Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Carcere: la riforma dimezzata (di Carlo Fiorio)


Attraverso un parziale “copia e incolla” dei Lavori della Commissione Giostra – sostanzialmente recepiti nella bozza Orlando varata nella passata Legislatura – il Governo in carica ha deciso di non attuare la delega contenuta nella l. 23 giugno 2017, n. 103. Il risultato, del tutto insoddisfacente sul piano dei contenuti, lascia irrisolti i molti problemi del carcere, nuovamente caratterizzato da un disumano sovraffollamento.

Prison: the Half-Reform

Through a partial “copy and paste” of the Works of the Giostra Commission – substantially incorporated in the bozza Orlando passed in the past Legislature – the Government in office has decided not to implement the delegation contained in the law 23 June 2017, n. 103. The result, completely unsatisfactory in terms of content, leaves the many problems of prison unresolved, again characterized by inhuman overcrowding.

SOMMARIO:

Considerazioni introduttive - Diritto alla salute e assistenza psichiatrica - Gli interventi in tema di semplificazione procedimentale: generalità - Segue: le norme penitenziarie - Segue: le norme codicistiche - La sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà e la sospensione o revoca delle misure alternative - Le comunicazioni, l’attività di controllo e le competenze degli U.E.P.E. e della Polizia penitenziaria - La vita penitenziaria - L’individualizzazione del trattamento - Assegnazione e trasferimento deidetenuti e degli internati - Gli elementi del trattamento, i colloqui e il diritto all’informazione - L’istruzione - Commissioni e rappresentanze - L’isolamento - La dimissione dei detenuti e degli internati - Il lavoro penitenziario: generalità - Segue: la nuova concezione normativa - Il lavoro di pubblica utilità - Il lavoro all’esterno - La remunerazione - Le commissioni regionali - L’assistenza per l’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali - L’assistenza post-penitenziaria - I consigli di aiuto sociale - Le comunicazioni obbligatorie - La disciplina transitoria - NOTE


Considerazioni introduttive

Il 10 novembre 2018 sono entrati in vigore i d.lgs. n. 123 e n. 124 del 2 ottobre 2018, con i quali il Governo Conte è intervenuto [1], a parziale attuazione [2] della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 85 della l. 23 giugno 2017, n. 103 (d’ora in avanti: legge-delega), sull’assistenza sanitaria penitenziaria, sulla semplificazione dei procedimenti esecutivi e penitenziari, sulle competenze degli U.E.P.E. e della polizia penitenziaria, sulla vita penitenziaria [3] ed il lavoro penitenziario. Trattasi, come si vedrà, di un intervento “per amputazione”, dal momento che i contenuti dei due decreti legislativi erano già presenti nei Lavori delle Commissioni Giostra [4] e Pelissero [5], parzialmente metabolizzati nella bozza di decreto legislativo presentata il 15 gennaio 2018 (XVII Legislatura – A.G. n. 501) [6] dall’allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando (d’ora in avanti bozza Orlando) [7]. Su quella bozza si erano espresse favorevolmente, seppur con condizioni e osservazioni, le Commissioni Giustizia di Camera e Senato (7 febbraio 2018): nondimeno, poiché il Governo Gentiloni non aveva inteso conformarsi integralmente ai pareri parlamentari, provvedeva a trasmettere (15 marzo 2018) alle neoelette Camere una nuova bozza (A.G. n. 17), unitamente ad altri tre schemi di d.lgs. redatti in attuazione della legge delega (A.G. n. 16: vita detentiva e lavoro; A.G. n. 20: esecuzione penale minorile; A.G. n. 29: giustizia riparativa). Per quanto qui più interessa, a seguito del parere contrario espresso sull’A.G. n. 17 dalle Commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento (11-12 luglio 2018) [8], il Governo Conte, avvalendosi della facoltà di proroga contenuta nell’art. 1, comma 83, della legge-delega, presentava una prima bozza di decreto (2 agosto 2018), sul quale le Commissioni Giustizia esprimevano parere favorevole (19-25 settembre 2018) [9], per poi emanare i d.lgs. nn. 123 e 124 del 2018, con alcune significative modifiche.


Diritto alla salute e assistenza psichiatrica

La necessità di intervenire sull’effettività del diritto alla salute delle persone in vinculis [10] avrebbe imposto un approccio organico, vòlto a ridefinire, oltre alle coordinate di tipo logistico-organizzativo (artt. 5-11 ord. penit. e 6-9; 11, 16 e 17 reg. es.), anche i presupposti (oggettivi e soggettivi) di accesso ai benefici ed alle alternative penitenziarie (artt. 146-148 c.p.; artt. 47-ter-47-sexies ord. penit.) [11]. In tal senso, invero, deponeva la legge-delega, laddove, oltre alla necessità di rivedere le norme penitenziarie alla luce del riordino della medicina penitenziaria (d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230), essa imponeva la necessità di potenziare l’assistenza psichiatrica negli istituti di pena (art. 1, comma 85, lett. l), nonché la facilitazione dell’accesso alle misure alternative e l’eliminazione degli automatismi e delle preclusioni (art. 1, comma 85, lett. b), c) ed e). In prospettiva correlata, anche le fonti sovranazionali [12] e la giurisprudenza di Strasburgo [13] esigono standard al di sotto dei quali la dignità stessa della persona risulterebbe compromessa. Il risultato legislativo, come si vedrà, non è stato soddisfacente, dal momento che, al di là di un limitato restyling della norma penitenziaria, nulla è stato attuato né in riferimento alle alternative alla detenzione, né con riguardo al tema dell’infermità psichica [14]. Integralmente sostituito dal d.lgs. n. 123 del 2018, il nuovo art. 11 ord. penit. aspira comunque a segnare il transito definitivo della sanità penitenziaria nel sistema sanitario nazionale. Rispetto alla previgente formulazione, la norma abbandona, infatti, il riferimento a servizi medici e farmaceutici interni, prevedendo, al contrario, che il S.S.N. operi «negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria». Il riferimento corre, in particolare, all’art. 1 d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230, ove si precisa che «[i] detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci, tempestive [15] ed appropriate, sulla base degli obiettivi [continua ..]


