Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il perspicuo sinotticismo degli artt. 273 e 533 e la spinosa quaestio dell´applicabilità dell´art. 192 co. 2 alla materia cautelare (di Carlo Morselli, Docente a contratto – Unitelma Sapienza)


Si distinguono due nozioni di indizi di reità e di colpevolezza, e, all’opposto, si allineano – in uno schema sinottico fondato sull’identità onomastica (la colpevolezza) – gli artt. 273 e 533 c. p. p. (giudizio cautelare allo stato degli atti e giudizio di merito), per giustificare il sacrificio della libertà personale, di rango costituzionale. Si passano in rassegna le ragioni del “mancato” richiamo, nella disposizione settoriale dell’art. 273, comma 1 bis, c.p.p. sui gravi indizi di colpevolezza, al “vaglio guidato” dei gravi indizi dettato nella norma-madre codificata all’art. 192, comma 2 del rito penale. Si registra criticamente il discorso giurisprudenziale scisso in due filoni, maggioritario e minoritario.

The perspicuous synopticism of articles 273 and 533 and the thorny question of the applicability of art. 192 co. 2 to the precautionary matter

Two notions of clues of guilt and guilt are distinguished, and, on the contrary, they align – in a synoptic scheme based on onomastic identity (guilt) – Articles 273 and 533 c. p. p. (precautionary judgment in the state of the proceedings and judgment of merit), to justify the sacrifice of personal freedom, of constitutional rank. The reasons for the "failure" to recall, in the sectoral provision of art. 273, paragraph 1 bis, of the Italian Criminal Code on serious indications of guilt, on the "guided examination" of the serious indications dictated in the mother standard codified in art. 192, paragraph 2 of the criminal rite. The jurisprudential discourse split into two strands, majority and minority, is critically recorded.

SOMMARIO:

1. Gravi indizi di colpevolezza: la configurabilità di una “azione penale cautelare” - 2. La classe eponima della colpevolezza - 3. L’ibridazione genetica e una recente giurisprudenza de libertate - 4. Il discorso giurisprudenziale sugli indizi di colpevolezza cautelari - 5. L’interpretazione logica e il minimalismo normativo nella recente giurisprudenza - 6. Errore giudiziario (cenno) - NOTE


1. Gravi indizi di colpevolezza: la configurabilità di una “azione penale cautelare”

La clinica giudiziaria mostra un quadro disomogeneo in materia di misure cautelari personali (che pure gode di un preciso ordine sistematico [1]), riferibile alle oscillazioni della giurisprudenza [2] di legittimità sul bagaglio cognitivo minimo richiesto, ai fini dell’applicabilità di misure custodiali, per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza [3]. Non indizi di reità ma di colpevolezza richiede l’art. 273, comma 1, c.p.p. [4], quale «garanzia fondamentale» (dell’intervento cautelare, privativo della libertà individuale) [5] e piattaforma fattuale su cui incardinare il vincolo custodiale ad hominem. La precisazione rappresenta l’architrave sulla quale si basa l’avvio del nostro lavoro, innestandosi, nel tronco della medesima area indiziaria, la distinzione fra indizi di reità, di bassa intensità probatoria, e indizi di colpevolezza, che individua la massima cifra dimostrativa di un quantum di responsabilità che giustifica il sacrificio della libertà personale (ma) al di fuori di una decisione finale asseverativa, che chiuda il grado del processo penale celebrato. Si tratta di un giudizio di colpevolezza anticipato alla protofase, quella cautelare, adottato, ovviamente, rebus sic stantibus  [6], esposto alla mutevolezza dei fatti sopravvenuti (che, almeno tipicamente, dovrebbero essere) pro libertate. Il quadrante onomastico è tracciato, ad esempio, all’art. 63, comma 1, c. p. p. e riguarda lo stadio ante causam in cui versa un soggetto che non riveste lo status di imputato e neppure di preimputato che, al cospetto delle autorità [7], «rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico». L’identità onomastica è ripresa e ripetuta, in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, all’art. 267 c.p.p. che, per le operazioni previste dall’art. 266 c.p.p., richiede, ai fini del rilascio dell’autorizzazione giurisdizionale, (per siffatto nihil obstat), la presenza di «gravi indizi di reato» (commi 1 e 1 bis) [8]. Muta, invece, il protocollo lessicale all’art. 273 c.p.p. [9] in ordine al bagaglio cognitivo che l’autorità deve assicurarsi e valutare per far viaggiare la [continua ..]


