Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Interferenze tra ne bis in idem processuale e sostanziale nel contenimento del doppio binario sanzionatorio (di Chiara Buffon)


In ambito europeo, per molto tempo ci si è avvalsi del divieto di un secondo giudizio per neutralizzare il rischio della doppia sanzione, limitando la discrezionalità del legislatore di punire lo stesso fatto a duplice titolo. Nel 2018, tuttavia, la Corte di giustizia dell’Unione europea ribadisce la necessità di stemperare il rigore di tale preclusione, subordinandone l’applicazione al filtro della sufficiente connessione materiale e temporale tra procedimenti. Si tratta di un criterio che affida al giudice l’ultima parola sul doppio binario sanzionatorio. Sotto altro profilo, la Corte costituzionale espande l’ope­ratività dell’art. 649 c.p.p. travolgendo l’istituto del concorso formale di reati, in forza del principio di autonomia tra declinazione sostanziale e processuale del ne bis in idem.

Interferences between the substantive and procedural meaning of the ne bis in idem principle for the containment of the double-track sanctions

In the European context, for a long time we have used the prohibition of a second judgment to neutralize the risk of double sanction, limiting the discretion of the legislator to punish the same event in two ways. In 2018, however, the Court of Justice of the European Union reiterates the need to dilute the rigor of this foreclosure, subordinating its application to the filter of sufficient material and temporal connection between proceedings. This is a criterion that entrusts the judge with the last word on the double track of sanctions. On the other hand, the Constitutional Court expands the operation of art. 649 c.p.p. overwhelming the institution of the formal competition of crimes, on the strength of the principle of autonomy between substantial and procedural declension of ne bis in idem.

SOMMARIO:

Il divieto del doppio processo tra preclusione e garanzia - Un parametro di legalità per il cumulo di sanzioni - Il dialogo delle Corti europee per riabilitare un principio di 'equità procedurale' - La cornice nazionale del ne bis in idem sostanziale - L’adeguamento interno per la censura sovranazionale del doppio binario sanzionatorio - Anche la contestazione susseguente di concorso formale cade sotto i colpi del divieto processuale - NOTE


Il divieto del doppio processo tra preclusione e garanzia

Del ne bis in idem può parlarsi in termini di preclusione di portata processuale o di tutela con valenza individuale e collettiva. Quanto alla prima accezione, è un effetto tipico del giudicato [1], una conseguenza necessaria dell’ir­revocabilità di sentenze e di decreti penali di condanna [2], un divieto svincolato dal contenuto dell’accer­tamento [3]. La cosa giudicata rappresenta l’«essenza della decisione terminativa di un giudizio» [4], ed è custodita sia nell’ambito del processo d’origine, dall’irrevocabilità del provvedimento di condanna o di proscioglimento, sia al di fuori, dall’improcedibilità dell’azione esercitata una seconda volta in ordine allo stesso fatto [5]. In questa prospettiva, il ne bis in idem è l’ingranaggio di una serratura a doppia mandata. L’art. 649 c.p.p., nel tratteggiare i lineamenti del “divieto di un secondo giudizio”, dà volto a un principio generale del sistema, che altre disposizioni garantiscono implicitamente, con rimedi di tipo preventivo o riparatorio [6]. Il divieto postula, sotto il profilo soggettivo, l’eadem persona, spiegando efficacia diretta solo nei confronti del destinatario del provvedimento [7]; dal punto di vista oggettivo, l’idem factum, ovvero il fatto giudiziale, nella rappresentazione condotta, nesso di causalità ed evento, a nulla rilevando il nomen iuris attribuito per titolo, grado o circostanze [8]. Accanto agli scopi di economia, razionalità e celerità processuali, il principio preserva prerogative sostanziali dai contenuti di più ampio respiro. L’avvio della vicenda processuale genera incertezza; la possibilità di rinnovare il processo, o di perpetuare giudizi, la incrementa; e tutto ciò minaccia sia la sicurezza dei diritti e le libertà del singolo, che la tranquillità sociale [9]. Vietare che per lo stesso fatto si svolgano nuovi procedimenti, significa assicurare la certezza delle situazioni giuridiche ivi definite [10]. Si tratta di una prerogativa civile e politica dell’individuo, nonché di un baluardo dell’ordine pubblico [11]. Esaltandone l’essenza di diritto, il ne bis in idem si presta ad interpretazioni ed applicazioni che trascendono i [continua ..]