Gli interventi in tema di semplificazione procedimentale: generalità

In attuazione dell’art. 1, comma 85, lett. a), della legge-delega [39], il legislatore delegato (artt. 3 e 4) ha profondamente inciso su diverse disposizioni della legge penitenziaria (artt. 18-ter, 30, 35-bis, 69-bis) e del codice di procedura penale (artt. 656, 678). Accomunate dall’esigenza di razionalizzare le cadenze procedimentali e di accelerare i tempi decisionali della magistratura di sorveglianza [40], le recenti norme denotano comunque scarso coraggio nel­l’af­rontare il vero problema della giurisdizione di sorveglianza, costituito da un organico inadeguato alle domande – sempre maggiori – di giustizia penitenziaria. In tale prospettiva è necessario virare con decisione verso la “monocratizzazione” delle competenze della magistratura di sorveglianza, trasformando il magistrato quale giudice di primo grado e configurando il tribunale quale “giudice del reclamo”. L’in­negabile vantaggio sarebbe di moltiplicare la capacità di risposta alle istanze provenienti dalle persone detenute, attraverso un ruolo più incisivo dei magistrati di sorveglianza quali “giudice di prossimità” [41].


Segue: le norme penitenziarie

Le modifiche apportate alla materia dei controlli sulla corrispondenza (art. 18-ter ord. penit.) attengono essenzialmente alla competenza ad adottare i provvedimenti limitativi della corrispondenza e della ricezione della stampa, ovvero la sottoposizione della corrispondenza in entrata o in uscita a visto di controllo. Sulla falsariga di quanto appena rilevato in tema di autorizzazioni al ricovero esterno (art. 11, comma 4, ord. penit.), anche in questo caso si abbandona il vecchio sistema che individuava nella sentenza di condanna di primo grado lo “spartiacque” per la ripartizione delle competenze tra l’autorità giudiziaria procedente ed il magistrato di sorveglianza [42]. Oggi, grazie alla novella, le competenze seguono lo stato del procedimento: al «giudice che procede» spetta la decisione relativamente agli imputati [43], mentre il magistrato di sorveglianza provvede in riferimento a persone condannate ed internate. Nessun potere, invece, è riconosciuto in questo caso al pubblico ministero per le decisioni in ordine alla persona arrestata. Come opportunamente segnalato [44], la redistribuzione delle competenze con riferimento al provvedimento genetico non è stata accompagnata da una corrispettiva riconfigurazione delle medesime in tema di reclamo (art. 18-ter, comma 6, ord. penit.): al tribunale ordinario, pertanto, residuerà la competenza funzionale anche avverso i provvedimenti emessi dal presidente della corte di appello o della corte di assise. La medesima ratio è sottesa alla modifica della competenza in materia di permessi “di necessità” (art. 30 ord. penit.): abbandonata la farraginosa ed oramai inadeguata declinazione (imputati, appellanti e ricorrenti) caratterizzante l’abrogata formulazione, il d.lgs. n. 123 del 2018 rinvia espressamente all’art. 11 ord. penit., al fine di ribadire la summa divisio tra condannati definitivi e persone in attesa di un giudizio irrevocabile [45]. Va segnalato che, a differenza di quanto previsto dalla bozza Gentiloni, sulla scorta di quanto sostanzialmente caldeggiato dalla Commissione Giostra [46], il testo del vigente d.lgs. non ha riproposto la possibilità di concedere permessi di necessità per eventi familiari di particolare gravità ovvero, fatta eccezione per i detenuti e gli internati sottoposti a regime di cui all’articolo [continua ..]


Segue: le norme codicistiche

Attraverso l’esangue interpolazione apportata al comma 6 dell’art. 656 c.p.p. è stato introdotto un termine dilatorio di trenta giorni per la decisione sulle istanze presentate ai sensi del comma 5 della medesima disposizione, che si aggiunge a quello – di natura acceleratoria – di quarantacinque giorni, entro il quale la decisione dovrebbe intervenire. Benché inserita in ottemperanza al direttiva di cui all’art. 1, comma 85, lett. d), della legge-delega [56], al fine di consentire quantificare la durata minima dell’attività di indagine personologica [57], la disposizione in commento risulterà di scarsa – o nulla – incidenza pratica, in considerazione sia dell’attuale situazione organizzativa degli U.E.P.E., sia della mancata previsione di una sanzione processuale per la sua violazione [58]. Nondimeno, incidendo sulla facoltà dell’interessato di ricercare e produrre quegli elementi, documentali e non, funzionali all’accertamento probatorio dei presupposti applicativi della misura alternativa richiesta, tale violazione potrebbe essere inquadrata nel combinato disposto dagli artt. 178, lett. c) e 179 c.p.p., così da integrare una nullità a regime intermedio (e rendere doveroso il differimento dell’udienza fissata in anticipo) [59]. Piuttosto, il restyling dell’art. 656 c.p.p. pecca per omissione. Si è già detto che, per espressa scelta del Governo Conte, il d.lgs. n. 123 del 2018 non ha attuato la lett. e) della legge-delega [60], omettendo di restituire al sistema penitenziario una plausibilità costituzionale e convenzionale da tempo smarrita. Ma ancor più significativa è stata l’omessa attuazione della – lapalissiana – lett. c) della legge-delega, la quale, al fine di coordinare l’art. 656 c.p.p. con l’art. 47-ter, comma 1, ord. penit., prescriveva la «revisione della disciplina concernente le procedure di accesso alle misure alternative, prevedendo che il limite di pena che impone la sospensione dell’ordine di esecuzione sia fissato in ogni caso a quattro anni» [61]. Nel silenzio del legislatore, tale disarmonia veniva “tamponata” dal prevalente orientamento della Corte di cassazione, la quale, al fine di garantire plausibilità sistematica alle due [continua ..]


La sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà e la sospensione o revoca delle misure alternative

La modifica, di rilievo marginale, apportata all’art. 51-bis ord. penit. [85], attiene all’estensione oggettiva dei poteri del magistrato di sorveglianza, i quali, nel testo previgente, erano limitati alle misure dell’affidamento in prova al servizio sociale, della semilibertà, della detenzione domiciliare e della detenzione domiciliare speciale ed oggi estesi ad ogni «misura alternativa». Il contenuto del potere rimane, invece, invariato, attenendo ad una valutazione circa la permanenza delle condizioni di applicabilità della misura in esecuzione, nel caso di cumulo di pene, sotto il duplice profilo delle condizioni di legge per il mantenimento della misura in esecuzione con riferimento al quantum di pena residua espianda e delle condizioni di legge relative all’eventuale sopravvenienza di una condanna per un titolo di reato ostativo alla concessione del beneficio. In tale, ultima prospettiva, assume rilevanza particolare l’operazione di “scioglimento del cumulo”, al fine di imputare alla parte di pena già espiata quella inflitta per un delitto ostativo ai sensi dell’art. 4-bis ord. penit. [86]. La nuova norma, infine, precisa che l’organo legittimato ad effettuare il nuovo cumulo è il pubblico ministero individuato ai sensi dell’art. 655 c.p.p. e non quello presso il tribunale di sorveglianza che ha concesso la misura ovvero quello operante presso il magistrato di sorveglianza avente giurisdizione sul luogo di residenza o di domicilio del condannato (art. 677, comma 2, c.p.p.). Muta anche la latitudine della giurisdizione del magistrato di sorveglianza: se, prima della riforma, l’esercizio del potere decisorio postulava un mero accertamento «aritmetico-formale», attualmente, invece, «l’accertamento è vòlto a verificare il permanere delle condizioni di applicabilità delle misure alternative in questione (testualmente vengono richiamate “le condizioni di applicabilità della misura in esecuzione”), non solo pertanto le condizioni relative ai limiti di pena, ma sembrerebbe anche quelle che implicano valutazioni di merito» [87]. La decisione, che assume la forma dell’ordinanza de plano, cioè a dire senza formalità, potrà avere due epiloghi distinti: di prosecuzione ovvero di cessazione della misura. In tale, ultima [continua ..]


Le comunicazioni, l’attività di controllo e le competenze degli U.E.P.E. e della Polizia penitenziaria

Le interpolazioni apportate all’art. 58 ord. penit. attengono alla disciplina delle attività di controllo sull’esecuzione delle misure extramurarie, sinora di competenza degli U.E.P.E., per quanto concerne la vigilanza sul rispetto delle direttive impartite (artt. 96, comma 5, e 118, comma 8, lett. c), reg. es.) e le forze dell’ordine, che operano secondo le normative e le direttive proprie del proprio comparto. Attraverso l’aggiunta di due commi, il nuovo art. 58 ord. penit. prevede che alle attività di controllo partecipi, ove richiesta, la polizia penitenziaria, secondo le indicazioni del direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna e previo coordinamento con l’autorità di pubblica sicurezza. Tale attività potrà riguardare esclusivamente l’osservanza delle prescrizioni inerenti alla dimora, alla libertà di locomozione, ai divieti di frequentare determinati locali o persone e di detenere armi. Secondo i primi commentatori [103], la novella intende perseguire una pluralità di obiettivi. Da un lato, l’opera della polizia penitenziaria potrà ridurre l’impiego del personale dell’UEPE soprattutto nelle aree ad alta densità criminale; dall’altro lato, essa potrà costituire un utile supporto alle altre forze di polizia, oggi in difficoltà per le note carenze di mezzi e di personale. Quale garanzia al rispetto dei diritti minimi della persona in esecuzione penale esterna, l’ultimo comma dell’art. 58 ord. penit. impone che le attività di controllo siano svolte con modalità tali da garantire il rispetto dei diritti dell’interessato e dei suoi familiari e conviventi, da recare il minor pregiudizio possibile al processo di reinserimento sociale e la minore interferenza con lo svolgimento di attività lavorative. Come si è già accennato, l’interpolazione del’art. 72 ord. penit. amplia lo spettro di attribuzioni dell’U.E.P.E., formalizzando «un potere non soltanto già di fatto esercitato» [104], in riferimento ad una richiesta attività di osservazione del comportamento tenuto in libertà, in vista dell’applicazione di misure alternative “senza assaggio di carcere” [105]. In stretta connessione con quanto appena rilevato visto in riferimento all’art. 58 ord. penit., [continua ..]


La vita penitenziaria

Si è già criticata [106] la scelta del recente legislatore di dividere le norme in tema di “vita penitenziaria” tra i due decreti legislativi, pur a fronte di un unico criterio di delega (lett. r), che imponeva la «pre­visione di norme volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria quella esterna, la sorveglianza dinamica». Il Capo IV del d.lgs. n. 123 del 2018 reca rilevanti modificazioni alla legge fondamentale di ordinamento penitenziario, tutte destinate ad incidere in modo rilevante sul quotidiano carcerario. L’impianto complessivo evidenzia un particolare favor verso il trattamento rieducativo, potenziato anche attraverso la ridefinizione della carta (art. 1) e del contenuto (art. 18) dei diritti della persona in vinculis.   Nel prescrivere che «[i]l trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», l’art. 1, comma 1 ord. penit. si è costantemente posto in linea con i postulati espressi dalle Carte fondamentali dei diritti. Il lapidario e significativo incipit non solo è stato confermato dal nuovo testo della disposizione penitenziaria radicalmente rielaborata dall’art. 11 comma 1 lett. a) d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, ma è stato accompagnato da un deciso incremento dei corollari dei principi di umanità e dignità, i quali, a loro volta, si dipanano lungo i principi ispiratori degli artt. 2, 3, 13 comma 4, 24 commi 1 e 2 e 27 comma 3 della Costituzione [107], dell’art. 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, del Preambolo e delle Regole 18.1, 49, 54.3 e 72 delle Regole penitenziarie europee nonché, infine, delle indicazioni provenienti dal Comitato per la Prevenzione della Tortura, istituito presso il Consiglio d’Europa [108]. Di conseguenza, la rinnovata concezione di trattamento, quale emergente dall’art. 1 ord. penit., irradierà la portata applicativa delle altre norme di ordinamento penitenziario [109]che ne decodificano tempi e modi all’interno del quotidiano carcerario Anticipando, ma solo per il momento, quanto costituirà oggetto di maggiore riflessione, va segnalato che, rispetto alla previgente [continua ..]


