Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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'Unicità dell'impugnazione', 'giudicato cautelare' e tutela dei latitanti: qualche perplessità sulle scelte della Corte e.d.u. - Corte Europea dei Diritti dell´Uomo, sez. I, sent. 5 settembre 2019 – ricorso n. 20983/12 – Rizzotto c. Italia (di Antonio Tarallo)


La sentenza in commento concerne le garanzie procedurali apprestate dall’art. 5, § 4, della Convenzione (diritto ad un tempestivo riesame della legalità della detenzione) al fine di consentire al latitante il controllo di legalità su un’ordinanza di custodia cautelare. La Corte e.d.u. ha riscontrato che al ricorrente non era mai stata concessa l’opportunità di contestare personalmente la legalità della sua detenzione in quanto, senza che egli ne fosse a conoscenza, il suo difensore d’ufficio aveva già proposto istanza di riesame. La Corte ha quindi riaffermato che la garanzia fondamentale primaria discendente dall’art. 5, § 4 è il diritto a un’udienza effettiva dinanzi al giudice investito della decisione in ordine alla verifica della legalità dello status detentionis e ha constatato che il ricorrente si era visto rigettare la propria richiesta senza essere ascoltato. I Giudici sovranazionali hanno, pertanto, rilevato che la procedura italiana non ha riconosciuto al ricorrente le garanzie procedurali previste dall’art. 5, § 4. L’autore evidenzia punti di forza e di debolezza del ragionamento seguito dalla Corte, analizzando in dettaglio il sistema procedurale italiano in materia di controllo sulle misure cautelari e comparando il caso di specie ai precedenti affrontati nella giurisprudenza convenzionale. L’autore delinea, infine, gli scenari ipotizzabili in sede di esecuzione della sentenza.

Si puntualizza che tutte le considerazioni, riflessioni e valutazioni contenute nella presente pubblicazione devono intendersi come espresse a titolo personale e non impegnano in alcun modo il Consiglio d’Europa e il Dipartimento per l’esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo nell’ambito dell’espletamento del loro mandato istituzionale.

The principles of 'single appeal', of 'res iudicata' in the scope of pre-trial detention and the 'need for protection' of fugitives: some concerns about the choices of the ECtHR

The case in comment concerns the procedural safeguards secured under Art. 5, § 4 of the Convention (right to speedy review of the lawfulness of detention) in order to allow a fugitive to challenge the lawfulness of a pre-trial detention order. The Court found that the applicant had never had the opportunity in person to support his application for a review of the lawfulness of his detention because a similar application had already been made without his knowledge by an officially appointed lawyer. Then, the Court reiterated that the primary fundamental guarantee flowing from Article 5 § 4 was the right to an effective hearing by the judge examining an appeal against detention and noted that the applicant had also had his application rejected without being given a hearing. Therefore, the Court held that the procedure in Italy had not provided the applicant with procedural safeguards complying with Article 5 § 4. The author underlines the strengths and weaknesses of the grounds for the ECtHR decision, analysing in detail the Italian procedural system concerning the review of pre-trial detention and comparing the case at stake with the previous case-law addressed by the Court. Finally, the author outlines the scenarios that can be hypothesized in the execution phase of the judgment.