2. La classe eponima della colpevolezza

L’operata retrodizione – la valorizzazione degli elementi di prova acquisiti nella fase delle indagini preliminari nella classe, compiuta, della colpevolezza – è espressione della esigenza, se non della necessità, di ancorare la decisione analibertaria (che prende la forma dell’«ordinanza del giudice», in forza dell’art. 292 c.p.p.) sulle basi sicure di una protopronuncia di merito [20], riferita alla c.d. quaestio facti  [21]. Solo un vaglio degli elementi conoscitivi acquisiti in termini di colpevolezza – elaborato allo stato degli atti (tipicamente, quelli preliminari), e quindi in deroga al rispetto delle fasi processuali, delle sue scansioni – esprime l’attitudine della misura prescelta ad elidere lo status libertatis, attestando un titolo di legittimazione. È (il bene del)la libertà costituzionale (art. 13) il perno su cui ruota l’impalcatura del giudizio cautelare spinto al massimo grado dimostrativo, di elevata probabilità, confinante con la certezza (provvisoria ma necessaria), che il gravemente “indiziato” (per mezzo del materiale “indiziante”) sia l’autore del fatto di reato (ex actis), per salvaguardare quella da facili automatismi privativi (dell’indagato-custodito [22]). Tale accostamento – da noi privilegiato – è di fonte codicistica (ed è il precipitato dell’impostazione custodiale, che parte dal carattere eccezionale della corrispondente misura [23]), all’art. 275 c.p.p., al comma 1 bis («Contestualmente a una sentenza di condanna, l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento»), e all’art. 275 cit., comma 2 bis («Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere … se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”; v. artt. 533, comma 3 c.p.p., e 163 c.p.). Anche l’elaborazione giurisprudenziale, nella seconda metà degli anni novanta, si è stabilizzata su una posizione ermeneutica unitaria centrata sul requisito della colpevolezza (nei termini e limiti precisati), statuendo che gli indizi possono consistere in elementi a carico di natura indifferentemente logica o rappresentativa che, pur senza la pretesa di [continua ..]


3. L’ibridazione genetica e una recente giurisprudenza de libertate

Le disposizioni “espressamente” dettate – in sintonia con la presente costruzione parallela giudizio cautelare-giudizio sul fatto di reato, nonché con l’intentata bipartizione tra norme espresse e norme ricavabili in via interpretativa – operano un richiamo tanto selettivo quanto lacunoso. I compilatori del codice, infatti, individuano i fattori del giudizio sulle misure cautelari personali, in merito al sindacato sui gravi indizi di colpevolezza, negli artt. 192, commi 3 e 4, 195 comma 7, c.p.p. e in altre norme. Un richiamo nominatim, ma difettivo per quanto omette (culpa in omittendo), almeno testualmente, può acclararsi. Ricorrendo il registro onomastico («valutazione dei gravi indizi di colpevolezza» e «valutazione della prova», rispettivamente agli artt. 273, comma 1 bis, e 192, c.p.p.), siffatta vistosa omogeneità materiale, confinante con la relativa identità, avrebbe imposto – per non mutilare un testo che deve essere logicamente ordinato e coerente, nel conio – il rispetto redazionale della completezza disciplinare, per quanto riguarda il regime applicabile (da parte della disposizione-cardine dell’art. 273, comma 1 bis, c.p.p.) attraverso il richiamo del comma 2 dell’art. 192 c.p.p. La pertinenza del rapporto tra prova e cautele personali è accreditata dalla dottrina, scrivendosi che «bisogna scovarli i “gravi indizi”: il materiale diagnostico consiste in prove; ed essendo la prova un fenomeno regolato dalle norme» [32]. Quindi, la colpevolezza quale classe eponima che connota sia il giudizio cautelare (intermedio, dum pendet) che quello sulla penale responsabilità (finale, che chiude il primo grado del processo). Manca la condanna nel giudizio ancora pendente [33] però non mancano e sono consistentemente presenti i suoi effetti (dato che l’art. 533, comma primo, secondo periodo, c.p.p., prevede che «con la sentenza il giudice applica la pena»), poiché quoad effectum la custodia cautelare è una misura coercitiva personale de libertate di portata afflittiva [34], qualche volta intesa quale criptopena [35]. Ma altra dottrina usa un certo ambidestrismo, versando in utrumque partem: «qui il concetto di “indizio” ha un significato non del tutto coincidente con [continua ..]