Un parametro di legalità per il cumulo di sanzioni

Recenti pronunce delle Corti europee impiegano il ne bis in idem al fine di contenere l’operatività del doppio binario sanzionatorio, in materie quali la repressione degli abusi di mercato o delle violazioni tributarie. Come anticipato, ci si avvale dell’effetto preclusivo processuale per neutralizzare il rischio della doppia punizione che nasce sul terreno del diritto sostanziale. La discrezionalità del legislatore nazionale di punire lo stesso fatto a duplice titolo, generalmente ammessa dal diritto dell’Unione, è stata progressivamente ridimensionata dalla Corte di Strasburgo [15], in un formante giurisprudenziale inaugurato nel 2014, dal caso Grande Stevens c. Italia [16]. La fattispecie che ha consentito di vagliare il cumulo di sanzioni prescritto dalla disciplina italiana sugli abusi di mercato, concerneva una condotta di manipolazione costitutiva sia di illecito amministrativo ex art. 187-ter, d.lgs. n. 58/1998, dotata di sanzione pecuniaria comminata dalla CONSOB, sia di reato ex art. 185, d.lgs. n. 58/1998 punita con la reclusione e la multa. I giudici europei si sono avvalsi del divieto sancito all’art. 4 Prot. n. 7 Cedu, che per operare richiede i seguenti presupposti positivi: entrambi i procedimenti devono appartenere alla matière pénale; almeno uno dei due deve risultare definito con sentenza irrevocabile; devono rivolgersi al medesimo soggetto, per la contestazione dello stesso fatto storico-naturalistico [17]. Letteralmente, sembrano coincidere coi requisiti propri del ne bis in idem nazionale. Perché vi sia identità del fatto, rilevano le circostanze concrete, nei legami di spazio e di tempo (c.d. idem factum), e non la qualificazione giuridica (c.d. idem legale), in quanto risultante dalla combinazione di elementi di non univoca interpretazione e insuscettibile di omogeneità tra le diverse legislazioni nazionali, come invece sosteneva, in seno alla Corte di Strasburgo, un orientamento superato dalla Grande Camera nel 2009, caso Zolotukhin c. Russia [18]. A fare la differenza è la nozione di matière pénale, la cui definizione viene mutuata dalla giurisprudenza relativa all’equo processo ex art. 6 Cedu, in particolare, ai criteri individuati nella sentenza dell’8 giugno 1976, causa Engel e altri c. Paesi Bassi: la [continua ..]


Il dialogo delle Corti europee per riabilitare un principio di 'equità procedurale'

Nell’allinearsi alla sentenza Grande Stevens, la successiva giurisprudenza di Strasburgo si evolve nel senso di escludere l’ammissibilità del doppio binario, nell’ipotesi di procedimenti che vertano sulle medesime circostanze fattuali e che portino all’irrogazione di sanzioni che possano dirsi repressive nella loro configurazione, a prescindere dalla qualifica formalmente penale. Siffatta interpretazione trascura due profili. Il primo concerne le sue conseguenze pratiche: per taluni settori, rende in concreto inoperante il cumulo di sanzioni, così frustrando una modalità sanzionatoria che, astrattamente, l’ordinamento conven­zionale consente. Il secondo riguarda lo strumento individuato per perseguire detto risultato, l’art. 4 Prot. 7 Cedu, processuale, affidato alla valutazione giudiziale. La Corte di giustizia dell’Unione europea, già nel 2013, accendeva una spia su questi profili, nel­l’em­blematica sentenza Hans Åkerberg Fransson [24], in relazione ad un caso di frode fiscale, per l’applicazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [25]. Secondo i giudici, quest’ultima norma non osta a che uno Stato membro reagisca all’inosservanza degli obblighi dichiarativi in materia di IVA prevedendo sia sovrattasse che pene in senso stretto, poiché la libertà di scelta delle sanzioni applicabili di cui dispone gli è riconosciuta al fine di assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’IVA. Ne consegue che la violazione ricorre solo allorché la sovrattassa sia divenuta definitiva e sia di natura penale, secondo i c.d. criteri Engel [26]. Centrale è il rilievo per cui «spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard nazionali (…), circostanza che potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive». La seconda sanzione “penale” non determina sic et simpliciter la violazione, perché si affianca a quella già irrogata: dovrà essere considerata non singolarmente, in astratto, ma [continua ..]


La cornice nazionale del ne bis in idem sostanziale

Il ne bis in idem sostanziale è stato travolto da siffatta elaborazione giurisprudenziale all’atto di tradurre i dicta europei nelle categorie giuridiche italiane. Il principio, sconosciuto al diritto sovranazionale, evita che l’autore di un reato ne risponda mediante l’applicazione di più norme incriminatrici, e, di conseguenza, al pari del suo corrispondente processuale, che la risposta punitiva dello Stato possa proliferare in contrasto con i canoni di proporzione e di rieducazione della pena [37]. Il verificarsi di tale possibilità integra un concorso apparente di norme. Bisogna, però, distinguere. Il confluire sulla medesima condotta di una pluralità di norme suscettibili di regolarla può essere reale o fallace, e dare luogo, rispettivamente, ad un concorso formale di reati ovvero ad un concorso apparente di norme [38]. In entrambi i casi sussiste l’unicità della condotta, ma, nel primo caso, la doppia incriminazione è ammessa, nel secondo, non lo è [39]. Si ha concorso formale, o ideale, di reati quando un soggetto, con una sola azione od omissione, commette una pluralità di violazioni della legge penale, della medesima disposizione incriminatrice (concorso omogeneo) o di disposizioni diverse (concorso eterogeneo) [40]. La singola condotta è suscettibile di una pluralità di valutazioni giuridiche concomitanti, di una pluralità di offese [41]. Si ha concorso apparente di norme quando il convergere di più fattispecie incriminatrici sul medesimo fatto non è reale, poiché soltanto una norma si presta effettivamente a regolare la “materia”. In luogo del concorso di reati, all’unicità dell’azione corrisponde l’unicità del reato. La differenza tra concorso apparente di norme e concorso formale di reati, se risulta chiara nell’in­quadramento teorico, presenta notevoli difficoltà pratiche. Dietro l’alternativa, vi sono esigenze di razionalità e di equità di cui il legislatore si è fatto carico con la codificazione del principio di specialità: l’art. 15 c.p. stabilisce che «quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di [continua ..]


