Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La fine della prescrizione? (di Alessandro Milone)


Il contributo esamina la nuova riforma della prescrizione del reato, operata dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3, che entrerà in vigore nel nostro ordinamento dall’inizio del 2020, mettendo in evidenza le criticità della futura normativa. La novella prevederà il blocco della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, sia di assoluzione che di condanna, o del decreto penale di condanna, senza considerare una possibile ripresa del corso della prescrizione. L’esame della nuova prescrizione consente di cogliere immediatamente la frattura che si verificherà nel nostro ordinamento penale tra le nuove disposizioni e i principi della Costituzione.

The end of the statute limitations?

The article examines the new reform of the statute of limitations of the crime, made by law 9 January 2019, no. 3, which will be effective in our system from the beginning of 2020, highlighting the critical issues of future legislation. The novel will provide for the blocking of the prescription after the pronouncement of the sentence of first instance, both of acquittal and conviction, or of the criminal decree of conviction, without providing for a possible resumption of the course of the prescription. Examination of the new statute of limitations makes it possible to immediately understand the fracture that will occur in our criminal system between the new dispositions and the principles of the Italian Constitution

SOMMARIO:

La riforma Bonafede ed il "problema" della prescrizione del reato - La ratio dell'istituto tra cenni storici e funzionali - Precedenti modifiche della disciplina della prescrizione del reato - Come cambierà nel 2020: le criticità della nuova disciplina - La fine della prescrizione? Considerazioni conclusive - NOTE


La riforma Bonafede ed il "problema" della prescrizione del reato

La l. 9 gennaio 2019,n. 3, recante “Misure per i contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”, mediaticamente nota come legge “spazza-corrotti”, ha modificato significativamente la disciplina della prescrizione del reato [1], prevista dagli artt. 157 c.p. e ss. In particolare, la nuova disciplina, contenuta all’art.1, lett. d), e f) della legge, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2020, in attesa di una annunciata ed auspicabile riforma della giustizia e del processo penale, non modifica l’assetto complessivo dell’istituto, così come riformulato dalla legge “ex Cirielli” del 2005, ma stravolge i profili che riguardano propriamente il decorso del termine di prescrizione del reato, in particolar modo i meccanismi che individuano il dies ad quem dell’istituto (art. 159 c.p.). Tra le novità più significative va senz’altro menzionata fin da ora la grande e centrale rivoluzione del nuovo legislatore: il blocco definitivo – il testo erroneamente parla di “sospensione” – della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza, di condanna o di assoluzione, in primo grado o del decreto penale di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla irrevocabilità del decreto di condanna. Una rivoluzione copernicana – squisitamente giustizialista [2] – che stravolge l’istituto e che ha da subito provocato, in larga parte della dottrina e del mondo degli addetti ai lavori, accesi dibattiti di cui daremo conto [3]. È un tema, quello della prescrizione, molto delicato che comporta conseguenze significative sulla società, sulla vita e sulla libertà dei consociati nonché sulla giustizia del Paese. Esso riflette lo scorrere del tempo e come quest’ultimo incide in maniera dirompente sulle situazioni giuridiche personali. Per questo motivo, preliminarmente all’analisi delle modifiche apportate, va ribadito che la scelta di intervenire su tale argomento, senza una riflessione approfondita che coinvolgesse tutto l’arco parlamentare, è sintomo di un legislatore ancora una volta emergenziale e disordinato attento perlopiù alla “pancia” [continua ..]