4. Il discorso giurisprudenziale sugli indizi di colpevolezza cautelari

Sulla quaestio tracciata, coincidente pure con  le diverse accezioni del termine “indizio” [39], il Supremo Collegio, sottolinea il distinto significato di siffatto termine all’interno dell’art. 273, comma 1, c.p.p., rispetto all’analoga espressione impiegata all’art. 192, comma 2, c. p. p. (su questa distinzione si attesta una giurisprudenza del 2003/18103, sugli “indizi di colpevolezza cautelari” che prefigurano  il quantum minimo richiesto per il corretto esercizio del potere cautelare, mediante un giudizio di qualificata probabilità relativamente alla responsabilità dell’imputato) [40]. Riguarda un principio “perpetuato” anche dopo l’intro­duzione dell’art. 273 comma 1 bis c.p.p. [41], in quanto rimangono diversi i canoni valutativi dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicabilità di una misura cautelare personale rispetto a quelli necessari per una pronuncia di condanna, non essendo richiesto, nel primo caso, che gli indizi siano “gravi, precisi e concordanti” in quanto il predetto comma 1 bis non richiama il comma 2 dell’art. 192, c.p.p. Secondo un costante indirizzo, i gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’adozione di una misura cautelare personale non si identificano con gli indizi che rappresentano la prova logica o indiretta idonea a fondare il giudizio di colpevolezza, ai sensi dell’art. 192, comma 2, c.p.p. «in quanto ai fini cautelari è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’impu­tato» [42]. Si tratta di una questione interpretativa che ad oggi interessa il terreno giurisprudenziale. Secondo un indirizzo minoritario, in costanza di prove cc.dd. indirette, trova posto il canone valutativo codificato all’art. 192, comma 2, sicché gli indizi devono essere plurimi, precisi e concordanti, in conformità alle disposizioni generali sulla prova. Però, secondo l’orientamento maggioritario, è sufficiente il solo requisito della gravità degli indizi di cui all’art. 273 c.p.p., non valendo in sede cautelare gli stessi criteri probatori richiesti nel giudizio di merito [43]. Quindi si fronteggiamo due filoni interpretativi, ma che non sono paritari. Secondo il filone [continua ..]


