In tema di indagini difensive, la decisione in commento – conformandosi ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato – ammette l’acquisizione di documenti raccolti all’estero dal detective, incaricato dal privato, fuori dall’ambito applicativo di cui all’art. 391-nonies c.p.p. La pronuncia offre l’occasione per analizzare le criticità connesse alla ricerca di una prova allogena, le quali si profilano d’ostacolo alla piena attuazione del diritto di difendersi ricercando.
Regarding to defensive investigations, the Court of Cassation – in accordance to the majority of legal trends – allows the acquisition of documents collected abroad by the detective, appointed directly by the private party, without application of the art. 391-nonies c.p.p. The decision provides the opportunity to reflect on the critical issues related to the research for foreign evidence, which don’t allow full implementation of the right to defend itself by seeking.
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1. La vicenda - 2. I nuovi strumenti di cooperazione e la parabola della disciplina rogatoriale - 3. “Atti” e “documenti” acquisiti o tramessi dall’estero - 4. Documentazione liberamente acquisita dalla difesa all’estero - 5. Le indagini all’estero dell’investigatore privato non delegato dal difensore - 6. Riflessioni conclusive - NOTE
La questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte prende le mosse da un caso sempre più frequente in una realtà globalizzata in cui i meccanismi di cooperazione non possono limitarsi allo scambio di informazioni tra le autorità giudiziarie degli Stati coinvolti, ma richiedono l’apertura all’attività condotta dalle parti private. Prima di esaminare il decisum della Corte, occorre dare conto delle vicende processuali. Nello specifico, ai ricorrenti venivano ascritti i delitti di frode assicurativa e di simulazione di reato per aver denunciato falsamente il furto di un trattore che, in realtà, risultava venduto ad un acquirente straniero per conseguire il relativo indennizzo dalla compagnia assicuratrice. A seguito di condanna in primo e in secondo grado, il difensore degli imputati ricorreva per cassazione dolendosi [1] della violazione dell’art. 729, commi 1 e 1-ter del codice di rito. Secondo la ricostruzione della difesa, i giudici del merito avrebbero erroneamente utilizzato documenti provenienti da amministrazioni estere e reperiti dall’investigatore privato, il quale era stato poi sentito, in qualità di testimone, nel corso del giudizio. I ricorrenti lamentavano, dunque, l’irritualità nell’acquisizione di tali elementi – immessi nel processo dalla compagnia assicuratrice costituitasi parte civile – sul presupposto che le stesse avrebbero dovuto assumere la forma della rogatoria internazionale, trattandosi di documentazione amministrativa rilasciata da autorità doganali straniere. Il giudice di legittimità ha affermato che i documenti prodotti dalla parte a seguito di indagini svolte all’estero – prima dell’iscrizione della notizia di reato – possono essere pienamente utilizzati, ai fini della decisione, senza alcuna necessità di attivare il meccanismo rogatoriale; la Corte ha, inoltre, stabilito che può essere acquisita la deposizione dell’investigatore privato rilasciata all’esito degli accertamenti effettuati [2]. La decisione – conforme all’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente – merita approfondimento poiché stimola, da un lato, la ricognizione della disciplina della rogatoria nonché degli altri strumenti di assistenza e cooperazione internazionale di più recente [continua ..]
Attualmente la ricerca e la formazione della prova all’estero sono regolate da molteplici fonti [3] che, soprattutto a livello europeo [4], rendono complessa l’individuazione del mezzo, di volta in volta, giuridicamente più adeguato alla raccolta del materiale probatorio. Il tradizionale strumento di cooperazione processuale – fondato sul principio della mutua assistenza [5] – è rappresentato dalla rogatoria internazionale, ovvero dalla richiesta che l’autorità giudiziaria procedente [6] può inoltrare ad organi di uno Stato diverso da quello in cui è incardinato il giudizio penale per il compimento di un determinato atto [7], così da superare le rigide preclusioni connesse al principio di sovranità. Premessa la distinzione delle rogatorie in attive e passive – a seconda che la richiesta di compimento dell’atto provenga dall’autorità giudiziaria italiana o da quella straniera – particolari criticità, specie nell’applicazione pratica, discendono dalle disposizioni relative all’utilizzabilità, nel processo penale italiano, della prova raccolta all’estero [8]. La formazione di tali elementi avviene, di norma, nel rispetto del principio del locus regit actum, ovvero secondo le modalità e le forme previste dall’ordinamento dello Stato richiesto; cionondimeno, le discrasie spesso ravvisabili tra i diversi ordinamenti – con riguardo, in particolare, alle garanzie difensive e al procedimento probatorio – possono determinare l’insorgenza di vizi processuali in grado di compromettere, in tutto o in parte, la validità e l’efficacia dimostrativa del dato raccolto [9]. Per scongiurare il pericolo di inutilizzabilità della prova allogena formata secondo modalità difformi rispetto al paradigma legale interno e garantire, quindi, un adeguato livello di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, il legislatore è intervenuto, in più occasioni, sulla disciplina codicistica. La formulazione originaria dell’art. 729 c.p.p., dedicato al regime di utilizzabilità delle risultanze investigative ottenute mediante rogatoria internazionale, comportava, nei tratti sostanziali, l’impiego processuale interno, ad eccezione dell’ipotesi di violazione del principio di [continua ..]