La ratio dell'istituto tra cenni storici e funzionali

La ratio dell’istituto della prescrizione [6] del reato è uno dei temi più discussi nella dottrina penalistica, anche perché il suo fondamento, come causa estintiva del reato, non è del tutto chiaro né univoco. Senza voler esaurire in maniera completa l’argomento [7], può essere utile ripercorrere brevemente il ruolo che la prescrizione ha – o dovrebbe avere – all’interno del nostro ordinamento penale. La prescrizione ha uno “statuto” complesso. Essa risponde, in primo luogo, ad un principio di economia dei sistemi giudiziari: lo Stato rinuncia a perseguire l’autore di un fatto di reato quando sia trascorso un certo periodo di tempo dalla sua commissione in maniera proporzionale alla gravità del fatto stesso. Grazie a questo istituto si evita di impiegare risorse economiche e umane dello Stato per punire reati risalenti nel tempo e rispetto ai quali si è affievolita, anche a livello sociale, l’esigenza di garantire una tutela alla collettività. L’istituto è fondato altresì sul venir meno dell’esigenza di rieducazione del condannato, in ossequio alla finalità rieducativa della pena, sancita dall’art. 27 Cost. Non va dimenticata anche un’altra delle rationes della prescrizione, la quale è posta a tutela del diritto di difesa: l’oblio punitivo è garantito anche perché, con il passare del tempo, si accrescono sempre più le difficoltà probatorie dei fatti, con importanti conseguenze sull’accertamento processuale. Dopo un lungo dibattito in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza italiana ed europea – si veda il caso Taricco presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea – l’istituto della prescrizione ha definitivamente acquisito i caratteri di un istituto di diritto penale sostanziale, la cui ratio si ricollega, come stabilito dalla Corte Costituzionale in più sentenze [8], «all’interesse generale di non perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno o notevolmente attenuato l’allarme della coscienza comune» ed anche a alla necessità di «garantire il diritto all’oblio dei cittadini quando il reato non sia così grave da escludere tale [continua ..]


Precedenti modifiche della disciplina della prescrizione del reato

La prescrizione del reato nel nostro codice penale, come ha sottolineato autorevole dottrina, è «la causa estintiva che visse due volte» [11]. Per diversi decenni – sino alle inchieste di Tangentopoli e alla fine della Prima Repubblica – è stato un istituto poco studiato dai commentatori e certamente ignoto all’opinione pubblica. Solamente negli ultimi trent’anni, per effetto della moltiplicazione dei processi penali e per lo scarso utilizzo di strumenti come l’amnistia, la prescrizione è uscita dal “cono d’ombra” per rivivere una nuova giovinezza “vivace e contrastata”. Infatti, la struttura della prescrizione è stata modificata nella storia repubblicana soltanto tre volte. Tutte le riforme effettuate si collocano temporalmente negli ultimi quindici anni. Il codice penale Rocco del 1930, nella sua formulazione originaria, prevedeva, all’art. 157 c.p., una prescrizione dei reati «a scaglioni», istituendo termini dilatati nel tempo a seconda della gravità del reato commesso e quindi in base alla pena prevista dal legislatore. I termini previsti erano: venti anni per i delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; quindici anni per delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; dieci anni per delitti puniti con la reclusione non inferiore a cinque anni; cinque anni per delitti puniti con la reclusione inferiore a cinque anni, o con la multa; tre anni per contravvenzioni punite con l’arresto; due anni per contravvenzioni punite con l’ammenda. In relazione al dies a quo dell’istituto nell’originaria formulazione, all’art. 158 c.p., prevedeva che lo stesso decorresse per il reato consumato dal giorno della consumazione; per il reato tentato dal giorno in cui era cessata l’attività del colpevole e per il reato permanente o continuato dal giorno in cui cessava la permanenza e la continuazione (tale formula, modificata nel 2005 dalla legge ex Cirielli è stata ora ristabilita dalla legge in esame con decorrenza dal 2020). Gli artt. 159 e 160 c.p. elencavano cause tassative di sospensione ed interruzione del processo di prescrizione. Successivamente, la l. 5 dicembre 2005, n. 251, cd “legge ex Cirielli”, è intervenuta modificando incisivamente la disciplina del codice Rocco, [continua ..]