L’adeguamento interno per la censura sovranazionale del doppio binario sanzionatorio

Il concorso di norme, reale o apparente, può intercorrere, non solo tra due o più disposizioni penali, ma tra disposizione penale e illecito amministrativo, di conseguenza tra pena e sanzione amministrativa. I giudici europei hanno censurato l’iniquità sostanziale del doppio binario sanzionatorio previsto per talune fattispecie, rispetto alle quali la sanzione formalmente amministrativa ha funzione repressiva, di talché il cumulo di sanzioni maschera la duplicazione di uno stesso binario. Importando questa giurisprudenza nelle categorie del diritto penale interno, si ritiene che al centro del mirino dovesse essere un’ipotesi di bis in idem sostanziale, sicché sostanziale dovrebbe essere il tipo di rimedio da apprestare [50]. L’interferenza tra le due declinazioni di ne bis in idem si manifesta, pertanto, all’atto di valutare il significato della censura sovranazionale e di “convertire” lo strumento a tal fine utilizzato. Ora, è certo che la mancata rilevazione di quello che in Italia integra un concorso apparente di norme può portare fisiologicamente con sé un doppio giudizio, posto che entrambi presuppongono il medesimo fatto. Sia nel diritto convenzionale che unionale, l’unico strumento adatto allo scopo è stato rintracciato nel divieto di un doppio giudizio. Nell’ordinamento italiano, un’indagine sul significato della censura europea avrebbe dovuto indurre l’interprete a risolvere il problema a monte, là dove effettivamente si poneva, tra fattispecie, piuttosto che a tradurre meccanicamente l’art. 4 prot. 7 Cedu con l’art. 649 c.p.p., e così frenare la violazione di diritto sostanziale quando già divenuta doppio giudizio. Ciò sarebbe possibile o avvalendosi dei criteri di soluzione del concorso apparente di norme ovvero, e più correttamente, tramite apposito intervento del legislatore sul doppio binario nei settori sotto censura. Nel singolo giudizio la soluzione è la disapplicazione del binario che, in concreto, non sia divenuto per primo definitivo. Sul piano legislativo, per prevenire eventuali successive condanne europee, invece, le opzioni interne potrebbero essere alternativamente le seguenti: estendere l’operatività dell’art. 649 c.p.p. al rapporto tra procedimento penale e procedimento che, sotto altro nome, commini una [continua ..]


Anche la contestazione susseguente di concorso formale cade sotto i colpi del divieto processuale

La sentenza costituzionale n. 200/2016 estende il raggio di adeguamento dell’ordinamento interno ai principi europei [63]. Quanto si dirà mostra un’ulteriore possibilità di impiego della preclusione processuale per far breccia sul piano delle scelte di diritto sostanziale, possibilità a cui presta il fianco la particolare delicatezza della vicenda fattuale che dà occasione alla pronuncia, ovverosia il disastro ambientale contestato alla società Eternit. Il Gup presso il Tribunale di Torino solleva questione di legittimità dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui limita l’applicazione del divieto di un doppio giudizio al medesimo fatto giuridico nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, piuttosto che al medesimo fatto storico, con riferimento all’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 4 Prot. 7 Cedu. Secondo il giudice rimettente, infatti, il test di comparazione tra fatto giudicato e fatto oggetto di nuova azione penale dovrebbe dipendere esclusivamente dalla condotta dell’agente, ma a siffatta necessità osterebbe la giurisprudenza domestica formatasi intorno all’art. 649 c.p.p., quando, da una parte, ricerca l’identità del fatto nella coincidenza della triade condotta – nesso causale – evento [64] e, dall’altra, ne esclude l’operatività in presenza di un concorso formale di reati. La Consulta scompone la propria risposta nella valutazione dei due indirizzi giurisprudenziali menzionati. Quanto all’idem factum, niente vieta di ricondurre alla dimensione empirica elementi quali l’og­getto fisico su cui cade la condotta o l’evento [65]; considerato che la Cedu non impone agli Stati contraenti di restringere il fatto alla sfera della sola azione od omissione, gli elementi costitutivi del reato possono rappresentare criteri normativi utili al suo accertamento [66]. Incostituzionale è, invece, l’art. 649 c.p.p., nell’interpretazione che lo esclude quando il reato accertato in via definitiva sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto della nuova iniziativa da parte del pubblico ministero, nonostante l’identità del fatto [67]. La doppia incriminazione, di per sé compatibile col ne bis in idem convenzionale, non esonera l’au­torità giudiziaria [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019