Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
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Divieto di utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi: le Sezioni Unite scelgono la via garantista (di Maria Simona Chelo, Avvocato. Dottore di Ricerca in Diritto processuale penale interno, internazionale e comparato)


Chiamate a risolvere un annoso e mai sopito contrasto interpretativo, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno finalmente fornito la definizione di “procedimento diverso”, ristabilendo la legalità costituzionale nel doveroso, ma non sempre facile bilanciamento tra i diritti fondamentali dell’individuo e l’interesse pubblico primario al­l’accertamento dei reati.

Prohibition of the use of wiretaps in different procedures: the Joint Sections choose the guarantee route

The Joint Sections of the Corte di cassazione, questioned in order to resolve a long-standing and never dormant conflict of interpretation, have finally provided a definition of “different proceedings”, re-establishing constitutional legality in the necessary, but not always easy, balance between the fundamental rights of the individual and the primary public interest in the detection of crimes.

Corte di cassazione, sez. un., sentenza 2 gennaio 2020, n. 51 – Pres. Carcano; Rel. Caputo Il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati dell’attività di captazione, relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge. [Omissis]   RITENUTO IN FATTO   Con sentenza deliberata il 26 aprile 2018, la Corte di appello di Brescia, per quanto è qui di interesse, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo del 31 gennaio 2017, dichiarata l’estinzione per prescrizione degli altri reati per i quali in primo grado era intervenuta condanna, ha confermato la condanna di C.V.A. per i reati di peculato e di falsità ideologica e materiale in atto pubblico (capo 72: fatti commessi il 26 ottobre 2010), e di D.M.G. per i reati di falsità ideologica in atto pubblico (contestati come violazione dell’art. 480 c.p., ma qualificati nelle sentenze di merito come falsità ideologica in atti pubblici ai sensi dell’art. 479 c.p.: capo 92, fatti commessi il (OMISSIS) e il (OMISSIS)). Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione C.V.A., con due distinti atti sottoscritti dai difensori, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Il primo ricorso sottoscritto dall’avvocato Emilio Gueli articola tre motivi. 2.1.1. Il primo motivo denuncia inosservanza degli artt. 270 e 271 cod. proc. pen. La sentenza impugnata ha respinto il motivo di appello con cui era stato contestato il provvedimento di rigetto da parte del Tribunale di Bergamo dell’eccezione di inutilizzabilità delle captazioni di cui ai RIT (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sebbene i delitti contestati nel capo 72 siano oggetto di un “diverso procedimento” ex art. 270 cod. proc. pen., e, per essi, non sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Per giustificare l’uso probatorio dei risultati delle captazioni, il giudice di primo grado aveva ravvisato un collegamento probatorio e investigativo tra i reati per i quali erano state autorizzate le intercettazioni e quelli di cui al capo 72), ma, nel caso di specie, non esiste, ad esempio, alcun nesso tra il delitto di peculato ipotizzato con riferimento all’appropriazione del denaro dell’arrestato Sorci e le intercettazioni disposte nel procedimento relativo a P.V. per [continua..]

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SOMMARIO:

Il quadro costituzionale e normativo di riferimento - Il contrasto interpretativo che ha dato origine alla quaestio iuris controversa - I principi enunciati dalle Sezioni Unite - La risoluzione del contrasto interpretativo: la definizione di “diverso procedimento” - Quale possibile tenuta del principio di diritto sancito dalle sezioni unite, alla luce della modifica normativa dell’art. 270 c.p.p.? - NOTE


Il quadro costituzionale e normativo di riferimento

Come è noto le intercettazioni di comunicazioni sono un mezzo di ricerca della prova che rappresenta un formidabile strumento investigativo, certamente tra i più utili all’accertamento dei reati, ma al contempo tra i più invasivi e lesivi dei diritti inviolabili, costituzionalmente garantiti. L’attività d’in­da­gine de qua incide pesantemente, infatti, sul diritto fondamentale, quale la segretezza di ogni forma di comunicazione, che può essere compresso unicamente con un atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, come stabilito dall’art. 15 Cost. Appare decisivo e centrale, dunque, il riferimento all’autorizzazione con cui il giudice dispone le intercettazioni; il provvedimento autorizzativo non rappresenta solo l’atto emanato dall’autorità giudiziaria che legittima, per effetto della riserva di giurisdizione, il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma deve necessariamente circoscrivere l’utilizzazione dei risultati dell’attività di captazione ai fatti-reato direttamente riconducibili all’autorizzazione medesima, fungendo così da presidio per i valori costituzionali che la disciplina delle intercettazioni mira a tutelare. Compito del giudice è, infatti, non solo quello di appurare che la compressione dei diritti di segretezza e della riservatezza delle comunicazioni del singolo sia giustificata dall’esigenza di accerta­re, in concreto, i reati inclusi nel catalogo di cui agli artt. 266 e 266 bis c.p.p., ma anche quello di ve­rificare che l’intru­sio­ne nella sfera privata sia effettivamente limitata al reato indicato nell’auto­riz­zazione. Corollario di questo principio è il divieto di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimento diverso, cioè il divieto di attribuire valore probatorio al contenuto delle comunicazioni o conversazioni intercettate fuori dei casi contemplati dall’art. 270 c.p.p. Sulle deroghe al divieto, normativamente previste, giova precisare che, al momento della deliberazione della sentenza in disamina, l’art. 270, comma 1, c.p.p. prevedeva, quale unica eccezione all’inu­tiliz­zabilità in procedimento diverso, la circostanza che le intercettazioni fossero assolutamente indispensabili ai fini dell’accertamento dei delitti per i [continua ..]