L'impugnazione cautelare avanzata dal difensore non 'assorbe' il diritto autonomo del latitante di proporla In tema di tutela della libertà personale, non è compatibile con l’art. 5 §4 Cedu ogni contesto nel quale non sia garantitoil contraddittorio dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale a colui che, destinatario di un provvedimento delibertate, promuova contro di esso impugnazione. (Massima) [Omissis]   IN FATTO   I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE 5. Il ricorrente è nato nel 1972 e risiede a Floridia. 6. Con ordinanza del 16 settembre 2010, il giudice per le indagini preliminari di Palermo decise di sottoporlo a custodia cautelare in carcere dal momento che era coinvolto in un procedimento penale per traffico di stupefacenti. 7. Poiché il ricorrente era irreperibile, le autorità lo dichiararono latitante e gli nominarono un avvocato d’ufficio. In data 13 ottobre 2010, quest’ultimo presentò al tribunale del riesame di Palermo la richiesta di riesame dell’ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere sulla base dell’articolo 309 del codice di procedura penale (CPP) (paragrafo 20 infra). 8. Il 22 ottobre 2010, il tribunale del riesame respinse il ricorso in quanto gli indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, nonché la sua condotta e la sua personalità, giustificavano la misura detentiva. 9. Il 6 dicembre 2010 il ricorrente fu arrestato a Malta. Egli nominò un avvocato di fiducia il quale, in data 14 dicembre 2010, presentò al tribunale del riesame di Palermo richiesta di riesame dell’ordinanza che disponeva la custodia cautelare in carcere. 10. Il 20 dicembre 2010 il ricorrente fu estradato in Italia e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli a Roma. 11. Il 21 dicembre 2010 il difensore del ricorrente ricevette una copia dell’ordinanza del 16 settembre 2010 nonché l’avviso della data dell’interrogatorio di garanzia del ricorrente, fissata per il 23 dicembre 2010. 12. In tale data, il ricorrente fu interrogato dal giudice per le indagini preliminari di Roma, competente in base al luogo in cui era detenuto, alla presenza del sostituto del suo difensore di fiducia. 13. In data 3 gennaio 2011 si svolse l’udienza dinanzi al tribunale del riesame di Palermo. Il ricorrente, ancora detenuto a Roma, non vi assistette e fu rappresentato dal suo difensore di fiducia. Con provvedimento dello stesso giorno, il tribunale del riesame dichiarò inammissibile la richiesta di riesame in quanto l’interessato aveva già esercitato il suo diritto di ricorso nell’ambito dell’impugnazione presentata dal suo difensore d’ufficio all’epoca in cui si era reso irreperibile. 14. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione, nel quale lamentava, tra l’altro, una violazione dell’articolo 5 § 4 della Convenzione. Egli affermava [continua..]

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SOMMARIO:

La sintetica descrizione del caso - La trama motivazionale in ordine al vulnus dell’art. 5 § 4 Cedu - Luci ed ombre nel percorso argomentativo - (Segue): “giudicato cautelare” e giudicato tout court - Un confronto con i precedenti - Possibili scenari in vista dell’esecuzione - NOTE


La sintetica descrizione del caso

Con la sentenza del 5 settembre 2019 [1] la Prima Sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato, all’unanimità, lo Stato italiano per la violazione dell’art. 5 § 4 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“diritto al tempestivo controllo della legalità della detenzione”), in considerazione della mancata possibilità per il ricorrente di essere sentito da un giudice al fine di contestare la legittimità della propria detenzione. Il caso di specie riguarda, in particolare, la posizione del Sig. Salvatore Stefano Rizzotto, destinatario di un’ordinanza applicativa di custodia cautelare in carcere per traffico di sostanze stupefacenti – reato per il quale verrà condannato alla pena di due anni e otto mesi di reclusione e dodicimila euro di multa – emessa dal giudice per le indagini preliminari di Palermo il 16 settembre 2010. A seguito del mancato rintraccio dell’indagato ne veniva, conseguentemente, dichiarato lo stato di latitanza. La richiesta di riesame proposta dal difensore d’ufficio veniva rigettata il 22 ottobre 2010. A distanza di quasi tre mesi dall’emissione del provvedimento restrittivo, il Rizzotto veniva tratto in arresto a Malta (6 dicembre 2010) e successivamente estradato in Italia, dove veniva preso in carico dalla Casa Circondariale di Roma (20 dicembre 2010) e sottoposto a interrogatorio di garanzia dal giudice per le indagini preliminari capitolino ex art. 294, comma 5, c.p.p. (23 dicembre 2010). A questo punto, l’avvocato nominato di fiducia dall’indagato intraprendeva un duplice percorso difensivo. Da un lato, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., proponeva dinanzi al Tribunale de libertate istanza di riesame contro l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere (14 dicembre 2010). Tale richiesta veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale del Riesame (3 gennaio 2011) in applicazione del principio di “unicità del diritto d’impugnazione”, alla luce del quale non è possibile spiegare il medesimo mezzo d’impugnazione sia personalmente sia tramite il proprio difensore, nominato d’ufficio o di fiducia. La decisione del Riesame veniva confermata dalla Corte di cassazione (11 ottobre 2011), alla quale l’indagato aveva fatto ricorso [continua ..]


