Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il divieto per le parti private di indirizzare all'autorità giudiziaria atti tramite p.e.c.: un eccesso di formalismo - Corte di cassazione, sez. III, sent. 5 settembre 2019, n. 37126 – Pres. Izzo; Rel. Liberati (di Lorenzo Belvini)


La decisione in commento – conformandosi all’orientamento giurisprudenziale prevalente – nega alle parti private la facoltà di adoperare la posta elettronica certificata per interloquire con il giudice e, più in generale, per depositare atti. Il divieto sembra, però, poggiarsi su fragili ragioni formalistiche piuttosto che su un’effettiva preclusione normativa. In realtà, una lettura evolutiva dell’ordito codicistico consentirebbe di superare l’assenza di regole sul­l’impiego dello strumento telematico, permettendo alle parti di farne uso nel processo.

The prohibition for private parties to address legal acts to the judge through certified mail: an excess of formalism

The Court of Cassation rules the prohibition of private parties to interact with the judge by “PEC” (certified electronic mail), in accordance to the majority of legal trends, which assume that documents of private parties are not allowed to be lodged by such procedures. The decision is questionable, considering that a progressive interpretation of the codicistic provisions may lead to a different solution.

L'impedimento del difensore (tra l'altro) non può essere comunicato mediante p.e.c. Nel processo penale l’uso della posta elettronica certificata non è consentito alle parti private quale forma di comunicazione e/o notificazione, stante la preclusione all’adozione di forme di comunicazione non espressamente previste dalle disposizioni processuali (fattispecie in tema di allegato impedimento del difensore inviato attraverso p.e.c.) (Massima) [Omissis]   RITENUTO IN FATTO   1. Con sentenza del 18 giugno 2018 la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’impugnazione proposta da (Omissis) nei confronti della sentenza del 26 maggio 2015 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Siena, con cui, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso era stato condannato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis cod. pen., commesso nei confronti del coniuge convivente. 2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato la mancata considerazione da parte della Corte d’appello di Firenze della propria richiesta di rinvio dell’udienza del 18 giugno 2018, richiesta con cui era stata rappresentata l’esistenza di un concomitante impegno professionale del difensore di fiducia dell’imputato, innanzi al Tribunale di sorveglianza di Napoli, in un procedimento concernente un detenuto, nonché l’impossi­bilità di nominare sostituti processuali; tale richiesta era stata inviata mediante posta elettronica certificata il 29 maggio 2005 (rectius 2018) e regolarmente ricevuta dalla cancelleria della Corte d’appello di Firenze, come risultava dal relativo rapporto di accettazione e consegna, ed era anche stata spedita mediante il servizio postale, con allegate una memoria difensiva, una sentenza del Tribunale di Siena e una perizia psichiatrica attestante l’incapacità di stare in giudizio dell’imputato, ma nonostante ciò non era stata considerata dalla Corte territoriale.   CONSIDERATO IN DIRITTO   1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Va ribadito che nel processo penale non è consentito alle parti private inviare mediante posta elettronica certificata atti di alcun genere (cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443; Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189; Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P., Rv. 270702; Sez. 5, n. 12347 del 13/12/2017, dep. 16/03/2018, Gallo, Rv. 272781), compresi l’atto di opposizione a decreto penale (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272740; Sez. 3, n. 50932 del 11/07/2017, Giacinti, Rv. 272095) e la richiesta di rinvio per legittimo impedimento (Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, cit). Ai sensi dell’art. 148, comma 2 bis, 149, 150 e 151, [continua..]

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SOMMARIO:

Premessa - La posta elettronica certificata: caratteristiche e funzionamento. linee di sintesi - L’uso della p.e.c. nel processo. Profili critici - (segue): L’impiego nel settore delle impugnazioni - Riflessioni conclusive e scenari futuri - NOTE


Premessa

Sempre più spesso la Corte di legittimità è chiamata a pronunciarsi sull’impiego di mezzi di comunicazione telematica nel procedimento penale. Le moderne tecniche di corrispondenza elettronica permettono di trasmettere messaggi e documenti in tempo reale, consentendo in astratto di rendere noti atti di parte all’ufficio giudiziario in modo celere attraverso la posta elettronica certificata. Il vigente assetto normativo, però, autorizza – in modo esplicito – solo la magistratura a impiegare la p.e.c. (art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 [1]); viceversa, mancano regole che ne disciplinano l’u­so a cura di altri soggetti del processo. In tale scenario si colloca la pronuncia in commento: si dibatte sulla facoltà delle parti private di servirsi della p.e.c. per sottoporre istanze all’autorità giudiziaria. Volgendo lo sguardo alla vicenda specifica, il difensore dell’imputato censurava la decisione di secondo grado, lamentando l’omessa valutazione della propria richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento – determinato da concomitante impegno professionale – inviata a mezzo p.e.c. alla cancelleria della Corte di appello. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile: in assenza di una specifica disciplina, le parti non possono usare lo strumento telematico; l’istanza così trasmessa è irregolare e «quindi, non può considerarsi depositata […] con la conseguenza che non può esserne lamentata la mancata considerazione» da parte dell’organo giusdicente [2]. Secondo la decisione in analisi, solo in casi particolari alle parti private sarebbe consentito l’utilizzo della p.e.c.: per depositare memorie nel procedimento di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive (c.d. DASPO), tenuto conto della «particolare natura, cartolare ed informale, del procedimento ed alla ristrettezza dei termini» [3] previsti dalla normativa di settore [4]; previa autorizzazione del giudice competente, l’impiego della corrispondenza telematica è poi ammesso per notificare l’istanza di remissione del processo (considerato il breve lasso temporale entro cui va compiuto l’adempimento [art. 46, comma 1, c.p.p.]) [5]. Sul terreno della motivazione, si osserva inoltre che anche volendo aderire [continua ..]