Analizzato il quadro dei diversi strumenti di assistenza e cooperazione giudiziaria, è possibile riflettere sull’utilizzabilità in Italia della prova acquisita all’estero, con particolare riguardo alla attività investigativa delle parti private e del difensore. Tra le modalità di introduzione della prova allogena nel processo italiano rientra, a pieno titolo, l’acquisizione documentale. Ciò premesso, è opportuno effettuare una precisazione nell’ambito di ciò che nel diritto processuale penale può definirsi “documento”, ovvero «entità materiale intenzionalmente rappresentativa di un fatto, giuridicamente rilevante, rispetto alla propria consistenza sensibile» [33]. Il codice di rito, distinguendo tra documenti processuali [34] e documenti extraprocessuali, attribuisce ai primi il valore “atti”, mentre ai secondi quello di “documenti in senso stretto”, in quanto solo questi ultimi sono formati fuori dal processo nel quale si richiede o si dispone che essi facciano ingresso [35]. Tale diversificazione si riflette, inevitabilmente, sulla disciplina della prova acquisita all’estero. Tra i documenti extraprocessuali rientrano, senza dubbio, quelli formati all’esterno di qualsivoglia procedimento penale, sia italiano che straniero. Per questi ultimi, il ricorso alla procedura rogatoriale, benché possibile, non risulta necessario qualora si tratti di materiale di pubblico dominio oppure il suo legittimo detentore liberamente lo offra o lo metta a disposizione degli interessati [36]. Difatti, ponendosi al di fuori di ogni attività di indagine penale, per il documento extraprocessuale si esclude l’applicabilità del regime previsto in materia di rogatorie internazionali – sistema attivabile solo nel corso del procedimento penale – e, conseguentemente, delle norme in materia di inutilizzabilità degli atti rogati: da ciò ne discende che i documenti debbano essere regolati unicamente dalla disciplina contenuta negli artt. 234 ss. c.p.p. [37]. Sulle orme di tale principio, l’iter motivazionale della decisione annotata richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale [38] relativo all’inapplicabilità del regime rogatoriale quando la parte richieda di produrre documentazione autonomamente [continua ..]
La questione conserva, invece, rilevanza rispetto alle parti private, con particolare riguardo alla figura del difensore, il quale non è legittimato ad attivare il meccanismo rogatoriale. In tale contesto, la sua posizione appare particolarmente critica dal momento che egli è destinato a ricoprire un ruolo decisamente marginale nelle dinamiche dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere. Nemmeno l’accresciuta sensibilità del legislatore verso i diritti della difesa – che ha condotto, sul finire del secolo scorso, ad una serie di interventi normativi tesi, sul piano costituzionale [49], a rafforzare il principio della parità delle armi tra parti processuali e, sul piano codicistico [50], a conferire consistenti poteri investigativi al difensore – ha portato ad inserire quest’ultimo tra i soggetti legittimati ad attivare il meccanismo di assistenza rogatoriale, con ricadute negative sia sotto il profilo dell’acquisizione di elementi favorevoli all’assistito, sia con riguardo all’utilizzabilità dei medesimi nel processo italiano qualora vengano comunque raccolti. Se, per un verso, la criticità è minore nel caso in cui sia necessario ricorrere alla rogatoria durante la fase dibattimentale – laddove spetterà al giudice, ai sensi degli artt. 468, comma 2 e 495, comma 4, c.p.p., valutare la concreta utilità della prova richiesta dalle parti, pubbliche o private che siano – per un altro verso, la questione assumerà concreto rilievo nell’ipotesi in cui il difensore debba raccogliere elementi di prova all’estero nel corso delle indagini o in vista del giudizio abbreviato [51]. In tal caso, egli sarà costretto a sollecitare l’intervento del pubblico ministero affinché quest’ultimo si attivi – facendo così rivivere il modello di “canalizzazione” [52] – con la conseguenza che l’opportunità di ricorrere o meno a tale strumento risulta rimessa, in toto, ad una valutazione discrezionale della accusa. Difatti, nonostante l’organo inquirente sia tenuto a svolgere indagini anche su fatti e circostanze favorevoli alla difesa, lo stesso non ha alcun obbligo di rispondere alle istanze dell’indagato [53]. Nondimeno, atteso che l’effettiva parità delle armi tra accusa e difesa non può venir [continua ..]
