Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Corte costituzionale (di Francesca Proia)


È legittima l’esclusione dal giudizio abbreviato dei reati puniti con la pena dell’ergastolo (C. Cost., sent. 3 dicembre 2020, n. 260) Con la sentenza in esame, la Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul tema della preclusione del giudizio abbreviato per gli imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Nello specifico, le questioni sottoposte al vaglio della Consulta avevano ad oggetto l’art. 438, comma 1-bis, come inserito dall’art. 1, comma 1, lett. a), l. 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo), che stabilisce direttamente la preclusione per l’accesso al rito, nonché gli artt. 3 e 5 della medesima legge, i quali hanno eliminato le disposizioni concernenti la riduzione premiale della pena nel caso di reati puniti con l’ergastolo e limitato la sua applicazione ai «fatti commessi successivamente» all’entrata in vigore della riforma. Nel complesso e con tre diverse ordinanze, i giudici remittenti hanno prospettato la violazione degli artt. 3, 24, 27, comma 2, 111, commi 1 e 2, Cost., nonché dell’art. 117, comma 1, Cost. in riferimento agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La preclusione al giudizio abbreviato per gli imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo, innanzitutto, è stata ritenuta lesiva dei principi di uguaglianza e ragionevolezza per due ordini di ragione. In primo luogo, perché produrrebbe irragionevoli equiparazioni sanzionatorie tra fatti aventi disvalore differente; in secondo luogo, perché determinerebbe irragionevoli disparità di trattamento sanzionatorio tra fatti aventi disvalore omogeneo. La disposizione si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 24 Cost., non solo in sé considerato ma anche in relazione agli artt. 2, 3 e 27 Cost. Da una parte, perché negare la facoltà all’imputato di chiedere un rito alternativo lederebbe il nucleo essenziale del diritto di difesa, costituendo tale facoltà una modalità di esercizio dello stesso tra le più rilevanti ed incisive. Dall’altra, in quanto la norma censurata imporrebbe all’imputato di affrontare un dibattimento pubblico, ledendo così il suo diritto al rispetto della dignità e il suo diritto alla riservatezza. I giudici a quibus hanno, inoltre, dubitato della compatibilità della norma censurata con il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. ritenendo l’ergastolo ostativo un’anticipa­zione di affermazione della responsabilità penale del soggetto imputato. Quanto al parametro di cui all’art. 111 Cost., i giudici remittenti, invece, hanno lamentato la violazione del principio della ragionevole durata del processo, sostenendo che tale preclusione [continua..]

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