Il contrasto interpretativo che ha dato origine alla quaestio iuris controversa

La pronuncia in commento segue all’ordinanza emessa all’udienza del 13 febbraio 2019 dalla sesta Sezione Penale della Suprema Corte di cassazione, con la quale era stata rimessa alle Sezioni Unite la risoluzione del quesito, così sintetizzato dal supremo Consesso nella sua massima composizione: «se il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le intercettazioni siano state disposte, di cui all’art. 270 cod. proc. pen., riguardi anche i reati non oggetto della intercettazione ab origine disposta e che, privi di collegamento strutturale, probatorio e finalistico con quelli invece già oggetto di essa, siano emersi dalle stesse operazioni di intercettazione» [8]. Sulla vexata quaestio relativa all’effettiva portata della nozione di “procedimento diverso”, che investe non solo l’impiego del mezzo di ricerca della prova, ma anche l’utilizzazione probatoria dei risultati dell’intercettazione, si era registrato un vivace ed annoso contrasto interpretativo, alimentato da tre diversi orientamenti della Corte di cassazione, che negli anni ha fornito una definizione non univoca di “diverso procedimento” [9]. Per un primo, maggioritario, orientamento i risultati delle intercettazioni acquisiti aliunde potevano essere utilizzati in differenti procedimenti se fra gli stessi vi era una concreta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico e il procedimento si considerava diverso in relazione a fatti privi di qualsivoglia nesso con quelli oggetto dell’attività di captazione, quand’anche emersi nel corso e per effetto di essa. Secondo detto indirizzo interpretativo, il concetto di “diverso procedimento”, nel quale, ai sensi dell’art. 270, comma primo, c.p.p., era vietata l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (salvo che risultassero indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza), non equivaleva, infatti, a quello di “diverso reato” ed in esso non rientravano, pertanto, le indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova era stato disposto [10]. Un corollario di questa chiave di lettura era che il concetto di [continua ..]


I principi enunciati dalle Sezioni Unite

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite sono state chiamate, quindi, a dare una definizione univoca di procedimento diverso e, per poter risolvere il quesito di diritto alle stesse devoluto, hanno preliminarmente sciolto un nodo problematico, relativo alla necessità o meno che il reato emerso nel corso dell’attività captativa autorizzata in relazione ad un altro reato rientri nei limiti di ammissibilità stabiliti, in particolare, dall’art. 266 c.p.p. Detto aspetto, su cui si era registrato negli anni un divario interpretativo all’interno dei vari orientamenti della Corte di legittimità sopra citati, è stato precipuamente esaminato dal supremo Consesso nella sua massima composizione, che ha chiarito expressis verbis, in prospettiva nomofilattica, che, anche per i reati accertati all’esito dell’attività di captazione autorizzata in relazione ad un altro specifico reato, deve sussistere il requisito dell’ammissibililità dell’intercettazione, ai sensi degli artt. 266, 266 bis e 267 c.p.p. L’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche opera dunque, in altri termini, solo per i reati diversi, rispetto a quelli per i quali l’autorizzazione alla captazione era stata concessa, che siano autonomamente intercettabili, poiché compresi nel catalogo tassativo di fattispecie criminose per cui è ammesso il ricorso all’attività di captazione, contenuto negli artt. 266 e 266 bis c.p.p.; diversamente opinando si aggirerebbero surrettiziamente i limiti di ammissibilità fissati ex lege «con grave pregiudizio per gli interessi sostanziali tutelati dall’art. 266 cod. proc. pen. che intende porre un limite alla interferenza nella libertà e segretezza delle comunicazioni in conformità all’art. 15 della Costituzione» [21]. Detta puntualizzazione, ultra petita ma necessariamente preliminare, non pare possa essere considerata un mero obiter dictum delle Sezioni Unite, atteso che è parte integrante del principio di diritto enunciato e, come detto, contribuisce a delineare la portata della quaestio iuris rimessa alla cognizione della Corte. Questa precisazione – peraltro in linea con quanto disposto dall’art. 271 c.p.p., che esclude che le intercettazioni possano essere utilizzate qualora siano state eseguite fuori dai casi previsti dalla legge – non è di [continua ..]