Occorre riflettere sulla possibilità che l’attività d’indagine all’estero tesa ad acquisire documentazione sia svolta tramite investigatore privato al di fuori di un mandato conferito dal difensore (art. 391-nonies c.p.p.) [63]. In proposito, gli Ermellini hanno sottolineato come le investigazioni preventive disciplinate dal codice abbiano natura del tutto facoltativa [64] e siano rimesse, pertanto, alla volontà del soggetto che teme di essere sottoposto ad indagini nell’immediato futuro o di colui che, avendo il sospetto di essere stato vittima di un reato [65], intenda acquisire elementi concreti prima di comunicare all’autorità giudiziaria la notitia criminis. Atteso che l’art. 391-nonies c.p.p. attribuisce la facoltà di compiere investigazioni preventive esclusivamente al difensore che sia stato precedentemente e ritualmente nominato a tal fine [66] e fermo restando che quest’ultimo potrà avvalersi di propri ausiliari [67] (consulenti tecnici, investigatori privati [68] e sostituti processuali) per lo svolgimento del mandato [69], ci si chiede se è legittimo lo svolgimento di attività da parte di un investigatore privato nominato direttamente dal soggetto interessato e, eventualmente, quale valore si deve riconoscere ai risultati probatori frutto dell’attività in questione. In proposito, un consolidato orientamento giurisprudenziale [70] tende ad attribuire all’investigatore privato un autonomo potere d’indagine con la conseguenza che l’attività svolta dal medesimo – direttamente nominato dalla parte privata – non dovrà soggiacere alle regole dettate in tema di indagini difensive e gli elementi raccolti assumeranno, pertanto, valore probatorio secondo le regole che governano il mezzo di prova che li immette nel processo. Secondo tale impostazione, i risultati delle indagini potrebbero essere introdotti in giudizio attraverso le dichiarazioni testimoniali dell’incaricato o, in alcuni casi [71], mediante lettura della relazione tecnica. Nonostante l’attività dell’investigatore privato abbia talvolta l’indiscutibile merito di fornire uno stimolo alla pubblica accusa, investigazioni di tal genere appaiono problematiche sotto il profilo del rispetto delle garanzie [continua ..]
La pronuncia della Suprema Corte, nonostante lo scarno iter argomentativo, appare condivisibile nella soluzione proposta. La stessa si iscrive in un filone giurisprudenziale che ha opportunamente contribuito a temperare la netta chiusura, più di un decennio fa, sulla possibilità di svolgere investigazione difensive all’estero, riconoscendo alle parti private la facoltà di acquisire ed utilizzare gli atti liberamente ottenuti ultra fines, seppur limitatamente ai documenti, senza necessità di attivare il meccanismo rogatoriale. A tal proposito – tenuto conto del principio della parità delle parti, tendenzialmente inteso a compensare gli squilibri tra accusa e difesa [76] e della pari dignità che l’art. 327-bis c.p.p. attribuisce, sotto il profilo probatorio, al difensore – è auspicabile una maggiore apertura verso le indagini “private” all’estero al fine di evitare un eclatante sbilanciamento di poteri in favore dell’autorità inquirente. Sul punto, merita adesione chi ha rilevato, da un lato, che l’ordinamento non afferma, nemmeno implicitamente, il divieto per il difensore di raccogliere materiale probatorio extra moenia [77], né con riguardo all’acquisizione di atti formati in altri contesti procedimentali – i quali ben possono essere introdotti in giudizio mediante applicazione della disciplina di cui all’art. 78 norme att. – né rispetto alle prove assunte all’interno della sede processuale latamente intesa; dall’altro, che l’unico effettivo limite all’attività investigativa del difensore deve correttamente rinvenirsi nell’esecuzione o nell’assunzione di quegli atti per i quali è richiesto il necessario intervento dell’autorità giudiziaria italiana. Malgrado ciò, fino ad ora i segnali offerti dal quadro giurisprudenziale sono poco rassicuranti e non risultano idonei a colmare il deficit di garanzie che il “giusto processo” deve assicurare, senza limiti spaziali e temporali. Sebbene si siano registrate alcune aperture in ambito europeo – in particolare con l’introduzione dell’o.e.i. – non è significativo il progresso della difesa, né è ancora chiaro di quali prerogative goda il difensore sotto il profilo del [continua ..]