L’individualizzazione del trattamento

Nel correlare il trattamento penitenziario alla salvaguardia della salute e della dignità dei detenuti e degli internati e allo sviluppo del loro senso di responsabilità, la Commissione Giostra mirava «a meglio definire gli aspetti del trattamento individualizzato alla stregua del criterio di delega di cui alla lettera r) (dignità e responsabilizzazione) e alla lettera f) (giustizia riparativa)» [153]. Caduto sia nella bozza Orlando, sia nel testo definitivo del d.lgs. n. 123 del 2018, l’attuale art. 13, comma 1, ord. penit., ha metabolizzato la restante parte dei Lavori della Commissione Giostra, stabilendo che il trattamento penitenziario – oltre a rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto – deve incoraggiare le attitudini e valorizzare le competenze che possono essere di sostegno per il reinserimento sociale. Il comma 2, oggetto di un intervento significativo, ridefinisce i tratti della osservazione scientifica della personalità, prevedendo che essa sia volta esclusivamente alla rilevazione delle cause che hanno condotto la persona a commettere il reato, con l’unica specificazione delle eventuali «carenze psicofisiche» [154]. Il nuovo comma 3, la cui formulazione diverge sensibilmente dalla proposta contenuta nella bozza Giostra, prevede che nell’ambito dell’osservazione debba essere offerta all’interessato l’opportunità di una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione [155]. Il comma 4 (anteriormente: comma 3) fissa un termine di sei mesi per la prima formulazione del programma di trattamento. Trattasi di una previsione opportuna sia dal punto di vista della collocazione nella gerarchia delle fonti, sia dal punto di vista della contrazione del termine (l’art. 27 reg. es. – implicitamente abrogato – lo fissava in nove mesi). In prospettiva correlata, l’inedito richiamo espresso alle ragioni della vittima, ne eleva la dignità a livello di norma primaria, «a concreta testimonianza della nuova sensibilità maturata in tema di tutela dei diritti delle vittime, di acquisizione dei principi della giustizia riparativa e della moderna vittimologia» [156]. È da ritenere che, trattandosi di un diritto [continua ..]


Assegnazione e trasferimento deidetenuti e degli internati

Recependo un’indicazione contenuta nella bozza Giostra, l’assegnazione dei detenuti agli istituti (art. 14 ord. penit.) si configura, per la prima volta, quale diritto del detenuto o dell’internato (come tale reclamabile al magistrato di sorveglianza ex art. 35-bis ord. penit. [157]), seppur notevolmente affievolito dal potere derogatorio riconosciuto all’amministrazione penitenziaria [158]. Invero, il riferimento alla sussistenza di «specifici motivi contrari» ridimensiona notevolmente l’ef­fettività del diritto, in nome di altri interessi di rango inferiore, quali, ad esempio, esigenze logistiche degli istituti ovvero la pericolosità soggettiva dei detenuti e internati [159]. Nondimeno, la modifica si imponeva anche per allineare la normativa interna agli imperativi di carattere sovranazionale e, in particolare alla Regola 17.1 delle Regole penitenziarie europee, ove si prevede proprio che «[i] detenuti devono essere assegnati, per quanto possibile, in istituti vicini alla propria famiglia o al loro luogo di reinserimento sociale». La nuova formulazione prevede che l’istituto di assegnazione debba essere «quanto più vicino possibile alla stabile dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di riferimento sociale [160], salvi specifici [161] motivi contrari». Da tale opzione è derivata l’espunzione del contenuto dell’ultimo comma del vecchio comma 2, ai sensi del quale il parametro normativo per le assegnazioni era rappresentato dall’art. 42 ord. penit., relativo ai trasferimenti. Ulteriore novità di rilievo è contenuta alla nuova disciplina (ultimi tre commi dell’art. 14 ord. penit.) dedicata alla detenzione femminile e delle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Oltre agli istituti esclusivamente femminili (gli Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri (ICAM) attualmente sono solamente quelli di Torino “Lorusso e Cutugno”, Milano “San Vittore”, Venezia “Giu­decca”, Cagliari e Lauro), la norma impone l’istituzione di apposite sezioni femminili all’interno degli istituti penitenziari, al fine di non compromettere le attività trattamentali. Con specifico riferimento alle detenute madri, si ripropone la norma un tempo contenuta nell’art. 11 ord. penit., [continua ..]


Gli elementi del trattamento, i colloqui e il diritto all’informazione

Attraverso la sostituzione del comma 1 dell’art. 15 ord. penit., si inseriscono la formazione professionale e la partecipazione a progetti di pubblica utilità tra i pilastri del trattamento rieducativo, unitamente ad istruzione, lavoro, religione, attività culturali, ricreative e sportive, contatti con il mondo esterno e rapporti con la famiglia. La decisa valorizzazione della formazione professionale dei detenuti (cfr. soprattutto l’art. 20, nonché gli artt. 21 e 25-bis ord. penit., sui quali v. infra), particolarmente necessaria in ragione della profonda evoluzione del mondo del lavoro e del progresso tecnologico [167], sottolinea il valore del lavoro quale strumento essenziale del trattamento di recupero dei condannati e degli internati [168]. La portata della modifica dell’art. 18, centrale nell’architettura della bozza Giostra, particolarmente sensibile all’attuazione della direttiva di delega relativa all’affettività (lett. n) [169], è stata frustrata dapprima dalla bozza Orlando e, successivamente, dal d.lgs. n. 123 del 2018. In particolare, l’istituto dei cc.dd. incontri intimi [170] (art. 18, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater, della bozza Giostra) – ampiamente sperimentato in diverse legislazioni europee – era volto a consentire all’interno del carcere relazioni intime sottratte al controllo visivo ed auditivo del personale di custodia. A causa delle concitate reazioni del maggiore sindacato di polizia penitenziaria, già il Ministro Orlando, nella passata Legislatura, aveva reputato opportuno lo stralcio dell’”affettività” dalla bozza di decreto legislativo. Ma la bozza Giostra conteneva ben altro: l’art. 18, comma 5-bis, sempre al fine di incentivare le relazioni familiari ed affettive (spesso frustrate da ragioni economiche), prevedeva che le «comunicazioni potessero avvenire anche mediante programmi di conversazione visiva, sonora e di messaggistica istantanea attraverso la connessione internet» (ad es.: Skype). Recepita nella bozza Orlando, la previsione non ha trovato ospitalità nel recente decreto legislativo [171]. Al netto dei tagli, la prima modifica introdotta dalla riforma riguarda l’eliminazione dal comma 1 dell’art. 18 ord. penit., del riferimento al garante dei diritti dei detenuti dal novero dei soggetti ammessi ad avere [continua ..]