Come cambierà nel 2020: le criticità della nuova disciplina

La riforma Bonafede, quindi, come già menzionato, non impatta sulla struttura della prescrizione del reato, che rimane sostanzialmente la stessa ideata dal legislatore del 2005, ma interviene con decisione inserendo nella disciplina codicistica un blocco della prescrizione dopo il decreto penale di condanna o alla pronuncia della sentenza di primo grado, senza distinzione di merito, sino all’esecutività della sentenza che chiude il processo (o della irrevocabilità del decreto di condanna). Una riforma travolgente attenuata solamente dal rinvio di un anno per l’entrata in vigore ottenuto a seguito di un compromesso tra le varie anime della maggioranza di governo. Il testo parla di “sospensione”, ma a ben vedere la nozione di sospensione viene adoperata in modo improprio, poiché essa presuppone l’eventuale ripresa del corso della prescrizione che, invece, sarebbe ora resa impossibile dalla riforma che introduce l’esecutività della sentenza che definisce il giudizio. Tale modifica ha scatenato aspre critiche. In effetti, appare evidente che si è preferito intervenire – “a costo zero” – sulla prescrizione piuttosto che iniziare ad investire per innovare, ringiovanire e rendere più efficiente la giustizia penale. Ma le critiche più veementi entrano nel merito della scelta sullo «stop» alla prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Una normativa così delineata espone l’imputato – condannato o assolto che sia – al rischio concreto di rimanere “sotto la spada di Damocle” della giustizia italiana per anni, pur sapendo che proprio i giudizi di Appello e Cassazione richiedono tempi più lunghi. Venuta meno la prescrizione, che incide oggi nella priorità di calendarizzazione delle udienze in Appello e Cassazione, aumenteranno anche i processi a “rischio legge Pinto”, ovvero a rischio risarcimento per l’irragionevole durata del processo. Da queste considerazioni si evince anche la concreta possibilità di ipotizzare un vulnus al principio costituzionale sancito dall’art. 111 Cost. Un’ulteriore modifica che presenta motivi di perplessità riguarda la riforma del primo comma dell’art. 158 c.p. che secondo il nuovo testo recita: «il termine di prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per [continua ..]


La fine della prescrizione? Considerazioni conclusive

In conclusione, prima di trarre alcune considerazioni finali sulla riforma e sulle prospettive de iure condendo dell’istituto della prescrizione del reato, è necessario evidenziare le principali criticità relative alla recente novella legislativa. Invero, la riforma, dall’accentuato carattere simbolico – repressivo, sembra diretta più a soddisfare le aspettative di un arrembante populismo penale [13] che ormai domina il panorama politico e che, in questo caso, pare aver orientato le scelte del legislatore. L’evidente cedimento a simili tentazioni da parte del Parlamento, minando le basi liberali e garantiste del nostro diritto penale costruito come Magna Charta del reo, rischia di compromettere la democraticità dell’intero sistema punitivo e di portare il diritto penale verso lidi autoritari. Riforma della prescrizione, riforma della legittima difesa, inasprimenti sanzionatori sconsiderati, sono sintomi di un uso del diritto penale sempre più prepotente, che ricorre all’illusione penale per rispondere ad esigenze socio-economiche e culturali della comunità dei cittadini a detrimento dei diritti individuali. Il diritto penale non è un’arma [14], ma è una garanzia, non solo per la società nei confronti del singolo reo, ma anche per tutti i cittadini nei confronti del potere esecutivo e giudiziario, a meno di non operare un completo stravolgimento nell’assetto costituzionale del sistema punitivo. La tendenza – sia chiaro – non è nuova. Quest’aria da “tintinnar di manetta [15]”, nella società, viene da lontano [16]. È in dubbio, infatti, che la nostra società, sopraffatta negli ultimi decenni, da notizie riguardanti impunità e scandali del potere economico e politico, abbia reagito premiando la promessa di portare nelle istituzioni legalità e trasparenza non come pre-requisito dell’agire politico ma come programma politico stesso. Il compito del legislatore dovrebbe essere quello di rispondere a tali esigenze senza stravolgere i principi di garanzia che informano le norme costituzionali che disciplinano la materia penale. Ritornando, allora, alla riforma cd. “Bonafede”, possiamo trarre alcune considerazioni utili. Il risultato concreto del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado significa rendere, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2019