Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Videosorveglianza e prova: una questione di attendibilità (di Giorgia Padua, Dottoranda di ricerca in Diritto Pubblico (indirizzo penalistico) – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Le videoriprese eseguite da soggetti privati sono prove documentali utilizzabili ai fini della decisione. Tuttavia, le modalità di apprensione dei contenuti in sede investigativa si riflettono sulla loro attendibilità rappresentativa al momento della valutazione. Infatti, sebbene il mancato rispetto delle tecniche di informatica forense per l’estra­zio­ne e la duplicazione dei dati non faccia scaturire la sanzione processuale dell’inutilizzabilità, si evidenziano talune cri­ticità in punto di affidabilità della prova e genuinità dell’accertamento.

Video surveillance and evidence: a matter of reliability

Video recordings made by private individuals are documentary evidence that can be used for the decision. However, the methods of apprehension of the contents during investigations reflect on their representative reliability at the moment of evaluation. In fact, although the failure to comply with digital forensics techniques for the extraction and duplication of data does not result in the procedural sanction of the exclusion of the evidence, some critical points are highlighted in terms of consistency of the proof and authenticity of the criminal investigation.

 

Corte di cassazione, sez. V, sentenza 6 maggio 2020, n. 13779 – Pres. Palla; Rel. Riccardi L’utilizzabilità delle videoriprese eseguite da privati con telecamere di sicurezza non è subordinata alla procedura di estrazione dei dati archiviati in un supporto informatico prevista dall’art. 254-bis c.p.p., la cui inosservanza non è assistita da alcuna sanzione processuale, potendone derivare, invece, eventualmente, effetti sull’attendibilità della prova.   [Omissis] RITENUTO IN FATTO Con sentenza emessa il 24/10/2018 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Monza che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato (Omissis) responsabile del reato di furto pluriaggravato di una bicicletta, sottratta a (Omissis) forzando la catena. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (Omissis), Avv. (Omissis), deducendo due motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in riferimento agli artt. 191 e 254 bis c.p.p.: lamenta l’inutilizzabilità dell’acquisizione dei filmati dell’impianto di videosorveglianza del centro commerciale, estratti senza le garanzie previste dall’art. 254 bis c.p.p. 2.2. Vizio di motivazione in relazione all’individuazione dell’imputato quale autore del furto: la discordanza tra l’orario del furto indicato dalla persona offesa (11/11,30) e quella indicata dal sistema di videosorveglianza è stata motivata in maniera alternativa e contraddittoria, sul rilievo o di un difetto di taratura dell’apparecchio, o di una imprecisione della persona offesa; inoltre l’accertamento della corrispondenza del soggetto ripreso dalle immagini sarebbe insufficiente in quanto fondato su un mero giudizio di somiglianza. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile. Giova premettere che, secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, l’imputato è stato riconosciuto autore del furto di una bicicletta marca Atala assicurata alla griglia adibita a deposito, in quanto ripreso a bordo dell’autovettura Fiat Punto di colore grigio, recante segni particolari (portapacchi, specchietto retrovisore sinistro mancante e paraurti di tinta differente dal resto della carrozzeria), ripresa dalle telecamere di videosorveglianza del Centro commerciale (Omissis) ove è stato consumato il furto, ed a bordo della quale, inoltre, il (Omissis) era stato fermato un paio di mesi prima in possesso di un ciclomotore rubato. Tanto premesso, il primo motivo, con cui si deduce l’inutilizzabilità dei filmati, è manifestamente infondato. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, le videoregistrazioni effettuate dai privati con [continua..]

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SOMMARIO:

Premessa - Le recenti affermazioni della giurisprudenza - Dagli atti d’indagine alla prova: un focus sulle videoriprese - L’apprensione dei contenuti e l’integrità dei dati - La valutazione della prova documentale e l’attendibilità della rappresentazione - NOTE


Premessa

La sentenza in esame si inserisce nel novero degli arresti giurisprudenziali in tema di videoriprese e, in particolare, affronta le problematiche connesse all’impiego processuale di quelle eseguite da soggetti privati. La crescente diffusione di impianti di videosorveglianza in prossimità, ad esempio, di strade, piazze, esercizi commerciali ed abitazioni, ispirata prima di tutto ad una logica di prevenzione e deterrenza [1], ha infatti condotto alla sempre più frequente collocazione di filmati o di fotogrammi da essi estratti all’interno del compendio probatorio. Tendenza certamente comprensibile, stante la loro grande utilità ai fini della ricostruzione della dinamica criminosa, dell’identificazione dell’autore del reato e, in definitiva, dell’accertamento della responsabilità penale [2]. La convincente efficacia probatoria delle videoriprese, che siano investigative o realizzate al di fuori del procedimento, non ha però sopito alcune preliminari questioni di diritto prodromiche al loro utilizzo in sede decisoria. Sollecitata dai problemi emersi nelle aule di tribunale, la giurisprudenza di legittimità ha offerto – nel tempo – un panorama variegato di soluzioni interpretative per far fronte agli emergenti interrogativi di natura processuale attinenti all’individuazione della disciplina applicabile. A fronte di pronunce che hanno agilmente ricondotto le riprese visive nella categoria delle prove documentali ex art. 234 c.p.p. [3], non sono mancate opinioni dissenzienti che le hanno inquadrate fra le prove atipiche previste dall’art. 189 c.p.p. [4] La composizione del conflitto fra le due posizioni è intervenuta con una ormai storica decisione delle Sezioni Unite [5] che ha fornito alcuni importanti punti di riferimento in termini di classificazione giuridica, cristallizzando un orientamento oggi consolidato. Così, le videoregistrazioni eseguite dagli organi di polizia all’interno della cornice delle indagini preliminari costituiscono la documentazione di un’attività investigativa e sono suscettibili di impiego processuale quali prove atipiche, dunque solo in seguito al vaglio di ammissibilità da parte del giudice e al contraddittorio fra le parti a norma dell’art. 189 c.p.p. Diversamente, i filmati ricavati da telecamere installate da altri soggetti (non rileva se pubblici o privati, [continua ..]