5. L’interpretazione logica e il minimalismo normativo nella recente giurisprudenza

È nota la distinzione fra dettato normativo (littera legis) e norma applicabile e il corrispondente campo di appartenenza: il conio normativo risale al legislatore (la fonte, di produzione) che fissa la prescrizione astratta nell’enunciato di legge, la regula iuris enucleabile l’attesta l’interprete (la giurisprudenza [54], la dottrina), con la sua elaborazione (la foce), destinata al terreno applicativo. Così, laddove non arrivi il legislatore – per un deficit esplicativo ad esempio (minus dixit quam voluit) – supplisce l’interprete [55], colmando la lacuna in via del tutto logica, che rende sistematicamente coerente il testo normativo [56], senza distorcerlo. In definitiva, la responsabilità del corretto e lineare funzionamento di una norma (specialmente) processuale risale ed è affidata – in ultima analisi, appunto – all’opera dell’interpretazione, che deve assicurare o restituire la coerenza applicativa della norma coinvolta nello scrutinio (oppure considerare l’incoerenza non rimediabile come passibile di innescare il giudizio invalidante della Corte costituzionale). La disposizione in discussione è centrata sui gravi indizi di colpevolezza (art. 273, comma 1, c.p.p.), e lo stesso requisito della gravità – si badi – si ritrova all’art. 192, comma 2, c.p.p., quando bisogna ricostruire la fisionomia del fatto di reato. Si tratta di una radice onomastica comune, alla coppia normativa, come si segnala. In ciò le due letture sono sovrapponibili (nel tratto saliente della gravità degli indizi), residuando il problema – o pseudoproblema – del trattamento degli altri due aggettivi che figurano all’art. 192, comma 2, c.p.p., «precisi e concordanti» (nell’ambito del potere cautelare, lo “stato” [57] degli indizi, equivalendo al suo statuto quello dell’irrefutabile vincolo di appartenenza del fatto all’agere dell’autore designato [58]). La dottrina più attenta ha individuato tre nozioni di prova indiziaria [59]. Per rendere riducibile la libertà costituzionale (art. 13) – cioè operare la limitazione di talune libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, ma anche consacrate nei testi delle Convenzioni internazionali (la libertà di circolazione, ad [continua ..]


6. Errore giudiziario (cenno)

Si è avvertito che le indagini e gli accertamenti  [114] devono tendere alla completezza – allestendo anche le controipotesi, aggiungiamo – per un bisogno di garanzia contro l’errore  [115]- [116]. Al riguardo, si è precisato che una lettura congiunta degli artt. 13, 24 comma 2 e 27 comma 2 Cost. porta a ritenere che «la nozione di “errore giudiziario” accolta a livello costituzionale deve intendersi con riferimento … anche all’ipotesi di erronea limitazione della libertà personale dell’imputato ante iudicatum» [117]. Ora la fattispecie è stata codificata con capo ad hoc – VIII (del titolo I, “Misure cautelari personali“, ricompreso nel libro VI “Misure cautelari”) del C.p.p. riservato alla Riparazione per ingiusta detenzione – che esordisce con l’art. 314 e termina con una significativa clausola di chiusura: «Si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario» (artt. 643 s. c.p.p.)  [118]. In dottrina, si è opportunamente avvertito, in senso ampliativo del raggio di azione degli interessi lesi: «Si pensi al caso di fattispecie indiziaria esclusa anche da sentenza della corte di cassazione ovvero ad una decisione che riconosca la mancanza di riscontri ad una chiamata di correità. Laddove simili situazioni siano accertate con sentenza passata in giudicato, non vi sono ragioni per escludere l’applicazione dell’istituto di cui si tratta» [119]. Gli indizi, raccolti ed utilizzati quali strumenti antagonisti per ridurre la libertà personale del cittadino (rectius, la libertà costituzionale, inviolabile nel conio dell’art. 13) dunque, devono essere rigorosamente soppesati e valutati senza contraddizioni, per non inficiare lo scrutinio dal vizio (fatale) dell’errore, di cui deve farsi carico, preventivamente, il processo penale [120], fin dalla fase prodromica appunto. Infatti, spesso l’errore emerge e si inserisce quale sbocco delle lacune investigative e dei limiti delle prime acquisizioni – se non delle “forzature” degli obiettivi investigativi, di cui i provvedimenti giurisdizionali sono il precipitato – delle lontane indagini preliminari, mal gestite, che poi “infestano” il giudizio (magari [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2020