La trama motivazionale in ordine al vulnus dell’art. 5 § 4 Cedu

La tutela apprestata a livello convenzionale in favore delle libertà fondamentali, ed in particolare della libertà personale, acquista un particolare significato in occasione delle restrizioni che avvengono in fase cautelare [3]. La Carta convenzionale, oltre a sancire la necessità di garantire il rispetto del principio di legalità (art. 5, § 1), l’indicazione tassativa dei casi in cui la legge può astrattamente prevedere restrizioni della libertà personale, tra i quali l’esistenza di “ragionevoli sospetti” di commissione di un reato o la necessità di prevenire la “commissione di un reato” o “la fuga dopo averlo commesso” (art. 5, § 1, lett. c), l’in­formazione tempestiva in una lingua conosciuta in ordine alle ragioni della detenzione e della contestazione mossa (art. 5, § 2) e il diritto a comparire tempestivamente dinanzi a un’autorità giudiziaria e ad essere processato entro un termine ragionevole ovvero ad essere rilasciato durante il processo (art. 5, § 3), riconosce espressamente anche il diritto della persona privata della libertà personale a proporre ricorso dinanzi a un’autorità giurisdizionale, al fine di ottenere da parte di quest’ultima un tempestivo controllo sulla legittimità della sua detenzione ed essere rilasciato in caso di detenzione illegittima (art. 5, § 4). Ed è proprio quest’ultimo aspetto che viene in gioco nel caso di specie affrontato dai Giudici di Strasburgo, chiamati a valutare se l’indagato Rizzotto abbia beneficiato di un controllo giurisdizionale effettivo della legittimità della misura cautelare dalla quale era stato attinto. La Corte e.d.u., quindi, dopo aver passato in rassegna il panorama normativo e giurisprudenziale domestico, ritenuto ammissibile il ricorso per avvenuto esaurimento dei rimedi di diritto interno ed esaminate le tesi esposte nel merito dal ricorrente e dal Governo italiano, indica in sintesi i principi generali scolpiti dalla giurisprudenza convenzionale in materia d’interpretazione del diritto riconosciuto dall’art. 5, § 4, della Convenzione. Viene evidenziato, in particolare, come tale disposizione normativa implichi la necessaria verifica della sussistenza delle condizioni procedurali e sostanziali richieste affinché la privazione della libertà personale [continua ..]