L’istruzione

L’innovazione apportata all’art. 19 ord. penit. dal d.lgs. n. 123 del 2018 riguarda, sostanzialmente due profili: da un lato, si è affermata la parità di accesso alle donne detenute e internate alla formazione culturale e professionale, obiettivo che dovrà essere perseguito tramite la programmazione di «iniziative specifiche» [190]. In prospettiva correlata, espressiva di un particolare favor verso i soggetti deboli, la norma impone una «speciale attenzione» rivolta all’integrazione dei detenuti stranieri anche attraverso l’insegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei principi costituzionali [191]. Dall’altro lato, il nuovo comma 6 incentiva la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore. Si codifica, in tal modo, la prassi – inaugurata dai garanti locali per i diritti dei detenuti – volta alla costituzione di poli universitari penitenziari, convenzionati con le realtà accademiche del territorio [192]. Del pari, l’ammissione di detenuti e internati ai tirocini di cui alla l. 28 giugno 2012, n. 92, consentirà alle persone in vinculis di partecipare agli stagesintrodotti dalla legge Monti-Fornero, che offrono la possibilità di acquisire competenze professionali finalizzate all’inseri­mento o al reinserimento lavorativo, prevedendo anche la corresponsione di un’indennità. Rimane invariato il diritto di accesso «alle pubblicazioni contenute nella biblioteca, con piena libertà di scelta delle letture», ma cade, rispetto alla bozza Giostra, il riconoscimento di un analogo diritto relativamente ai «prodotti multimediali utili per l’istruzione e la formazione professionale a distanza, nel rispetto delle esigenze di sicurezza».


Commissioni e rappresentanze

Attraverso un’interpolazione additiva dell’art. 27 ord. penit., la novella inserisce la figura del mediatore culturale (art. 80 ord. penit.) tra i componenti della commissione che organizza le attività culturale, ricreative e sportive, accogliendo in questo modo una proposta contenuta nella bozza Giostra. Come correttamente evidenziato [193], «la composizione della commissione risentirà anche della contestuale modifica dell’art. 31 ord. penit. ove si contempla, nel rispetto delle “quote rosa” l’obbligatoria presenza fem­minile nelle rappresentanze dei detenuti o internati». Come appena accennato, la sostituzione dell’art. 31 ord. penit. recepisce integralmente gli auspici della Commissione Giostra, attraverso l’obbligatorio inserimento di una rappresentante di genere femminile all’interno delle commissioni dei detenuti e degli internati indicate negli articoli 9 (controlli sull’alimentazione), 12 (servizio sanitario), 20 (lavoro) e 27 (attività culturali, ricreative e sportive). Come evidenziato nella Relazione Giostra, tale previsione si impone al fine di eliminare «disparità di trattamento e comunque, di fatto, la pretermissione delle esigenze espresse dalle donne». Sempre sulla scorta delle indicazioni della Commissione Giostra, la modifica apportata all’art. 80 ord. penit., in tema di personale dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, tende a rafforzare la presenza in carcere dei mediatori culturali e degli interpreti, al fine primario di supplire al deficit di comprensione del sistema giudiziario e all’assenza di legami con il mondo esterno, cause prime delle difficoltà di integrazione del detenuto straniero [194]. Anteriormente alla novella, infatti, la presenza del mediatore era rimessa esclusivamente alle “buone prassi” correnti tra amministrazione penitenziaria ed istituzioni locali, realizzate anche attraverso la stipula di «convenzioni con gli enti locali e con organizzazioni del volontariato» (art. 35, comma 2, reg. es.). In futuro, la possibilità di avvalersi di tali figure in regime libero professionale [195], potrebbe garantire una maggiore presenza dei mediatori in carcere ed un maggiore contributo di tali figure professionali alle attività trattamentali.


L’isolamento

Integralmente riscritta, sulla base delle indicazioni della Commissione Giostra, la disciplina dell’isolamento (art. 33 ord. penit.) tende a garantire i diritti fondamentali della persona in vinculis anche nel corso di tale modalità esecutiva della pena detentiva. Al di là delle necessarie attualizzazioni d’ordine lessicale, che hanno reso necessaria l’eliminazione del vetusto riferimento all’istruttoria, la novella individua, quale presupposto dell’isolamento giudiziario, la sussistenza di «ragioni di cautela processuale», abbandonando l’antico requisito fondato sulla valutazione di “necessità” da parte dell’autorità giudiziaria. Inoltre, viene imposto all’autorità procedente di indicare la durata [196] e le ragioni dell’isolamento, rinviando, per la disciplina di dettaglio, all’art. 73 reg. es. [197]. Il nuovo comma 3 prescrive che nel corso dell’isolamento non sono ammesse limitazioni alle “normali condizioni di vita”, ad eccezione di quelle funzionalmente connesse alle ragioni (sanitarie, disciplinari o cautelari) che lo hanno determinato. Anche sotto questo profilo, parametro-guida è quello della proporzionalità tra le esigenze che hanno determinato l’isolamento e il sacrificio dei diritti fondamentali esercitabili nelle normali condizioni di vita detentiva [198]. Infine, il comma 4, anch’esso ricalcato sulla proposta contenuta nella bozza Giostra, afferma il diritto, per il detenuto sottoposto a isolamento, di effettuare i colloqui visivi con i soggetti autorizzati, tra cui rilevano in modo particolare il difensore ed i garanti dei diritti dei detenuti. Con riferimento al potere disciplinare (art. 36 ord. penit.), la novella introduce un’importante precisazione relativa al momento applicativo della sanzione, precisando che si debba obbligatoriamente [199] tenere conto del programma di trattamento in corso. Trattasi di una integrazione che «opportunamente inserisce un parametro di ponderazione». Detto altrimenti, tale criterio mitigatore dovrà trovare applicazione «tanto nella fase della decisione sulla tipologia e sulla entità quantitativa della sanzione da irrogare, quanto nel momento della sua concreta applicazione all’interessato e dunque influenzare le modalità concrete di [continua ..]