La posta elettronica certificata: caratteristiche e funzionamento. linee di sintesi

Rispetto ai tradizionali strumenti di corrispondenza elettronica asincrona (e-mail), la p.e.c. garantisce certezza circa l’invio, la ricezione e l’autenticità del messaggio di posta trasmesso: al mittente vengono fornite ricevute attestanti l’avvenuta spedizione del biglietto elettronico (ricevuta di accettazione) e la sua consegna all’indirizzo del destinatario (ricevuta di avvenuta consegna), certificando, altresì, il momento in cui il messaggio è pervenuto [7]. Sul piano normativo, gli aspetti tecnici sono disciplinati dal d.p.r. 11 febbraio 2005, n. 68 [8]. In tale scenario un ruolo centrale è assegnato ai gestori del servizio p.e.c.: si tratta di soggetti (pubblici o privati) ai quali – previa autorizzazione della pubblica amministrazione [9] – è assegnato il compito di rilasciare gli indirizzi di posta elettronica certificata [10], gestirne i relativi domini [11] e sorvegliare la corretta osservanza dei protocolli di sicurezza [12]. La certezza circa l’effettiva consegna della p.e.c. al destinatario è, poi, garantita dai gestori: al momento dell’invio, il gestore invia al mittente un documento elettronico che certifica l’inoltro del messaggio (art. 6, comma 1, d.p.r. n. 68 del 2005); a sua volta il gestore del ricevente fornisce la ricevuta probante l’effettiva ricezione nella casella p.e.c. (art. 6, comma 2, d.p.r. n. 68 del 2005) [13]. L’autenticità della provenienza e del contenuto del messaggio è assicurata dalle ricevute (di accettazione e consegna) rilasciate al mittente: si tratta di documenti elettronici la cui paternità è provata dalla firma digitale [14] dei gestori degli account [15]; i medesimi, inoltre, certificano il momento preciso in cui il messaggio è trasmesso apponendo la marca temporale (time stamping), che indica la data e l’ora di invio [16]. In ragione della spiccata attitudine dello strumento in questione a garantire una corrispondenza sicura e – al contempo – rapida, la legge (art. 48, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82) gli riconosce il medesimo valore della notifica eseguita mediante il servizio postale [17].


L’uso della p.e.c. nel processo. Profili critici

Le segnalate caratteristiche del mezzo informatico hanno indotto il legislatore a imporne l’impiego – dopo una fase sperimentale [18] – anche nel procedimento penale: l’autorità giudiziaria esegue mediante p.e.c. le notifiche – a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 150 e 151, comma 2, c.p.p. – a persona diversa dall’imputato (art. 16, comma 4, d.l. n. 179 del 2012) [19]. Destinatari, dunque, delle notifiche telematiche sono tutti i soggetti del processo escluso l’accusato [20]; la deroga è giustificata dalla volontà di garantire all’indagato/imputato il diritto ad avere conoscenza degli atti del procedimento con le forme ordinarie, stante l’assenza di un obbligo generale di dotarsi di un account p.e.c. e di monitorarlo in modo costante [21]. La mancanza di una specifica disciplina che abiliti le parti private a impiegare lo strumento telematico nel processo, invece, genera disorientamenti: non è chiaro, come già ricordato, se è consentito interloquire con il giudice mediante istanze trasmesse via p.e.c.; così come è controversa la facoltà di depositare con tale mezzo altri atti non aventi carattere petitorio (ad. es. memorie [art. 121 c.p.p.] e la c.d. lista testi [art. 468, comma 1, c.p.p.]). Si rende, pertanto, necessario comprendere se gli atti inviati con p.e.c. all’account dell’ufficio giudiziario competente, sono da considerarsi validamente depositati e/o idonei a innescare un preciso obbligo per il giudice di provvedere. Secondo il prevalente orientamento – condiviso anche dalla decisione in commento – alle parti private non è permesso «inviare mediante posta elettronica certificata atti di alcun genere» [22]. In questa prospettiva, dalla norma che impone alle cancellerie di eseguire le notifiche mediante p.e.c. (art. 16, comma 4, d.l. n. 179 del 2012), deriverebbe il divieto – implicito – per gli altri soggetti del processo di impiegare lo strumento telematico per comunicare con il giudice: adoperando il canone interpretativo ubi lex voluit, dixit, si afferma che la indicata disposizione permette l’uso della corrispondenza “certificata” solo per le notifiche dell’autorità giudiziaria, «non avendo senso consentire espressamente l’utilizzo della p.e.c. alle cancellerie, se esso fosse consentito [continua ..]


