Lo scritto affronta la questione sulla rilevanza giuridica dell’impedimento del difensore a comparire in udienza, dovuto a concomitante impegno professionale, con specifico riguardo al procedimento di sorveglianza. In particolare, l’Autore, partendo da un’analisi della giurisprudenza e dell’elaborazione dottrinale sviluppatasi in ordine alla configurazione generale e all’implementazione concreta del legittimo impedimento del difensore, intende svolgere alcune riflessioni riguardanti l’effettività del contraddittorio e della difesa tecnica soprattutto nell’ambito dei riti camerali a partecipazione necessaria.
The paper addresses the issue about the legal relevance of the lawyer’s impediment to appear at the hearing, due to concurrent professional commitment, with specific regard to the surveillance procedure. In particular, the Author, starting from an analysis both of the jurisprudence and the legal literature developed with respect to the general configuration and the concrete implementation of the lawyer’s legitimate impediment, intends to carry out some reflections concerning the effectiveness of the adversarial principle and of the right to counsel especially in the chamber proceedings with necessary participation.
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1. Il tema della decisione - 2. Il contenuto del legittimo impedimento del difensore … - 3. … e la portata delle garanzie difensive nel rito camerale - 4. L’impedimento a comparire del difensore per concomitante impegno professionale e il procedimento di sorveglianza - 5. Conclusione - NOTE
Nell’ordinaria dinamica della giustizia penale, il legittimo impedimento a comparire in udienza prende in considerazione e disciplina una particolare e variegata situazione fattuale in grado di inibire e precludere, non solo all’imputato, ma anche al suo difensore, la possibilità concreta di partecipare al processo. Di conseguenza, nel codice di rito penale, esso determina – a particolari e prestabilite condizioni – il riconoscimento di un diritto al rinvio dell’udienza prevista, perché la partecipazione al processo rappresenta un’essenziale prerogativa difensiva, soprattutto allo scopo di salvaguardare il corretto svolgimento della giurisdizione penale e rendere effettivi i canoni fondamentali del procès équitable. Invero, non essendo configurabile alcun reale “contraddittorio” senza al contempo assicurare la presenza effettiva a tutti gli autentici “protagonisti” della contesa penale, proprio la partecipazione del difensore al processo e il suo concreto coinvolgimento nel confronto dialettico costituiscono elementi essenziali nell’architettura del fair trial, aventi la medesima dignità riconosciuta alla presenza del pubblico ministero [1]. Questa fondata considerazione di immediata ragionevolezza impone, quindi, di porre particolare attenzione alle differenti situazioni di fatto che impediscono la reale partecipazione del difensore, predisponendo ed implementando costantemente un’efficace rete normativa di protezione della stessa. A tal riguardo, un esempio palese delle rilevanti problematiche applicative che possono sorgere in ordine al contenuto del legittimo impedimento difensivo, soprattutto con riferimento ai riti camerali, è dato, certamente, da una recente sentenza della Corte di Cassazione, ove i giudici di legittimità hanno affermato che l’impedimento a comparire del difensore ex art. 420-ter, comma 5, c.p.p., con la previsione del rinvio del processo ad una nuova udienza, si applica anche nel procedimento di cui all’art. 666 c.p.p., e quindi pure nel procedimento di sorveglianza, e ciò finanche nel caso di impedimento del legale per concomitante impegno professionale. Nel caso di specie, invero, tale principio di diritto è stato pronunciato dalla Corte di cassazione, accogliendo il ricorso presentato dal difensore del condannato, annullando [continua ..]