Luci ed ombre nel percorso argomentativo

Le motivazioni poste dalla Cedu a fondamento della sentenza di condanna dell’Italia appaiono esaurienti e condivisibili, nella parte in cui vengono delineate le ragioni dell’inidoneità degli istituti del riesame (art. 309 c.p.p.) e della restituzione nel termine (art. 175, comma 1, c.p.p.) a fornire un rimedio domestico di verifica della legalità della detenzione, con riferimento alla posizione specifica del detenuto il cui difensore d’ufficio abbia già proposto riesame nel corso della sua latitanza. In questi casi, invero, il principio di “unicità del diritto d’impugnazione”, affermato a livello di Sezioni Unite e quindi da ritenersi diritto vivente, rappresenta un ostacolo insormontabile alla riproposizione di un’istanza di riesame da parte dell’indagato – anche se fondata su motivi nuovi o diversi rispetto a quelli già spiegati dal difensore d’ufficio – dal momento che la “preclusione-consumazione” [14] del diritto d’impugnazione per opera del difensore d’ufficio sbarra la strada al nuovo accesso a tale rimedio giurisdizionale da parte dell’indagato, anche quando questi sia in grado di provare il caso fortuito o la forza maggiore (art. 175, comma 1, c.p.p.) o semplicemente di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento (alla stregua della formulazione della norma speciale prevista in materia di riesame [15]), dimostrando, quindi, di non essersi volontariamente sottratto alla giustizia. Ciò in quanto, alla luce del ragionamento seguito dalle Sezioni Unite, la domanda di gravame, una volta formulata da uno dei soggetti a ciò legittimati – nel caso di specie il difensore d’ufficio – naturalmente esaurisce (“consumandolo” per l’appunto) il corrispondente potere in capo al soggetto che ne è il portatore sostanziale, vale a dire l’indagato latitante. Sotto altra angolazione, però, le argomentazioni svolte dai Giudici sovranazionali con riferimento allo strumento della revoca ex art. 299 c.p.p. non appaiono pienamente esaustive e scontano, forse, un approccio non proprio ex professo alla materia, che non tiene interamente conto della natura dell’istituto e della sua relazione con la tematica del c.d. “giudicato cautelare” [16]. Ciò in quanto, il rimedio in questione sembra essere [continua ..]


(Segue): “giudicato cautelare” e giudicato tout court

Sotto tale specifico aspetto, alcune precisazioni sono preliminarmente necessarie, con riguardo alle argomentazioni svolte nell’apparato motivazionale della pronuncia della Cedu. In primo luogo, nel testo della sentenza viene indicato, in più punti, che il presupposto richiesto ai fini del riconoscimento del diritto dell’indagato all’interrogatorio ai sensi dell’art. 299, comma 3-ter, c.p.p. sarebbe quello dei “faits nouveaux” – “fatti nuovi” [24], laddove né il tenore letterale della norma [25], né l’interpretazione giurisprudenziale [26], fanno precisamente riferimento a tale supposta condizione ed autorizzano, pertanto, tale conclusione. In verità, il testo del comma 3-ter dell’art. 299 c.p.p. fa riferimento al ben diverso presupposto degli «elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati», con ciò chiaramente intendendosi qualcosa di ben distinto rispetto alla sopravvenienza di nuovi accadimenti fenomenici (i “fatti”), bensì soltanto l’alle­ga­zione di motivi, ragioni, questioni (gli “elementi”) connotate da un tratto di “novità” ovvero di mera “diversità” rispetto a quelle precedentemente sottoposte all’attenzione dell’organo giudicante. La differenza, a ben vedere, non è di poco conto, giacché consente pienamente al detenuto, già latitante, di fornire all’attenzione del decidente il proprio personale e diretto contributo alla ricostruzione della fattispecie posta a fondamento della sua vicenda cautelare, sottoponendo all’attenzione del giudice qualsiasi ordine di motivi e questioni, in punto di fatto o di diritto, diverse rispetto a quelle già analizzate in sede di riesame, e non soltanto, necessariamente, elementi fattuali sopravvenuti rispetto al momento formativo del “giudicato cautelare” (che ben potrebbero non sussistere, soprattutto se l’e­se­cuzione della misura avviene a distanza di tempo ravvicinata rispetto all’emissione del decreto di latitanza). In tal modo – con il solo limite del c.d. “giudicato cautelare” – alla persona in stato di detenzione viene concessa dall’ordinamento un’ampia possibilità d’interlocuzione con l’organo decidente, estesa fino a [continua ..]


