Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Lo scambio di oggetti fra i detenuti in regime di 41-bis: per la Corte costituzionale è illegittimo il divieto assoluto (di Giorgia Padua, Dottoranda di ricerca in Diritto Pubblico (indirizzo penalistico) – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Con la sentenza n. 97 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto di scambiare oggetti fra detenuti sottoposti al regime detentivo speciale, ancorché appartenenti allo stesso gruppo di socialità, previsto dall’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), ord. pen., ritenendolo in contrasto con il principio di ragionevolezza e con la finalità rieducativa della pena.

La pronuncia offre un interessante spunto di riflessione per indagare non solo il rapporto di congruità tra le misure restrittive imposte dal legislatore e gli obiettivi perseguiti dalla disciplina, ma anche per evidenziare i profili critici connessi alle forme più rigorose di esecuzione della pena, in termini di concreto bilanciamento tra interessi confliggenti e carattere assoluto di certe previsioni.

Exchanging objects among prisoners under Article 41-bis: according to the Constitutional Court, the absolute prohibition is illegitimate

With judgment no. 97 of 2020, the Constitutional Court declared illegitimate the absolute prohibition of exchanging objects among prisoners under special prison regime, even within the same “social group”, as provided for in Article 41-bis, par. 2-quater, lett. f), of law no. 354 of 1975, considering it to be against the principle of reasonableness and the rehabilitation purpose of the sentence.

Not only does the judgment offer the occasion to analyse the match between the restrictive measures and the objectives pursued by the law, but also to highlight the main concerns about the most severe prison treatment, in terms of balance between opposing needs and unconditional nature of some provisions.

 

Incostituzionale il divieto assoluto di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialità È costituzionalmente illegittimo l’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità». [Omissis]   RITENUTO IN FATTO 1.– La Corte di cassazione, sezione prima penale, con due ordinanze di analogo tenore, adottate in pari data e nella medesima composizione collegiale (rispettivamente iscritte ai numeri 222 e 223 del registro ordinanze 2019), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialità». 2.– Nel giudizio iscritto al r.o. n. 222 del 2019, il collegio rimettente riferisce che la vicenda sottoposta al vaglio di legittimità nasce dal reclamo al Magistrato di sorveglianza di Spoleto proposto da G. G., detenuto sottoposto al regime differenziato ex art. 41-bis ordin. penit., avverso l’ordine di servizio del 15 marzo 2015 con il quale la direzione dell’istituto penitenziario ha comunicato il divieto di scambiare oggetti di qualunque genere, quand’anche realizzato tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità, a seguito delle innovazioni apportate al citato regime differenziato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Secondo il reclamante, lo scambio di oggetti, e in particolare di generi alimentari «provenienti dai consueti canali (pacco famiglia, acquisti effettuati attraverso il circuito interno dell’istituto penitenziario in base al cd. mod. 72)», non poteva mettere a rischio il perseguimento delle finalità cui è preordinato il regime carcerario previsto dall’art. 41-bis ordin. penit., considerato che i detenuti interessati allo scambio erano già stati ammessi «a fruire in comune la cd. socialità». Espone [continua..]

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SOMMARIO:

1. La questione - 2. Il regime detentivo speciale e i gruppi di socialità - 3. (Segue:) il divieto di scambiare oggetti - 4. I parametri di giudizio e il ragionamento della Corte - 5. (Segue): ratio e incongruità della previsione - 6. Le ricadute della pronuncia di incostituzionalità - 7. Riflessioni conclusive in tema di “assolutezza” - NOTE


1. La questione

La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla disciplina del trattamento carcerario differenziato, è intervenuta per rideterminare nuovamente il contenuto dell’art. 41-bis ord. pen. [1] al fine di renderlo conforme alla Costituzione. In particolare, oggetto di censura è il comma 2-quater, lett. f), della citata disposizione, che disciplina il regime di massima sicurezza applicabile ai condannati per reati di particolare gravità, indicati dall’art. 4-bis ord. pen., prevedendo misure restrittive riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza; fra queste, la limitazione della socialità all’interno di gruppi precostituiti dall’amministrazione penitenziaria e l’assoluta impossibilità di scambiare oggetti. Dopo aver ritenuto incostituzionale – con sentenza n. 186 del 2018 [2] – il divieto di cuocere cibi contenuto nella medesima disposizione, l’attenzione della Consulta si è, da ultimo, concentrata proprio su quello di scambiare oggetti. Con la sentenza in esame, infatti, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis ord. pen., nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità». In altre parole, il Giudice delle leggi ha ritenuto irragionevole che il divieto in parola fosse necessariamente generalizzato, ovvero esteso anche alle interazioni fra membri di uno stesso gruppo di socialità, dovendo piuttosto rispondere all’esigenza in concreto di garantire la sicurezza dei cittadini. A partire da tale affermazione in punto di assolutezza del divieto, quella inversione letterale nel testo della norma che caratterizza la pronuncia di accoglimento non si traduce semplicemente in una modifica delle abitudini relazionali dei detenuti in regime differenziato, che d’ora in poi avranno guadagnato la possibilità di compiere un ulteriore piccolo gesto di «normalità quotidiana» [3], bensì rappresenta il punto di approdo di un [continua ..]