Nell’attuale sistema processuale, volto tendenzialmente all’affermazione della logica operativa del “processo di parti”, diviene assolutamente fondamentale accrescere l’efficacia e la densità contenutistica del diritto di difesa, se si vuole valorizzare adeguatamente la «funzione dialetticamente contrapposta all’accusa che l’imputato (autodifesa) e il suo difensore (difesa tecnica) esercitano di fronte ad un giudice imparziale» [2]. In particolare, la concreta portata del contradditorio – sia come garanzia soggettiva che come metodo epistemologico [3] – non può che fondarsi sull’effettività dell’assistenza tecnica, la quale davvero consente che il confronto con l’accusa avvenga in condizioni di parità, ossia con modi e strumenti di equipollente valore ed incisività rispetto a quelli messi in campo dall’avversario processuale. Dunque, nell’ambito di tale prospettiva sistematica, il riconoscimento del legittimo impedimento del difensore dell’imputato ai fini del rinvio dell’udienza si inserisce, come elemento imprescindibile, nell’articolato gruppo di disposizioni volte a rafforzare l’effettività del diritto di difesa sotto il profilo tecnico. Nel corpus del codice di rito penale inaugurato nel 1930, erano riconosciute e tutelate soltanto le cause ostative della presenza dell’imputato (art. 497 c.p.p.), mentre nel caso in cui il difensore fosse stato impossibilitato a comparire in udienza, senza che avesse provveduto a designare un sostituto, l’unica soluzione materialmente individuabile era una nomina d’ufficio [4]. In tal modo, però, erano tutt’altro che difficili da manifestarsi i gravi limiti, quantomeno sotto il profilo dell’efficacia, di una difesa tecnica offerta da un soggetto reperito occasionalmente, estraneo alla scelta intuitu personae dell’assistito e “catapultato” in un processo (in effetti) non conosciuto prima. Peraltro, da un punto di vista non soltanto teorico, anche l’eventuale assegnazione di un termine congruo per lo studio degli atti non si rivelava un rimedio pienamente soddisfacente, perché si basava su un errato convincimento. A ben vedere, infatti, la conoscenza del materiale giudiziario, acquisita grazie al tempo concesso dal giudice, non avrebbe mai [continua ..]
Sin dall’esordio del vigente codice di procedura penale si è posta, in tutta la sua ineliminabile complessità, la questione sui limiti di applicabilità della possibilità di sospendere e rinviare l’udienza allorché risulti che l’assenza del difensore sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per causa a lui non imputabile. Come si è detto, l’originaria configurazione dell’attuale codice di rito penale dava rilievo ai motivi dell’assenza della parte privata e del suo difensore solo nel giudizio di cognizione ordinario, mentre si riteneva che la relativa disciplina non fosse applicabile ai procedimenti in camera di consiglio, anche se a partecipazione necessaria del difensore, e tantomeno all’udienza preliminare [28]. Solo con la legge n. 479 del 1999, l’istituto del legittimo impedimento a comparire dell’imputato o del difensore è stato disciplinato anche e direttamente con riferimento all’udienza preliminare, tanto che, attualmente, le norme processuali del giudizio di cognizione ordinario si limitano a richiamare espressamente tale normativa. In particolare, come si è osservato, l’estensione dell’istituto dell’impedimento del difensore all’udienza preliminare era proprio giustificata dalla nuova disciplina di quella fase processuale, la quale aveva assunto un ruolo maggiormente significativo nell’intera architettura del rito penale. Correlativamente, si riteneva, invece, che la disciplina di cui all’art. 420-ter c.p.p. non fosse affatto applicabile ai procedimenti in camera di consiglio, diversi dall’udienza preliminare, e ciò anche nel caso di procedimenti camerali a partecipazione necessaria delle parti (pur in presenza, quindi, di un connotato procedurale fondamentale in comune proprio con l’udienza preliminare), in quanto si sosteneva che, per quest’ultimi, il diritto di difesa fosse comunque garantito dall’obbligo per il giudice, ai sensi dell’art. 97, comma 4, c.p.p., di nominare un sostituto al difensore assente [29]. D’altronde, questo orientamento interpretativo sui procedimenti in camera di consiglio diversi dall’udienza preliminare – la cui disciplina il legislatore del 1999 non aveva in effetti innovato – era e resta fondato principalmente sul dato letterale dell’intera normativa processuale [continua ..]
