Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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L'eventuale retroattività della legittima difesa. Falsi e veri problemi (di Cristina Colombo, Ricercatore di diritto penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Il tema che si affronta riguarda il rapporto tra la novellazione subita dalla legittima difesa e gli artt. 673 c.p.p. e 2, comma 2 c.p. Dopo aver sottolineato il diverso ambito applicativo di una novellazione della scriminante (nella specie, la legittima difesa) rispetto all’art. 673 c.p., che prevede la revoca della sentenza per abolitio criminis, vengono evidenziati i perduranti connotati tipizzanti dell’art. 52 c.p., anche nella sua nuova versione, prospettandone l’even­tuale retroattività nei casi previsti dall’art. 2, comma 2 c.p.

Any retroactivity of self-defense. False and real problems

The comment intends to investigate the possible relationship between legitimate defense and art. 673 and art. 2, paragraph 2 of the Criminal Code. After underlining the different application area of ​​legitimate defense with respect to art. 673 of the Criminal Code, which provides for the revocation sentence in case of crime’s abolition, the essential characteristics of art. 52 of the Criminal Code, in its new version, envisaging the possible retroactivity of legitimate defense in the cases provided for by art. 2, paragraph 2 of the criminal code.

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L´inapplicabilità della revoca della sentenza, ex art. 673 c.p.p., alla nuova legittima difesa L’art. 673 c.p.p., prendendo in considerazione, quale causa di revoca della sentenza, solo l’abrogazione o la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, non opera con riferimento alle modifiche apportate dalla L. 36/2019 alla scriminante della legittima difesa, ex art. 52 c.p. Tuttavia, nell’ipotesi di introduzione di una nuova causa di giustificazione o di ampliamento della sfera della scriminante, deve applicarsi, il disposto dell’art. 2, comma 2, c.p. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO 1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Cuneo, in composizione collegiale e in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile la richiesta avanzata da (omissis), ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., per ottenere la revoca della sentenza in data 17.6.2015 (irrevocabile il 20.4.2018) con la quale lo stesso Tribunale lo aveva condannato alla pena di sette anni di reclusione per il reato di tentato omicidio commesso in danno di (omissis). 1.1. Sosteneva il condannato che, alla luce della riforma della scriminante della legittima difesa delineata dalla L. n. 36/2019 e dell’ampliamento del suo ambito applicativo, il fatto delittuoso come accertato in giudizio avrebbe dovuto essere posto nel nulla mediante il ricorso allo strumento processuale previsto dall’art. 673 cod. proc. pen., dovendo considerarsi omologabili le situazioni disciplinate dalla norma (abrogazione di norma incriminatrice, dichiarazione di illegittimità costituzionale) alla introduzione o rimodulazione di una scriminante, come avvenuto per la legittima difesa con la legge citata. 1.2. Ad avviso del giudice dell’esecuzione, viceversa, tale operazione di omologazione non era praticabile, stante il carattere tassativo delle ipotesi individuate dall’art. 673 cod. proc. pen. Osservava il Tribunale, al riguardo, che le scriminanti non operavano sulla norma generale e astratta, ma sul singolo fatto di reato posto all’attenzione del Giudice che, se commesso in presenza di particolari condizioni, avrebbe perso la propria antigiuridicità: ben diverso, dunque, si presentava lo schema applicativo dell’abrogazione di norma incriminatrice (che cessava di esistere, rendendo leciti tutti i fatti suscettibili di cadere nel suo paradigma astratto) dalla modifica delle norme scriminanti, che agivano, invece, sul piano fattuale e non normativo, necessitando di un idoneo apprezzamento che solo il giudizio di merito della cognizione poteva garantire. Del resto, la Corte di legittimità (n. 13110/18), nell’affrontare il non dissimile caso della introduzione di una causa di non punibilità, aveva escluso l’operatività dell’art. 673 cod. proc. pen., posto che detta introduzione non produceva l’effetto di escludere [continua..]