Le recenti affermazioni della giurisprudenza

In tema di videoriprese non investigative, il nodo interpretativo rimasto in discussione all’esito della chiarificazione fornita dalla Suprema Corte è correlato alle sanzioni processuali che possono eventualmente derivare da una illegittima acquisizione della fonte di prova. Il tema è anche oggetto della recente sentenza della Cassazione, qui in esame. La motivazione della pronuncia ruota su due nuclei argomentativi: chiamato ad esprimersi, in punto di diritto, sulla corretta applicazione degli artt. 191 e 254-bis c.p.p. da parte della Corte d’Appello, il collegio giudicante ha affrontato dapprima il problema dell’inutilizzabilità, per poi riferire sulla invocata disciplina del sequestro probatorio di dati informatici. In ordine all’asserita illegittima acquisizione della prova, la Corte ha risposto alla doglianza del ricorrente ribadendo il consolidato orientamento a mente del quale le videoriprese eseguite da soggetti privati sono prove documentali, dunque acquisibili ai sensi dell’art. 234 c.p.p. Di conseguenza, i fotogrammi inseriti nelle annotazioni di servizio non ricadono nella sanzione processuale dell’inutiliz­za­bi­lità, giacché sono da considerarsi documenti precostituiti correttamente ottenuti [8]. Nella specie, si trattava dei filmati realizzati dalle telecamere di sicurezza di un centro commerciale che hanno consentito l’identificazione dell’imputato quale autore del furto di una bicicletta, nonché il riconoscimento dell’autovettura a bordo della quale egli si trovava. Per quanto concerne, più specificamente, le modalità di apprensione delle videoregistrazioni, i giudici della Suprema Corte hanno evidenziato l’inconferenza dell’art. 254-bis c.p.p. sulla base di un’argo­mentazione forse troppo succinta. La norma è stata ritenuta non applicabile al caso de quo ma la spiegazione data dalla Corte, che si è limitata a citare integralmente un precedente (peraltro non pienamente in termini, perché non avente ad oggetto alcuna videoripresa) facendo altresì riferimento ad una tipologia di supporto informatico (il floppy disk) non interessato dalla vicenda in esame, appare poco precisa. I giudici di legittimità hanno precisato che l’estrazione di dati informatici non è inquadrabile alla stregua di un accertamento tecnico irripetibile: la legge 18 [continua ..]


Dagli atti d’indagine alla prova: un focus sulle videoriprese

L’occasione fornita dalla sentenza in esame, che con le sue puntualizzazioni si inserisce all’interno dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di digital evidence, induce a soffermarsi su un profilo connesso alle videoriprese non sempre adeguatamente valorizzato, cioè quello della loro attendibilità. In particolare, la prospettiva in cui ci si pone è quella di una prova documentale che giunge all’at­tenzione dell’organo giudicante già confezionata e pronta per essere valutata. I documenti ex art. 234 c.p.p., per loro stessa natura, sono precostituiti rispetto al processo [16]: dunque, il procedimento che li ha generati (in tal caso, la registrazione del filmato) nulla ha a che vedere con l’accertamento condotto dalle forze investigative. Durante le indagini preliminari, tuttavia, questi materiali sono ricercati, scoperti, ottenuti attraverso le varie attività, tipiche ed atipiche, compiute dalla polizia giudiziaria, per poi divenire oggetto di una richiesta di prova in dibattimento. Pertanto, ci si vuole in questa sede interrogare non già sulla modalità con cui la videoripresa è stata in origine realizzata, né sull’eventuale illecita captazione di immagini [17], bensì sulle modalità di assicurazione della fonte di prova. Il timore è che una poco ortodossa apprensione del documento produca modifiche che ne contaminino la genuinità, restituendo – in sede dibattimentale – un risultato non conforme all’originale. Se si escludono eventuali manomissioni dolose, il cui pericolo può assumersi identico a quello relativo ai documenti analogici, ciò è tanto più allarmante in un contesto informatico quale è quello delle videoregistrazioni: infatti, il rischio di alterazioni involontarie dei dati in sede di estrazione da un supporto digitale è certamente maggiore [18]. Basti pensare, ad esempio, che anche un semplice processo di copia di un file può determinare, per errore, un deterioramento dell’informazione ivi contenuta sino a comprometterla. In accordo a quanto finora premesso, può sottolinearsi che i filmati sono dei documenti informatici, ovvero delle rappresentazioni di un fatto incorporate su una base materiale, che differiscono da quelli tradizionali non per l’attitudine rappresentativa ma per la [continua ..]


