Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Mutazione del giudice e principio di immediatezza (di Gaia Tessitore, Dottoranda di ricerca – Università degli Studi di Napoli “Federico II”)


Un recente intervento giurisprudenziale offre l’occasione per riflettere sull’attuale valore dei principi dell’oralità e dell’immediatezza alla luce della profonda crisi del sistema processuale italiano. La soluzione prospettata dalla Corte per la risoluzione di tali disfunzioni sistemiche, tuttavia, pare non essere del tutto convincente. Il tentativo, attraverso una documentata ricognizione delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza, è quello di individuare una soluzione soddisfacente sul piano ordinamentale.

Judge’s exchange and immediacy principle

A recent judgement gives the opportunity to reflect on the value of orality and immediacy principles, considering the deep crisis of the Italian processual system. However, the solution proposed by the Supreme Court of Cassation for the resolution of these systemic dysfunctions seems not to be totally incisive. Through a well-researched examination on the jurisprudence and on the tenet opinions, the attempt is to find and evaluate an effective solution in terms of judicial system.

La premessa È frequente nei dibattiti su come strutturare una riforma del processo nel segno di una maggiore efficienza il richiamo alla norma sulla immutabilità del giudice in termini di garanzia eccessiva e dispendiosa, ostacolo a quel recupero di ragionevolezza dei tempi del giudizio di primo grado indicato unanimemente come obiettivo primario. Plurimi gli argomenti a sostegno di questa proposta, se non abolizionista, certo volta a ridurre significativamente l’ambito operativo della garanzia. Si dice, così, che il principio non comprimibile è quello del contraddittorio per la prova [1], che non implica, per necessità logica, anche quello di immutabilità del giudice o, meglio, quello di immediatezza della prova in favore del giudice chiamato alla decisione. Del resto, si osserva, il codice ha dato cittadinanza nel sistema ad un caso esemplare di scissione del giudice della prova dal giudice della decisione con l’istituto dell’incidente probatorio, che nessuno sospetterebbe di scarsa compatibilità con i principi. L’importante è, infatti, che il contraddittorio ci sia e sia effettivo, non anche che il giudice della decisione abbia assistito e preso parte alla formazione della prova, fermo restando l’obbligo di assicurare un collegamento tra prova sostanzialmente precostituita e giudice attraverso il tradizionale istituto della lettura dibattimentale. Ma su quale debba essere il ruolo delle parti in questi snodi di parziale rimodellamento cartolare del giudizio il ventaglio di opzioni è ampio a sufficienza per comprendere soluzioni che eliminano del tutto l’oralità della prova. Sembra così essersi disperso il senso del disegno riformatore del 1988 che aveva posto al centro della ricostruzione accusatoria del rito la prova dichiarativa e la sua formazione in contraddittorio innanzi al giudice [2]. L’immediatezza in quel disegno era destinata ad arricchire il bagaglio conoscitivo del giudice, consegnandogli non solo il precipitato dell’apporto dichiarativo ma anche le modalità con cui questo apporto era veicolato nel confronto dialettico tra le parti e tra queste e il dichiarante. La prova dichiarativa era temprata nel contraddittorio e trovava completamento nei contegni e­spressivi, negli atteggiamenti mimici, nei silenzi intervallati del dichiarante, che un verbale o una trascrizione stenotipica non potrà mai convogliare all’attenzione del giudice mediante la lettura in dibattimento o la riconsiderazione in camera di consiglio [3]. Si ha così l’impressione che il declino della prova dichiarativa per l’affermarsi progressivo e massivo della prova scientifica abbia dato forza alle posizioni che ora propugnano una riduzione della portata del principio che vuole che il giudice della decisione sia il giudice della prova. Se fosse effettivamente così, si [continua..]

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