riguardi conversazioni telefoniche di un’utenza che si trovi all’estero e il cui flusso comunicativo venga destinato ad un “nodo” telefonico posto in Italia (c.d. instradamento) [20], quanto nel caso in cui riguardi comunicazioni tra presenti a bordo di un’autovettura, captate attraverso una microspia installata quando il veicolo si trovava nel territorio nazionale e che trasmetta agli impianti installati presso la procura della Repubblica col sistema del c.d. instradamento su rete e ponti di un gestore italiano, oppure utilizzando la rete internet [21]. Il ricorso alla rogatoria internazionale sarebbe necessario unicamente per gli interventi da compiersi all’estero per l’intercettazione di conversazioni captate da un gestore straniero [22]. In definitiva, secondo la Corte, non rileverebbe il luogo in cui avviene la conversazione ma la nazionalità del gestore sfruttato per il trasferimento dei dati in Italia: quando almeno una delle due utenze impegnate in una conversazione telefonica è italiana, sarebbe sempre possibile procedere all’inter­cet­ta­zione senza azionare la procedura della rogatoria internazionale. A ben vedere, però, l’approccio che attribuisce valore scriminante alla nazionalità del gestore telefonico è privo di appigli normativi che gli diano la giusta dignità. Ad ogni buon conto, non pare pertinente fare riferimento alla tesi dell’instradamento per affermare la validità dell’intercettazione ambientale mediante captatore informatico di conversazioni svolte al­l’e­stero. La tecnologia sfruttata in questo caso non prevede la creazione di nessun apposito “nodo” telefonico sul territorio italiano: la rete internet è, per definizione, composta da una moltitudine nodi. La captazione avviene nel territorio in cui si trova il dispositivo mobile in cui è presente il malware che serve ad intercettare. Da questo dispositivo il pacchetto contenente i dati [continua ..]


NOTE