2. Il regime detentivo speciale e i gruppi di socialità

Al fine di comprendere le coordinate concettuali caratterizzanti la materia oggetto della pronuncia in esame, appare preliminarmente necessario dare conto del significato concreto del c.d. “carcere duro” [11] e della cornice normativa nella quale si inscrive la relativa disciplina, ripercorrendo l’evolu­zione legislativa che ne ha segnato le tappe fondamentali. Partendo da un angolo visuale più ampio, il contesto nel quale si colloca la disposizione censurata è quello del contrasto alla criminalità organizzata, resosi necessario all’indomani della strage di Capaci e realizzato attraverso una legislazione d’urgenza (e d’emergenza) che si articolava sul piano del diritto penale sostanziale, del diritto processuale e del diritto penitenziario [12]. Sotto quest’ultimo aspetto, si è avvertita l’esigenza di prevedere regole trattamentali più stringenti nei confronti di persone detenute per i delitti considerati più gravi [13], al dichiarato scopo di garantire l’ordine e la sicurezza [14]. In particolare, con il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in l. 7 agosto 1992, n. 356, è stato introdotto il secondo comma dell’art. 41-bis ord. pen., che consente al Ministro della giustizia di adottare provvedimenti [15] individuali di sospensione dell’applicazione delle regole previste dalla legge di ordinamento penitenziario che «possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza» [16]. La deroga alla disciplina ordinaria differisce sia dal regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis ord. pen., maggiormente limitato nel tempo e nei contenuti [17], sia dalla sospensione per gravi situazioni di emergenza prevista dal primo comma dell’art. 41-bis ord. pen., che appare ristretta ad ipotesi di ingovernabilità dell’istituto penitenziario, quali le rivolte [18]. Quanto ai presupposti, sebbene la sospensione delle normali regole di trattamento non sia conseguenza diretta di comportamenti imputabili ai singoli condannati, essa deve necessariamente essere riconducibile ad un problema di ordine e sicurezza in qualche modo cagionato dai destinatari della misura e ascrivibile ai rapporti attuali di questi ultimi con l’organizzazione criminale di provenienza [19]. L’enunciazione espressa dello scopo precipuo del [continua ..]


3. (Segue:) il divieto di scambiare oggetti

Accanto al divieto di comunicare fra componenti di diversi gruppi di socialità, dal 2009 sono state introdotte nuove restrizioni alla vita intra moenia dei detenuti in regime speciale, contenute sempre nell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) e consistenti nel divieto di scambiare oggetti e cuocere cibi, quest’ultimo dichiarato incostituzionale con sentenza n. 186 del 2018. La ragione che ha spinto il legislatore ad imporre questa ulteriore limitazione della socialità (d’ora in poi ci si riferirà al solo divieto di scambiare oggetti) è da ricercare nella necessità di impedire la trasmissione di messaggi difficilmente decifrabili, soprattutto verso l’esterno, nonché di evitare posizioni di supremazia all’interno del gruppo che possano mettere in stato di soggezione taluni membri considerati più “deboli” rispetto ad altri. Giova a questo punto precisare che, per quanto concerne il regime ordinario, le categorie di beni che i detenuti possono possedere o acquistare [32] si riducono, essenzialmente, a generi alimentari e bevande, cartoleria, articoli per l’igiene personale, casalinghi, tabacchi, giornali e riviste. Infatti, i soggetti in stato di detenzione non sono obbligati a consumare esclusivamente il vitto offerto dall’istituto penitenziario, in quanto sono autorizzati – ai sensi dell’art. 9, comma 7, ord. pen. – ad acquistare generi alimentari presso gli spacci gestiti dall’amministrazione o dati in appalto a ditte esterne, così come gli oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona. Tale sistema di acquisto “autorizzato” di beni, noto come “sopravvitto”, è appositamente regolamentato, oltre che dalla legge dell’ordinamento penitenziario, dal d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, dalle circolari del DAP, dai regolamenti interni adottati dai singoli istituti e dagli ordini di servizio attuativi dei direttori d’istituto. A ciò sono da aggiungere capi di abbigliamento e generi alimentari di consumo comune provenienti dall’esterno e contenuti in pacchi soggetti a controllo prima della consegna al destinatario; il legislatore ha, invece, voluto escludere la possibilità di ricevere cibi “pregiati” che possano divenire mezzo improprio di scambio o motivo di discriminazione fra i detenuti [33]. Di tutti questi [continua ..]