Un confronto con i precedenti

La pronuncia presenta ulteriori profili di criticità, anche in termini comparativi rispetto ai precedenti affrontati dalla Corte e.d.u. – puntualmente citati in sentenza quali “precedenti” dai quali sono stati tratti i principi generali ispiratori della decisione – in materia di violazione del diritto della persona compressa nella libertà personale ad ottenere una verifica della sussistenza dei presupposti di legalità della misura restrittiva a suo carico. In particolare, nel caso Svipsta [40], la Corte è pervenuta alla condanna dello Stato lettone in una fattispecie concreta in cui, sostanzialmente, le molteplici proroghe dello stato di detenzione cautelare dalla ricorrente (per la precisione, nel numero di sei, per una durata complessiva di circa un anno) erano state autorizzate dall’autorità procedente attraverso il riempimento di meri “moduli prestampati, di contenuto assolutamente identico eccezion fatta per le date, i nomi dei giudici e delle parti presenti e la durata attuale della detenzione” (sic!). Nel caso Knebl contro Repubblica Ceca [41], la condanna della Cedu è derivata dalla mancata audizione del ricorrente, sottoposto a misura cautelare, per circa un anno e mezzo a partire dall’esecuzione della misura restrittiva, periodo durante il quale le autorità procedenti avevano deciso, d’ufficio o su istanza di parte, in ordine alla proroga della misura “senza udienza, vale a dire a porte chiuse e in presenza unicamente dei componenti del collegio e del cancelliere” (sic!). Nella sentenza resa nel caso Kampanis [42], la Corte ha condannato la Grecia in considerazione della mancata possibilità per il ricorrente, sottoposto a misura cautelare da oltre due anni, d’interloquire direttamente e contestualmente con la Pubblica Accusa dinanzi all’organo decidente, avendo l’arrestato potuto sottoporre soltanto un’istanza per iscritto, alla quale aveva peraltro fatto seguito il deposito di motivazioni scritte da parte del Pubblico Ministero (non comunicate all’indagato) e, inoltre, la partecipazione del solo P.M. – inaudita altera parte – all’udienza svoltasi il giorno successivo (sic!). Inoltre, sempre con riguardo alla stessa fattispecie, ma nell’ambito di altra iniziativa intrapresa dall’indagato ai fini della verifica dei presupposti della misura [continua ..]


Possibili scenari in vista dell’esecuzione

Come noto, le sentenze rese dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, una volta divenute definitive, richiedono da parte degli Stati Membri una tempestiva ed efficace esecuzione, sia sotto il profilo delle “misure individuali”, volte a risarcire e, nei limiti del possibile, a ripristinare lo status quo ante in favore del ricorrente i cui diritti umani siano stati violati, sia sul versante delle “misure generali”, implicanti l’adozione di tutte le azioni necessarie a far sì che ulteriori violazioni di tipo analogo a quelle riscontrate nel caso concreto sottoposto alla sua attenzione non si ripetano in futuro. Il Comitato dei Ministri è investito della sorveglianza sul processo di esecuzione, in qualità di organo operativo del Consiglio d’Europa, al quale è demandato il compito di monitorare e verificare il rispetto da parte degli Stati Membri dell’obbligo assunto ai sensi dell’art. 46 della Convenzione di eseguire le sentenze definitive della Corte nei casi in cui sono Parti del processo [52]. L’esecuzione delle “misure individuali” richiede, generalmente, il pagamento delle somme di denaro riconosciute dalla Cedu a titolo di “equa soddisfazione” (“just satisfaction”), vale a dire di risarcimento del danno, materiale o morale, subito dalla parte ricorrente (trattasi, in tal caso, di una forma di risarcimento “per equivalente”), oltre ai costi e alle spese del procedimento convenzionale. In alcune ipotesi, lo scopo di reintegrare la situazione preesistente rispetto alla violazione commessa dallo Stato non può essere raggiunto soltanto attraverso un rimedio di natura compensatoria, ma richiede, necessariamente, una restitutio in integrum, che è rappresentata, nei casi in cui la violazione sia stata perpetrata nell’ambito di una vicenda processuale interna [53], dalla riapertura del processo nazionale nei confronti della persona interessata [54]. D’altro canto, l’esecuzione delle “misure generali” può implicare, quali azioni minime, l’adozione di interventi come la traduzione, diffusione e pubblicazione della sentenza Cedu sul territorio nazionale, al fine di disseminare adeguatamente i principi delineati dalla Corte sovranazionale e in tal modo sensibilizzare le autorità domestiche al loro rispetto, anche, ove possibile, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2020