Ormai da tempo si assiste allo sforzo di affermazione di una tendenza interpretativa tesa alla progressiva estensione della garanzia di “immutabilità” del difensore anche ai procedimenti con rito camerale, e non solo a quelli con partecipazione solo facoltativa del legale, ma anche, e a fortiori, a quelli a partecipazione necessaria. Come si è visto, però, per anni si è registrato un orientamento saldamente impegnato a sostenere l’esclusione dell’istituto del rinvio per legittimo impedimento del difensore dall’ambito dei procedimenti camerali contraddistinti dalla necessaria presenza del legale, proprio come il rito di sorveglianza. Le radici di tale indirizzo ermeneutico affondano, senza dubbio ed essenzialmente, in una sorta di atavica e generalizzata “indifferenza” verso l’effettività delle garanzie difensive nei riti camerali, destinata, peraltro, ad accrescersi ancor di più rispetto al procedimento di sorveglianza, cui, purtroppo, ancora oggi e non di rado, si guarda attraverso la lente deformante di un “malinteso” modello di procedimento a giurisdizione “attenuata” [34]. Come è noto, la suddetta posizione interpretativa, benché risalente all’assetto originario del codice, è agevolmente sopravvissuta anche agli incisivi mutamenti sistematici introdotti fin dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479. La soluzione ermeneutica restrittiva è stata, infatti, confermata anche dall’autorevole intervento delle Sezioni Unite [35], le quali hanno affermato che «i procedimenti di esecuzione e di sorveglianza non hanno subìto alcuna trasformazione tale da giustificare un’assimilazione con la nuova configurazione dell’udienza preliminare» ex art. 420-ter c.p.p.; semmai, l’assenza di un’analoga modifica nella disciplina degli altri riti camerali ha costituito «il segno che [il legislatore] ha inteso lasciare inalterata la regolamentazione vigente» degli stessi. Insomma, la scelta del legislatore, ben lungi dall’essere ispirata ad un generale disegno rafforzativo del contraddittorio nei riti camerali, è stata animata dalla specifica ed esclusiva necessità di un riadattamento mirato delle forme dell’udienza preliminare al potenziato ruolo attribuito a tale fase e, in particolare, all’eventuale espletarsi [continua ..]
Se l’essenza più autentica del contraddittorio si esprime «nella partecipazione dialettica delle parti» [53], la sua effettività non può che estrinsecarsi mediante il riconoscimento di garanzie difensive idonee ad assicurare che la partecipazione davanti al giudice avvenga davvero in condizioni paritetiche. Invero, non è revocabile in dubbio che contraddittorio e difesa siano entità concettualmente autonome, ma intrinsecamente connesse, nel senso che, laddove il diritto di partecipare all’udienza subisca irragionevoli limitazioni e/o condizionamenti, la partecipazione paritaria e l’esercizio del contraddittorio non possono dirsi assicurati realmente. Come è noto, la difesa tecnica costituisce uno dei principali connotati del principio sancito dall’art. 24, comma 2, Cost., il quale si esplica in ogni stato e grado del procedimento, anche e soprattutto, come diritto inviolabile dell’interessato di essere assistito e rappresentato da un difensore, ovvero da un persona abilitata che abbia le cognizioni tecnico-giuridiche necessarie per affrontare adeguatamente ogni ambito giudiziario nell’interesse della parte. Certo, a fronte della solenne dichiarazione di inviolabilità della difesa, la disposizione costituzionale de qua non chiarisce, però, il dato ontologico di tale diritto, né tantomeno le singole garanzie necessarie per la sua attuazione concreta nella dinamica processuale, ovvero ancora il tipo e la configurazione dell’assetto processuale maggiormente idoneo a valorizzare l’esercizio della funzione difensiva. Invero, la formulazione recepita nella Carta costituzionale risulta «decisamente povera in senso denotativo, giacché la difesa vi figura, concettualmente non meno che grammaticalmente, come un postulato, come un’entità di cui sia noto e indefettibile il contenuto», mentre nulla si dice «né sul tipo di struttura idonea a salvaguardare la difesa né sulle singole garanzie che la compongono» [54]. Dunque, oggettivamente «priva di paradigmi quanto all’attuazione» [55], la garanzia di cui all’art. 24, comma 2, Cost. costituisce una tipica “libertà a contenuto positivo”, la quale non può che rimandare alle scelte del legislatore il compito di assicurarne la tutela in concreto. Per l’appunto, [continua ..]