(segue): L’impiego nel settore delle impugnazioni

Anche volgendo lo sguardo al tema delle impugnazioni, si registra un orientamento di secca chiusura all’utilizzo della p.e.c. A tal riguardo, si rende necessario sondare – in sintesi – la disciplina di riferimento. L’ordito codicistico – accanto al deposito in cancelleria (art. 582 c.p.p.) – assegna alle parti la facoltà di proporre il rimedio impugnatorio mediante «telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo raccomandata» (art. 583, comma 1, c.p.p.). La previsione – art. 583, comma 1, c.p.p. – manifesta la volontà di semplificare le modalità di presentazione dell’atto [43] (ispirata al c.d. principio del favor impugnationis [44]), individuando al contempo le forme reputate idonee a garantire certezza circa l’autenticità della provenienza e l’effettiva ricezione [45]. Sul punto, la linea esegetica più rigorosa considera tassativi i mezzi di trasmissione indicati dall’art. 583 c.p.p.: si tratta di forme vincolanti che non ammettono equipollenti, la cui osservanza è presidiata dall’inammissibilità (art. 591, comma 1, lett. c), c.p.p.); si esclude così qualsiasi estensione interpretativa agli altri strumenti tecnici non previsti dalla legge [46]. Secondo un diverso orientamento, invece, i mezzi indicati dall’art. 583 c.p.p. hanno una valenza meramente esemplificativa, permettendo l’impiego anche di altre modalità diverse dal telegramma e dalla raccomandata [47]. Si sostiene così la necessità di abbandonare esegesi eccessivamente restrittive, consentendo l’uso di ogni strumento tecnico in grado di garantire in modo certo l’identità dell’impugnante e il momento in cui l’atto è inviato alla cancelleria dell’ufficio giudiziario [48]. Superando così letture eccessivamente formalistiche, si valorizza la ratio dell’art. 583 c.p.p., considerando ragionevole l’esclusione solo dei mezzi di trasmissione inidonei a soddisfare le segnalate esigenze [49]. In questo panorama, la giurisprudenza – allineandosi alla tesi restrittiva – reputa inammissibile l’im­pugnazione trasmessa via p.e.c. [50]: il divieto è argomentato richiamando la inderogabilità delle forme previste dall’art. 583 c.p.p.; su un piano diverso, poi, la [continua ..]


Riflessioni conclusive e scenari futuri

Dall’analisi sin qui condotta, emerge come l’ostilità all’impiego della p.e.c. non sembra fondarsi su solide basi argomentative, essendo piuttosto ancorata al maniacale rispetto delle forme. Certo, l’osservanza degli schemi imposti dal codice di rito costituisce il presupposto indefettibile del sistema accusatorio [61]: la previsione di forme certe stabilite dalla legge assicura l’esatto incedere e – al medesimo tempo – il corretto esito del procedimento [62]. La resistenza all’utilizzo nel processo di nuove tecnologie non previste dal dato normativo è, però, giustificata solo quando è funzionale a salvaguardare le esigenze sottese alle disposizioni codicistiche di riferimento [63]; ragionando in modo diverso, il rispetto dei canoni legali si tramuta in mero formalismo che – in modo ingiustificato – ostacola l’adeguamento del sistema normativo al progresso. Del resto, è innegabile che ogni prodotto legislativo – tra cui il codice del 1988 – è concepito adoperando i mezzi tecnici disponibili in un preciso contesto storico; va, dunque, assegnato all’interprete il compito di verificarne la compatibilità con i nuovi strumenti, non prevedibili al momento della stesura delle norme. Da tale angolatura, è auspicabile l’abbandono di posizioni formalistiche circa l’impiego della p.e.c. nel processo a cura delle parti private. Seguendo questa strada si consentirebbe di accelerare, semplificandoli [64], i molteplici adempimenti imposti alle parti senza snaturarne la sostanza [65]. Fino a oggi i segnali offerti dal quadro giurisprudenziale sono però sconfortanti. Timide aperture favorevoli all’utilizzo della p.e.c. si registrano solo in materia di notifiche: essendo la mail certificata equipollente alla notifica postale (art. 48 l. 82 del 2005), si afferma «che la lettera raccomandata di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell’art. 152 c.p.p., può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo p.e.c.» [66]; è così valida la notifica telematica dell’istanza di revoca della cautela personale (art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. [67]) effettuata dal difensore dell’imputato a quello della persona offesa. La facoltà di adoperare lo strumento telematico sembra, poi, estensibile – per ragioni di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2020