La dimissione dei detenuti e degli internati

L’integrazione dell’art. 43 ord. penit., relativo alla procedura di dimissione dei detenuti e degli internati, recepisce una proposta della Commissione “Giostra”, finalizzata a favorire il reinserimento degli ex-detenuti e internati che potranno uscire dal circuito penitenziario muniti di validi documenti d’identità ed in tal modo accedere più facilmente e rapidamente alla possibilità di iscrizione presso i centri per l’impiego e nelle liste per gli altri strumenti di assistenza (assegnazione alloggi ATER, sussidi, contributi al reddito, etc.) [203]. L’intervento aderisce, inoltre, alla proposta del Garante nazionale di attribuire all’amministrazione penitenziaria un ruolo proattivo, in collaborazione con gli enti locali. La modifica dell’art. 45 ord. penit., in materia di assistenza alle famiglie, obbedisce all’esigenza di migliorare l’azione di assistenza alle famiglie, in linea con gli obiettivi fissati nell’art. 28 ord. penit. L’intervento, in linea con le proposte della Commissione Giostra, concerne, da un lato, l’integrazione della rubrica, per effetto della quale al suo nucleo originario («Assistenza alle famiglie») vengono aggiunte le parole «e aiuti economico-sociali». In questa logica si inscrive il nuovo ultimo comma, che, completando le disposizioni in materia di assistenza sociale territoriale ai detenuti e alle loro famiglie (cfr. l’art. 3, l. 8 novembre 2000, n. 328), mira garantire una più puntuale attuazione degli adempimenti anagrafici all’interno degli istituti penitenziari, delineando un diritto del detenuto di dichiarare la propria residenza, valorizzando la figura del direttore dell’istituto quale organo proattivo di impulso [204]. La ratio della disposizione è di assicurare una più sicura attuazione degli adempimenti anagrafici all’in­terno degli istituti penitenziari, dato che il presupposto necessario di tutte le prestazioni sociali a competenza territoriale e di alcune importanti prestazioni socio-sanitarie erogabili alle persone detenute è costituito dal requisito della residenza dichiarata. Ne consegue che, a fronte del diritto-dovere del detenuto di dichiarare la residenza riguardo allo specifico ambiente detentivo, in quest’ambito il direttore si configura come responsabile della convivenza anagrafica a [continua ..]


Il lavoro penitenziario: generalità

Il Capo II del d.lgs. n. 124 del 2018 è integralmente dedicato alla disciplina del lavoro penitenziario, in attuazione dell’art. 1, comma 85, lett. g), della legge-delega, ove si prevede l’«incremento delle opportunità di lavoro retribuito, sia intramurario sia esterno, nonché di attività di volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento». La riforma, che si pone nella scia degli interventi normativi in materia di lavoro per i detenuti [206], è sostanzialmente ricalcata sulle soluzioni elaborate in seno alla Commissione Giostra e modifica un settore di rilevanza strategica (il lavoro, appunto), in quanto “pilastro” del trattamento rieducativo e, di conseguenza, del finalismo rieducativo della pena. È tristemente noto come la carenza di risorse (ma altresì di proposte provenienti dal privato), configurino il lavoro penitenziario come una chimera e non come una risorsa effettiva: è condizione comune a molti istituti, infatti che esso venga dispensato con turnazioni di più detenuti che si alternano sui medesimi, scarsi posti di lavoro [207]. Al fine di risolvere la situazione appena descritta, la riforma elimina ogni connotato di afflittività che contraddistingueva il lavoro penitenziario, pur continuando ad esigerne l’obbligatorietà (v. l’art. 50 reg. es. non abrogato) e introduce norme in materia di determinazione della retribuzione del lavoro e salvaguardie sotto il profilo della pignorabilità della stessa. Ancora, la novella apporta innovazioni di rilievo con riferimento alla contrattualistica in materia di lavoro, con riferimento particolare al contratto di apprendistato e, più in generale, per favorire l’accesso al lavoro esterno dei soggetti condannati. La novella ha altresì soppresso il vecchio comma 4 dell’art. 20 ord. penit., ove si prevedeva la possibilità di assegnare al lavoro, qualora questo avesse risposto a finalità terapeutiche, i soggetti sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e di custodia e dell’ospedale psichiatrico giudiziario [208].


Segue: la nuova concezione normativa

L’integrale sostituzione dell’art. 20 ord. penit. evidenzia molti elementi di novità rispetto al testo previgente. Innanzi tutto, l’esplicito richiamo (comma 1) alle «strutture ove siano eseguite misure privative della libertà», impone di estendere la nuova disciplina giuslavoristica alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), ontologicamente non ascrivibili al novero degli “istituti penitenziari”. La precisazione riveste notevole importanza, estendendo anche agli internati la disciplina in materia di lavoro (e di formazione professionale) dettata per i condannati, anche al fine di valorizzarne la natura di strumento trattamentale. Sempre nel comma 1 si contempla un’inedita “imprenditorializzazione” delle direzioni degli istituti, le quali potranno organizzare e gestire, all’interno e all’esterno dell’istituto, «lavorazioni e servizi attraverso l’impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e degli internati». Trattasi di un’importantissima opportunità di collocamento nel mercato del lavoro, che potrebbe risultare particolarmente competitiva. In prospettiva correlata, le direzioni potranno, altresì, istituire lavorazioni organizzate e gestite direttamente da enti pubblici o privati e potranno istituire corsi di formazione professionale organizzati e svolti da enti pubblici o privati. Come opportunamente rilevato dai primi commentatori della riforma, «si schiude, con tale innovazione, la possibilità che l’amministrazione possa concorrere all’appalto per la gestione di un servizio pubblico (a es. la manutenzione del verde pubblico) con attività svolta da detenuti e internati all’esterno del carcere» [209]. A seguito della contestuale abrogazione dei vecchi commi terzo e quarto, il nuovo comma 2 stabilisce che il lavoro, quale elemento del trattamento, non può avere natura afflittiva e deve essere remunerato [210]. Nella medesima prospettiva si colloca il comma 11, secondo il quale i detenuti e gli internati «possono essere ammessi a esercitare, per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche, nell’am­bito del programma di trattamento», ove il verbo servile sottolinea la natura non afflittiva – bensì trattamentale – del lavoro. Risulta, pertanto evidente [continua ..]