L’apprensione dei contenuti e l’integrità dei dati

L’esigenza di adeguare la prassi d’indagine all’apertura di nuovi scenari nella criminalità e – più in generale – all’evoluzione tecnologica è stata in buona parte soddisfatta con la citata l. n. 48 del 2008, intervento normativo che, in luogo della creazione di paradigmi investigativi ad hoc, ha provveduto alla riscrittura di istituti già esistenti, modificandone aspetti formali e procedurali [21]. Soprattutto, la cifra caratterizzante la novella è la previsione di protocolli comportamentali che, in materia di acquisizione di dati informatici, impongono l’adozione di misure tecniche volte ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione. Con riguardo agli elementi di prova di natura digitale, si è, così, affacciato sul modello tratteggiato dal codice di rito un vero e proprio metodo di investigazione informatica: un insieme di modalità operative in cui gli schemi giuridici sono intrisi dalle procedure tecnologiche ed improntati a specifiche cautele, al dichiarato fine di garantire l’affidabilità dell’accertamento penale. In definitiva, si osserva una procedimentalizzazione dell’indagine digitale in cui la vincolatività di certi modus operandi e l’adozione di linguaggi e saperi propri della tecnologia informatica diventano un imperativo imprescindibile. Nel quadro appena delineato, la chiave di volta è nitidamente individuata nella tutela del dato digitale, minimo comun denominatore di tutti gli istituti interessati [22]. La tecnica legislativa adottata in proposito è stata quella del rinvio mobile alle misure, presenti nel panorama scientifico internazionale di riferimento, di volta in volta ritenute idonee a contrastare il rischio di contaminazione della digital evidence. D’altra parte, la carenza di tassatività, oltre ad essere in linea con il fisiologico decorso dello sviluppo tecnologico, appare coerente con la scelta di non prevedere sanzioni processuali. Se ciò è vero, non può tuttavia essere sottaciuto che a pagare il prezzo di queste nuove modalità di indagine “a forma libera” è un criterio di “legalità investigativa” che, se assicurato, potrebbe invece da solo garantire la genuinità dei contenuti informatici acquisiti. Da un punto di vista strettamente tecnico, le più [continua ..]


La valutazione della prova documentale e l’attendibilità della rappresentazione

La ricostruzione di questo sintetico quadro sistematico in materia di acquisizione delle videoregistrazioni consente di tracciare le fondamentali direttrici del procedimento probatorio avente ad oggetto tali documenti. Innanzitutto, sono fugati tutti i dubbi interpretativi in punto di ammissione e assunzione della prova. Per quanto concerne l’ammissione, le parti che intendono introdurre una videoripresa nel processo, al fine di provare un determinato fatto, formulano la relativa richiesta nella fase preliminare al dibattimento ex art. 493 c.p.p. Come si è già evidenziato, i filmati vengono acquisiti come prove documentali ai sensi dell’art. 234 c.p.p., categoria che – per la sua formulazione generica – è atta a ricomprendere qualsiasi rappresentazione di un fatto a prescindere dalla modalità (analogica o digitale) con cui essa è incorporata su una base materiale; dunque, anche un documento informatico, purché sia precostituito rispetto al processo. Pertanto, trattandosi di un mezzo di prova tipico, la valutazione del giudice segue i criteri di cui all’art. 190 c.p.p. [35]: la prova supera il vaglio di ammissibilità se è pertinente, rilevante, non vietata dalla legge e non superflua. In tale prospettiva, giova ricordare che nessun effetto si produce in termini di inutilizzabilità a causa della poco ortodossa estrazione di dati informatici dal loro supporto originario, comportamento non assistito da sanzioni processuali. Quanto alla fase dell’assunzione, la prova documentale non pone particolari problemi: il codice parla, in proposito, di “acquisizione” facendo riferimento – nel senso stretto del termine – proprio alla procedura di ammissione e conseguente assunzione delle prove precostituite [36], fra le quali si annovera il documento informatico. Residua il momento della valutazione che, invece, è fortemente interessato dalle precedenti vicende inerenti all’apprensione, in sede investigativa, del filmato. Infatti, come suggerito anche dalla giurisprudenza, è sull’apprezzamento del giudice che si producono gli effetti di una dubbia attività acquisitiva. Per comprendere la portata di una tale affermazione, occorre soffermarsi sul ragionamento argomentativo alla base di una decisione sulla responsabilità penale di un imputato, che è improntato al criterio del libero [continua ..]


NOTE