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SOMMARIO:

1. Presentazione del caso - 2. I cardini della pronuncia - 3. L’assenza degli elementi fattuali - NOTE -


1. Presentazione del caso

La pronuncia degli Ermellini, 20 febbraio 2020, n. 14161, pubblicata l’8 maggio 2020, evoca sicuramente interessanti spunti di discussione, sia di taglio teorico che prasseologico. In breve. La problematica affrontata dalla sentenza riguarda, nello specifico, l’eventuale nesso di implicazione – prospettato dal ricorrente – tra il dettato dell’art. 673 c.p.p. e l’applicazione della nuova legittima difesa, ex art. 52 c.p.: ovvero (se vi sia) la possibilità di revocare una sentenza di condanna applicando la ‘nuova’ e attuale disciplina stabilita dalla l. n. 36/2019 «Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa»; in alternativa, se sia possibile applicare l’art. 2, comma 2, c.p. alla nuova formulazione della legittima difesa. Venendo al caso concreto. Il Tribunale di Cuneo, in composizione collegiale e in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta di revoca della sentenza di condanna – datata 17 giugno 2015 (irrevocabile il 20 aprile 2018) – per tentato omicidio, avanzata da Tizio. Il ricorrente aveva rivendicato l’applicazione dell’art. 673 c.p.p. [1] in forza delle modifiche di cui all’art. 52 c.p., avvenute ad opera della l. n. 36/2019 [2]. Lo stesso, richiamava, in seconda istanza, il disposto di cui all’art. 2, comma 2 e comma 4, c.p. e sollevava altresì una «… questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, cod. pen. in relazione agli artt. 3, 13, 25 e 117 Cost. [3], quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, ove esclude l’ultrattività della lex mitior in caso di sopravvenienza del giudicato; inoltre, qualora si ritenga che la nuova legge sulla legittima difesa rientri nella sfera applicativa della fattispecie di cui all’art. 2, comma2, cod. pen., il ricorrente chiede a questa Corte di valutare se rimettere la questione alla Corte costituzionale per accertare la conformità a Costituzione dell’art. 673 cod. proc. pen., laddove limita la revoca della sentenza di condanna ai soli casi di abrogazione/il­legittimità costituzionale e non anche ai casi in cui il fatto viene meno per modifica di normativa di parte generale» [4]. La Cassazione rigettava la richiesta sottolineando che «Ad avviso del giudice dell’esecuzione … tale operazione di [continua ..]


2. I cardini della pronuncia

Gli enunciati normativi di riferimento sui quali ruota la pronuncia sono dunque compendiati nella seguente triade: il disposto dell’art. 673 c.p.p., il comma 2 dell’art. 2 c.p. e la fattispecie scriminante delineata per norma sulla legittima difesa dal “nuovo” art. 52 c.p. [7]. a) Partendo dall’esame dell’art. 673 c.p.p.[8], inteso come declinazione processuale del principio nullumcrimen, nulla poena sine lege, sancito anche dall’art. 25, comma 2, Cost. e dall’art. 7 CEDU [9], appare chiaro come lo stesso intenda consentire di superare l’intangibilità del giudicato – rectius di travolgerlo d’emblée – ogni qual volta il venir meno della fattispecie incriminatrice renda “doveroso rimuovere la sentenza di condanna”. L’art. 673 c.p.p., «Revoca della sentenza per abrogazione del reato», ha introdotto un istituto nuovo prevedendo appunto al comma 1 la revoca della sentenza di condanna o del decreto penale quando il fatto non è più previsto come reato, quindi adottando provvedimenti conseguenti e cancellando direttamente la sentenza del giudice di cognizione, così allontanandosi, sul piano processuale, da quanto disposto dall’art. 2, comma 2, c.p. e dall’art. 30 l. 11 marzo 1953, n. 87 [10]. La revoca, di cui all’art. 673 c.p.p., ha, infatti, come scopo quello di adeguare, di volta in volta, alle novità normative l’esecuzione del comando originario, divenuta ormai inattuale e pertanto non più giustificata per l’intervenuto mutamento del diritto, assicurando il rispetto del principio di legalità, di meritevolezza e proporzionalità della pena [11]. Il legislatore prevede, perciò, la possibilità di modifica della norma incriminatrice, ripristinando lo “status quo ante” in base al principio di retroattività della norma più favorevole al reo, ma circoscrivendo, almeno esplicitamente, nel testo normativo, l’operatività dell’art. 673 c.p.p. a casi specifici, ovverosia solo a casi in cui la norma incriminatrice è stata abrogata [12]. Quindi, la prima questione rilevante, in questo caso, è se siano adattabili le situazioni disciplinate dall’art. 673 c.p.p. all’introduzione o alla modificazione di una scriminante, che ha notoriamente effetto ablativo sul reato, ma [continua ..]