La risoluzione del contrasto interpretativo: la definizione di “diverso procedimento”

Con precipuo riferimento, invece, all’effettiva portata del concetto di diverso procedimento, le Sezioni Unite nella risoluzione del quesito hanno guardato alla ratio del divieto contenuto nell’art. 270 c.p.p. [24] ed ai principi costituzionali supra richiamati di cui lo stesso è espressione ed hanno offerto una definizione di “diverso procedimento” che affonda le radici sul terreno dell’interpretazione sistematica e che è in linea, seppure con i dovuti distinguo, con l’impostazione di fondo del primo maggioritario orientamento sposato in passato dalla giurisprudenza di legittimità. L’annoso contrasto interpretativo è stato risolto, dunque, con un’ermeneusi garantista, che ha saputo fare buon governo dei principi sanciti dalla Costituzione e che ha messo a fuoco i rischi di un uso indiscriminato delle intercettazioni “a strascico”, potenzialmente idoneo ad aggirare i meccanismi di garanzia previsti dall’art. 15 Cost. [25]. Secondo il supremo Consesso nella sua massima espressione, eccettuata la deroga al divieto di utilizzabilità delle intercettazioni normativamente prevista dall’art. 270 c.p.p. per i reati di maggiore gravità – per i quali è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza – l’inutilizzabilità non opera e i risultati delle intercettazioni telefoniche possono essere utilizzati in procedimenti diversi, solo se fra gli stessi vi sia una connessione “sostanziale” sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico [26]. La Corte nomofilattica ha inoltre chiarito in modo univoco quale debba essere il legame originario e sostanziale tra il reato in relazione al quale l’attività di captazione è stata autorizzata e quello emerso grazie ai risultati dell’intercettazione. Deve sussistere, infatti, un legame “forte” che la Corte di legittimità intravede unicamente nei casi di connessione processuale disciplinati dall’art. 12, lettere a), b) e c) del codice di rito. Nel ragionamento delle Sezioni Unite la sussistenza di un’ipotesi di connessione processuale costituisce un riflesso della connessione sostanziale, peraltro indipendente dalla vicenda procedimentale e dal numero del procedimento rinvenibile dal registro delle notizie di reato. Il legame “forte” è così individuato: in [continua ..]


Quale possibile tenuta del principio di diritto sancito dalle sezioni unite, alla luce della modifica normativa dell’art. 270 c.p.p.?

La portata chiarificatrice della sentenza in commento incontra, però, un ostacolo. Generalmente l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, teso a fare chiarezza su una specifica quaestio iuris, placa, almeno temporaneamente, il dibattito sul preciso quesito sottoposto alla cognizione della Suprema Corte nella sua massima composizione. Questo non è affatto accaduto con la sentenza de qua, considerato il recente intervento normativo sull’art. 270 c.p.p., di cui si è fatto cenno supra, che certamente contribuirà a riaccendere la diatrìba dottrinaria e giurisprudenziale sul tema dell’utilizzabilità, in diverso procedimento, dei risultati delle intercettazioni acquisiti aliunde. Come già detto, l’art. 270 c.p.p., nella formulazione vigente al momento della deliberazione [41] della sentenza, cristallizzava il divieto di utilizzabilità in procedimento diverso, salvo che l’acquisizione dei risultati apparisse indispensabile per l’accertamento di delitti per i quali l’arresto in flagranza è obbligatorio. Un’approfondita esegesi della norma de qua ha condotto le Sezioni Unite a privilegiare una nozione di tipo strutturale/sostanzialistica di “procedimento diverso”, volta alla repressione di ogni abuso interpretativo e in piena aderenza ai principi costituzionali e convenzionali, considerando legittimo, come sopra meglio precisato, l’utilizzo dei risultati dell’attività di captazione, oltre che per i reati oggetto del provvedimento per il quale l’intercettazione è stata autorizzata, per i reati connessi ex art. 12 c.p.p., sempre che questi ultimi rientrino nel catalogo di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p. [42]. Senonché la recente (contro)riforma [43] in materia di intercettazioni di comunicazioni e, per quel che ci occupa, la modifica del testo dell’art. 270, comma 1, c.p.p. – secondo cui «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’articolo 266, comma 1» [44] – ha condotto taluni a considerare sostanzialmente rimesso in discussione il principio di diritto sancito dalla Suprema [continua ..]


NOTE