4. I parametri di giudizio e il ragionamento della Corte

Nell’ambito del giudizio costituzionale, i parametri invocati segnano le direttrici fondamentali del ragionamento e scandiscono il percorso logico-argomentativo della Corte fino alla soluzione della questione sollevata. In altre parole, il focus della motivazione è orientato dalle norme costituzionali che segnano gli argini entro cui può esplicarsi la discrezionalità legislativa. Con riguardo al caso di specie, ciò si traduce nel condizionare la valutazione sulla legittimità dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), ord. pen. al rispetto degli artt. 3 e 27 Cost., che operano come limiti costituzionali all’applicazione del trattamento differenziato. D’altra parte, l’individuazione di una “soglia di garanzia costituzionale” per il regime di massima sicurezza risale ai momenti immediatamente successivi alla stessa introduzione della disciplina e si muove lungo tre assi: il contenimento della discrezionalità amministrativa, la congruità delle misure rispetto allo scopo e la rieducazione del condannato. Solo con l’adeguamento ai menzionati principi, infatti, la risposta sanzionatoria può dirsi “costituzionalmente sostenibile”. Il primo profilo è scaturito dai timori che, con la legge n. 356 del 1992, fosse stato concesso all’auto­rità amministrativa uno spazio di manovra eccessivo rispetto al bene giuridico in questione, cioè la libertà personale del detenuto tutelata dall’art. 13 Cost. Sul punto, la Corte costituzionale ha proceduto in via interpretativa puntualizzando che il Ministro non può adottare provvedimenti incidenti sulla qualità e quantità della pena o sul grado di restrizione della libertà personale [40], sicché devono riconoscersi indefettibili “limiti esterni” alla discrezionalità amministrativa. Accanto a questi, la Corte ha teorizzato, altresì, l’esistenza di “limiti interni” all’applicazione del regime differenziato [41], osservando che «non possono disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e sicurezza che motivano il provvedimento». Diversamente, «le misure in questione non risponderebbero [continua ..]


5. (Segue): ratio e incongruità della previsione

Se, da un punto di vista strutturale, la decisione ruota intorno a tre pilastri, cioè la norma, le finalità e i limiti, sul piano contenutistico, l’analisi condotta dalla Corte si concentra sui due possibili significati del divieto di scambiare oggetti: impedire la trasmissione di messaggi cifrati fra detenuti e scongiurare eventuali posizioni di supremazia all’interno del gruppo di socialità. Quanto al primo profilo in esame, la comunicazione è da ritenersi nucleo incomprimibile della socialità e risponde alla concreta esigenza di garantire ai detenuti la possibilità di intrattenere relazioni interpersonali, funzionali alla loro risocializzazione in ottica rieducativa. Ciò, naturalmente, solo limitatamente al gruppo di socialità appositamente selezionato. All’interno di quest’ultimo e in occasione dei previsti momenti ricreativi, i detenuti hanno varie occasioni per comunicare tra loro in forma tanto orale, quanto gestuale. È vero che gli spazi comuni sono sottoposti alla sorveglianza del personale addetto, ma non mancano le chance di comunicare senza essere ascoltati o attraverso gesti dal significato difficilmente intellegibile. Oltretutto, se il pericolo che si avverte dallo scambio di oggetti è quello che possano essere veicolate comunicazioni cifrate, giova rammentare che sono consentite altre attività sociali (si pensi al gioco delle carte), che potrebbero tradire un’attitudine a trasmettere messaggi nascosti, così come esternazioni orali o gestuali apparentemente casuali ma dal significato chiaro per il detenuto “in ascolto”. Pertanto, la Corte si è ritrovata di fronte ad un aut-aut logico, prima ancora che giuridico: il legislatore avrebbe dovuto o inibire ex ante ogni scambio comunicativo fra detenuti, oppure consentire anche lo scambio di oggetti (come si è visto, tutti innocui e di esiguo valore), a meno di introdurre una misura dal carattere inutilmente e meramente afflittivo. In definitiva, il divieto in esame appare comprensibile se applicato a detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, accompagnandosi a quello di comunicare [46], ma se riferito ai membri di uno stesso gruppo risulta incongruo rispetto allo scopo di «impedire la trasmissione all’esterno del carcere di messaggi funzionali all’attività criminale [continua ..]