3. L’assenza degli elementi fattuali

Tirando le fila del discorso, è possibile effettuare l’analisi della pronuncia seguendo uno schema, molto stringato, a cui ancorare i temi agitati nel ricorso e già richiamati nelle pagine precedenti. In particolare, partendo dalla richiesta di applicazione dell’art. 673 c.p.p.: (a) essa appare un ‘falso problema’ per la Suprema Corte perché, in questo caso non si può ravvisare un’ipotesi di abolitio criminis, da intendersi stricto sensu come l’ermeneutica processualpenale inclina a ritenere. Per la precisione, l’art. 673 c.p.p. non risulta applicabile a modifiche riguardanti la norma sulla legittima difesa, non avendo queste avuto alcun effetto abrogante sulla norma incriminatrice contestata all’imputato; (b) l’art. 30, l. 11 marzo1953 n. 87, non può essere richiamato, essenzialmente, perché non si tratta di norma anticostituzionale; (c) infine, dall’analisi del fatto concreto, non è risultata l’assoluta necessità dell’uso della forza come strumento di difesa per una violenza illegittima, ex art. 2 CEDU [37]. Esclusa, pertanto, l’applicazione delle norme su indicate, l’indagine si rivolge in primis alla “nuova” legittima difesa. Ricordati i tradizionali elementi costitutivi della scriminante di cui all’art. 52 c.p. e cioè «il pericolo attuale di un’offesa ingiusta ad un diritto proprio od altrui, la necessità di reagire a scopo difensivo, la proporzione tra la difesa e l’offesa», nel caso risulta palpabile, da subito, sia l’assenza della proporzione che dell’at­tualità del pericolo. Come argomentato dai giudici di merito, l’imputato «non era stato vittima di un’aggressione violenta, ma aveva cercato l’avversario brandendo un coltello (mentre lo (omissis) era a mani nude)», agendo in completa assenza di attualità del pericolo per la propria, altrui incolumità o per i propri beni (p.. 7 della decisione) [38]. Si tratta di un vero e proprio “attacco preventivo” completamente slegato dai connotati della legittima difesa, presupponendo la stessa l’esigenza di difendersi da una ingiusta aggressione. Collegando i criteri citati alla realtà, si dovrebbe «ritenere non scriminato l’impiego offensivo di un’arma contro la persona quando questa, pur [continua ..]


NOTE

[1] Art. 673 c.p.p. Revoca della sentenza per abolizione del reato 1. Nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. 2. Allo stesso modo provvede quando è stata emessa sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità. Cass., sez. III, 3 febbraio 2017, n. 5248, in www.brocardi.it, «Il giudice dell’esecuzione, richiesto di revoca della sentenza per sopravvenuta “abolitio criminis”, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., pur non potendo ricostruire la vicenda per cui vi è stata condanna in termini diversi da quelli definiti con la sentenza irrevocabile, né valutare i fatti in modo difforme da quanto ritenuto dal giudice della cognizione, deve accertare se il reato per il quale è stata pronunciata condanna sia considerato ancora tale dalla legge e, a tal fine, può effettuare una sostanziale ricognizione del quadro probatorio già acquisito ed utilizzare elementi che, irrilevanti al momento della sentenza, siano divenuti determinanti, alla luce del diritto sopravvenuto, per la decisione sull’imputazione contestata. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca della sentenza che aveva dichiarato l’estinzione per intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 74 del 2000, rilevando l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’esecuzione, del profilo relativo all’importo dell’imposta evasa, che, dagli elementi agli atti, risultava inferiore alla soglia attualmente rilevante di euro 150.000.00)». [2] Cass., sez. IV, 28 maggio 2019, n. 28782, in www.altalex.com: «la disposizione introdotta dalla novella che, all’evidenza, restringe l’ambito del penalmente rilevante ravvisando una – del tutto nuova – causa di non punibilità che accede all’istituto dell’eccesso colposo in legittima difesa è certamente applicabile ai fatti pregressi, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, c.p., quale legge più favorevole». La Suprema Corte ha escluso anche la sussistenza del presupposto [continua ..]