Il lavoro di pubblica utilità

La disciplina organica del lavoro di pubblica utilità costituisce uno dei perni centrali della riforma dedicata al lavoro penitenziario, potendo rilanciare uno degli elementi principali del trattamento (il lavoro, appunto, ex art. 15 ord. penit.), spesso sacrificato sull’altare della realpolitik di una scadente offerta trattamentale, imputabile, sostanzialmente alla scarsità di risorse e di fondi messi a disposizione dall’amministrazione [217]. Il lavoro di pubblica utilità, nato quale sanzione penale nei procedimenti di competenza del giudice di pace, consiste nella prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato (art. 54 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274). Da possibile adempimento accessorio, funzionale alla sospensione condizionale della pena, è divenuto sanzione sostitutiva applicabile dal giudice per determinati reati, sino a diventare elemento indefettibile del procedimento di sospensione del processo con messa alla prova [218]. Esso, infatti, trova altresì applicazione: a) nei casi di talune violazioni del codice della strada (art. 186, comma 9-bis, e art. 187, comma 8-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285); b) nei casi di talune violazioni della legge sugli stupefacenti (art. 73, comma 5-bis, del d.p.r. n. 309 del 1990); c) come obbligo dell’imputato nel caso di sospensione del processo con messa alla prova (art. 168-bisp.). Il nuovo art. 20-ter ord. penit., ispirato dai Lavori della Commissione Giostra, regolamenta compiutamente la disciplina del lavoro di pubblica utilità, superando la frammentazione e le carenze dell’assetto normativo vigente; gli conferisce autonomia rispetto al lavoro all’esterno di cui all’art. 21 ord. penit.; mira a coinvolgere i detenuti e gli internati anche nella fase di progettazione e non solo in quella della mera esecuzione (la dizione normativa riguarda, infatti, la «partecipazione a progetti di pubblica utilità». Come correttamente sottolineato [219], le possibilità di applicazione del lavoro di pubblica utilità sono plurime: dai servizi di pubblica utilità o di pubblico interesse nel campo dell’assistenza a disabili o ad anziani, ai servizi presso i dei centri antiviolenza; ma [continua ..]


Il lavoro all’esterno

Il d.lgs. n. 124 del 2018 ha modificato anche l’art. 21 ord. penit., in materia di lavoro all’esterno, al fine di coordinarlo con la nuova disciplina del lavoro penitenziario. Segnatamente, nel comma 4-bis dell’art. 21 ord. penit., viene aggiornato il richiamo all’articolo 20 ord. penit.: non più – per effetto delle modifiche introdotte in tale disposizione dalla riforma (v. supra par. 3.4 e ss.) al secondo periodo del comma sedicesimo, bensì al secondo periodo del comma tredicesimo, ove si prevedono le garanzie di tutela – anche assicurativa – nei confronti dei soggetti ammessi a corsi di formazione professionale o a tirocini. In secondo luogo, viene soppresso il primo periodo del comma 4-ter, che disciplinava la prestazione di attività a titolo volontario e gratuito, ora oggetto di più organica disciplina all’art. 20-ter, mentre resta ferma la disciplina relativa alle altre attività volontarie e gratuite a sostegno delle vittime che si inseriscono nel modello della giustizia riparativa. È altresì soppressa, per le esigenze di coordinamento sopra indicate, la parola «inoltre».


La remunerazione

Integralmente sostituito dal d.lgs. n. 124 del 2018, l’art. 22 ord. penit., mira allo scopo di semplificare i criteri di calcolo della remunerazione spettante ai detenuti e agli internati che prestano attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, evitando, in particolare, che eventuali ritardi di natura burocratica possano tradursi in inadempimenti parziali all’obbligo retributivo che grava sull’amministrazione penitenziaria. Partendo dalla constatazione che – per ragioni legate alla più bassa produttività e alla scarsità di risorse – la retribuzione del lavoro penitenziario è commisurata ai due terzi di quella prevista dai C.C.L.N. e considerato che tale profilo è stato ritenuto dalla Consulta compatibile con il quadro costituzionale, tale misura è stata recepita a livello normativo. Inoltre, per evitare possibili fraintendimenti ed equivoci rispetto alla posizione dei ristretti che lavorano alle dipendenze di datori di lavoro pubblici o privati, si è sostituito, nel testo della disposizione e nella rubrica della stessa, l’obsoleto termine «mercedi» con «remunerazione» (preferito a «retribuzione» per il motivo sopra indicato).


Le commissioni regionali

Il d.lgs. in esame sostituisce il secondo e terzo periodo del comma 1, art. 25-bis ord. penit., così prevedendo la nuova composizione delle commissioni regionali per il lavoro penitenziario. L’interpolazione mira ad aggiornare la composizione delle Commissioni regionali per il lavoro penitenziario alle attuali strutture di governo delle politiche attive in materia di lavoro (analogamente all’intervento sull’art. 6 d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 444) Esse sono presiedute dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e sono composte dai rappresentanti, in sede locale, delle associazioni imprenditoriali e delle associazioni cooperative, dai rappresentanti della regione che operino nel settore del lavoro e della formazione professionale, dal dirigente del centro per la giustizia minorile, dal direttore dell’ufficio interdistrettuale dell’esecuzione penale esterna e da un rappresentante di ANPAL. La partecipazione a tali commissioni non fonda alcun diritto a compensi, indennità o rimborsi spese e viene, pertanto, espletata a titolo completamente gratuito. Il comma 3 dell’art. 2 d.lgs. n. 124 del 2018, sostituisce, invece, all’art. 6, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 444 del 1992, cit., le parole: «d’intesa con gli organi periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale» con: «d’intesa con ANPAL».