6. Le ricadute della pronuncia di incostituzionalità

La ricostruzione dell’iter motivazionale della sentenza in commento richiede talune ultime precisazioni che permettono di valutarne i riflessi sul più ampio contesto detentivo. Innanzitutto, giova chiarire l’effettiva portata della pronuncia n. 97 del 2020. Infatti, l’incostituzio­nalità investe il divieto assoluto di scambiare oggetti, nel senso – sopra specificato – che la limitazione non pare ragionevole in assenza della necessità in concreto di garantire la sicurezza dei cittadini. Ma ciò significa che ad essere reputata illegittima è l’applicazione «necessaria e generalizzata» del divieto di scambiare oggetti, con l’ulteriore conseguenza, ricavabile a contrario, che un’esigenza specifica e concreta potrebbe giustificare un trattamento diverso, atto a impedire lo scambio. Se la previsione ex lege del divieto assoluto costituisce una scelta sproporzionata, lo stesso non potrebbe dirsi di una misura restrittiva scaturita da una verifica in concreto sull’esistenza di un reale pericolo e calibrata sulle peculiarità del singolo caso. Allora, il bilanciamento tra i valori in gioco non deve essere compiuto ex ante dal legislatore, bensì alla luce di una contingente necessità, eventualmente ravvisata dall’amministrazione penitenziaria, di intervenire a tutela della sicurezza. Naturalmente, questa affermazione cambia la prospettiva della disposizione censurata. In effetti, con l’ultima decisione della Consulta sulla disciplina del regime differenziato, si realizza una riperimetrazione dell’art. 41-bis ord. pen., che, per l’ennesima volta, è interessato da vicende manipolative. Si assiste, cioè, ad un ulteriore intervento, sebbene non di fonte legislativa, che incide sull’al­ternativa “può”/”deve”: non potrà più dirsi che lo scambio di oggetti “deve” essere impedito, ma il divieto “può” essere imposto, laddove una concreta minaccia alla sicurezza lo richieda. Le ricadute sulla prassi carceraria si individuano, così, nella possibilità per l’amministrazione penitenziaria di «disciplinare le modalità di effettuazione degli scambi tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo […], nonché di predeterminare le condizioni [continua ..]


7. Riflessioni conclusive in tema di “assolutezza”

L’evoluzione logico-argomentativa della pronuncia consente, in ultima analisi, di trarre alcuni spunti di riflessione che trascendono l’oggetto specifico della questione di costituzionalità e invadono categorie giuridiche e principi più generali. Al netto di peculiari risvolti, il tema centrale affrontato dal Giudice delle leggi è quello dell’assolu­tezza del divieto e la conclusione complessiva che si trae dalla decisione è che un bilanciamento realizzato a monte può produrre distorsioni applicative eccessivamente afflittive, soprattutto su un terreno scivoloso come quello del trattamento differenziato, ab origine e per natura più severo rispetto al regime ordinario. In questo si coglie distintamente l’eco delle precedenti affermazioni della Corte sulla proibizione di cuocere cibi, contenute nella sentenza n. 186 del 2018. La logica che anima le due decisioni è, infatti, coincidente, giacché, anche in quell’occasione, il divieto è stato considerato privo di ragionevole giustificazione «in quanto previsto in via generale ed astratta». Naturale corollario di un simile ragionamento è l’esigenza di individualizzare il trattamento penitenziario, proprio per contrastare l’eccesso di astrattezza che connota le previsioni assolute e che, se non saldato bene agli obiettivi perseguiti dalla norma, rischia di produrre effetti incongrui e sproporzionati. L’approccio verso la “relativizzazione” dell’applicabilità di una restrizione evoca anche quanto affermato nella sentenza n. 253 del 2019 [54], con la quale è stata ritenuta irragionevole la previsione ex art. 4-bis, comma 1, ord. pen. che precludeva tout court al detenuto non collaborante con la giustizia l’accesso al beneficio del permesso-premio. Sebbene i due arresti giurisprudenziali si muovano su strade inevitabilmente parallele e in ambiti ben distinti, si può ravvisare una comune “sensibilità costituzionale”, radicata sulla valorizzazione dei presupposti che effettivamente giustificano una limitazione e votata ad una personalizzazione del trattamento carcerario. È evidente, infatti, che la natura generale ed astratta delle regole penitenziarie non può distanziarsi, più dello stretto necessario, dalle esigenze concrete e specifiche, a meno di realizzare [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2020