L’assistenza per l’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali

La lett. h), comma 1, dell’art. 2 d.lgs. n. 124 del 2018, recependo un’indicazione della Commissione legislativa “Giostra”, introduce il nuovo art. 25-ter ord. penit., che mira a dare vita ad un servizio di informazione e assistenza per i detenuti e gli internati – gestito mediante l’attivazione di convenzioni non onerose con i patronati pubblici o i consulenti privati – per assicurare ai detenuti e agli internati l’accesso alle informazioni relative a prestazioni previdenziali e assistenziali (assegni per il nucleo familiare, trattamenti di disoccupazione, trattamenti di sostegno al reddito, ecc.) e per provvedere altresì ai necessari adempimenti burocratici (domande, comunicazioni, ecc.). La nuova disposizione consente, inoltre, ai medesimi soggetti di accedere – pur con le limitazioni connesse allo stato di detenzione o internamento – ai servizi di politica attiva di cui fruiscono gli aspiranti lavoratori liberi. In tale prospettiva, la nuova disposizione prescrive che l’amministrazione penitenziaria è tenuta a rendere disponibile a favore dei detenuti e degli internati, anche attraverso apposite convenzioni non onerose con enti pubblici e privati, un servizio di assistenza all’espletamento delle pratiche per il conseguimento di prestazioni assistenziali e previdenziali, nonché l’erogazione di servizi e misure di politica attiva del lavoro.


L’assistenza post-penitenziaria

L’art. 2, comma 1, lett. i), del decreto in analisi integra l’art. 46 ord. penit., in materia di assistenza post-penitenziaria, con un comma finale, ove si prevede che i soggetti che hanno terminato l’espiazione della pena o nei cui confronti è stata revocata o trasformata la misura di sicurezza detentiva e che si trovano in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150, accedono, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, all’assegno di ricollocazione di cui all’art. 23 del citato d.lgs. n. 150 del 2015 [221] purché ne facciano richiesta entro sei mesi dalla dimissione dall’istituto penitenziario. La previsione, che riguarda una platea non piccola di potenziali fruitori (il decreto legislativo per il contrasto alla povertà ha stabilito spetti anche ai soggetti in condizioni di povertà tali da poter accedere al REI, il «reddito di inclusione»), si pone sulla scia di quegli interventi rivolti ad agevolare il percorso di reinserimento sociale dei soggetti dimessi dagli istituti di pena per intervenuto fine-pena, che si trovano spesso in condizioni di difficoltà, soprattutto economica, con un fortissimo rischio di recidiva (cfr. la modifica dell’art. 45 l. 26 luglio 1975, n. 354). In questa prospettiva, la misura non si rivolge ai soggetti condannati ammessi a misure di comunità o ai soggetti sottoposti a misura di sicurezza non detentiva. La copertura, per ragioni di bilancio, è limitata alle risorse disponibili a legislazione vigente. Ai sensi della normativa vigente, l’assegno individuale di ricollocazione (d.lgs. n. 150 del 2015) può essere richiesto dai soggetti disoccupati da almeno quattro mesi e beneficiari di trattamento di disoccupazione. L’assegno consiste in un importo che può essere “speso” dal soggetto presso un centro per l’impiego o un soggetto accreditato, al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro. L’assegno non viene erogato all’utente, ma all’operatore suddetto. Le modalità operative dell’istituto e la misura dell’assegno sono definite con delibera del consiglio di amministrazione di ANPAL, secondo i princìpi di cui all’art. 23 d.lgs. n. 150 del 2015.


I consigli di aiuto sociale

La lett. l) dell’art. 2, comma 1, d.lgs. in esame abroga l’art. 74, comma 5, n. 3) della l. n. 354 del 1975, che prevedeva che alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto sociale nel settore della assistenza penitenziaria e post-penitenziaria si provvedesse anche con i proventi delle manifatture carcerarie assegnati annualmente con decreto del Ministro per il tesoro sul bilancio della cassa delle ammende nella misura del cinquanta per cento del loro ammontare.


Le comunicazioni obbligatorie

Con il comma 4, art. 2 d.lgs. n. 124 del 2018, il legislatore delegato integra la disciplina delle comunicazioni obbligatorie di cui al d.l. 1 ottobre 1996, n. 510, convertito dalla l. 28 novembre 1996, n. 608, art. 9-bis, con riferimento alle fattispecie di assunzione, proroga, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro con i detenuti e gli internati che prestano attività lavorativa all’interno degli stabilimenti penitenziari. In tali casi, sui datori di lavoro privati e l’amministrazione penitenziaria incombe di effettuare le relative comunicazioni obbligatorie (che contengono, per i privati, i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato; e per le pubbliche amministrazioni, l’assunzione, la proroga, la trasformazione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al mese precedente. Tali comunicazioni sono dovute anche per i tirocini di formazione e di orientamento e ad ogni altro tipo di esperienza lavorativa ad essi assimilata). Le informazioni così acquisite sono conservate nell’archivio informatizzato oggi gestito dall’ANPAL nell’ambito del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro. Con tale innovazione, sarà possibile avere a disposizione dati affidabili su articolati aspetti del lavoro penitenziario, quali, ad es., il numero di detenuti ed internati occupati all’interno degli istituti di pena, il modello contrattuale utilizzato, la tipologia delle lavorazioni svolte). Dal punto di vista tecnico, la modifica viene operata sull’art. 9-bis, comma 2, d.l. n. 510 del 1996, cit., con l’aggiunta, in fine, di un ulteriore periodo, ove si prevede che le comunicazioni obbligatorie vadano effettuate anche nel caso di lavoratori detenuti o internati che prestano la loro attività all’interno degli istituti penitenziari alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o di altri enti, pubblici o privati.


La disciplina transitoria

L’art. 3 d.lgs. n. 124 del 2018 reca una disposizione di diritto transitorio, stabilendo che le disposizioni di cui all’art. 6, comma 2, e all’art. 8, comma 2, l. n. 354 del 1975, come modificate dall’art. 1, comma 1, lett. b) e c), del decreto medesimo, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2021, per consentire le necessarie attività edilizie di adeguamento delle strutture alle nuove disposizioni introdotte dalla riforma. Le altre disposizioni contenute nel decreto legislativo sono entrate, invece, in vigore secondo le tempistiche ordinarie, cioè a dire dal 10 novembre 2018.


NOTE