Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Esecuzione penale: questioni aperte e dubbi interpretativi (di Maria Francesca Cortesi)


Il giudicato penale, grazie ai ripetuti interventi delle Sezioni Unite, sta mutando fisionomia, abbandonando i rigidi confini che, da sempre, hanno contraddistinto la sua struttura. Di fronte a tale metamorfosi è indefettibile ed urgente l’intervento del legislatore, chiamato a porre un punto fermo in una materia così delicata.

Criminal enforcement: open iusses and interpretation doubts

The res judicata, due to all the repeated bench-warrant arrests of “Sezioni Unite”, is changing fisionomy, leaving the rigid boundaries that have always distinguished its structure. In front of that metamorphis it is unwavering and urgent an interventation of the legislator, called to define such delicate matter.

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CENNI INTRODUTTIVI L’approccio interpretativo che involge la fase dell’esecuzione penale e che costituisce una premessa indefettibile nell’analisi delle sue caratteristiche anche problematiche ed oggetto di aperta discussione in dottrina ed in giurisprudenza, non può non riflettere la profonda modifica, financo concettuale, che essa ha subìto al passaggio tra la precedente codificazione e quella ora vigente. Alla originaria considerazione di una sua natura eminentemente amministrativa in cui al giudice era affidato un potere di intervento limitato e del tutto incidentale, espressione di un concetto rigido di giudicato penale, succede il doveroso riconoscimento della sua essenza giurisdizionale, riconoscimento necessitato dai nuovi equilibri dettati dalla Costituzione [1]. Se, da un lato, infatti, i principi contenuti negli artt. 13, 24, 25, 102 e 111 Cost. impongono una riserva di giurisdizione in materia di libertà della persona, su cui è destinata ad incidere anche l’attività esecutiva, dall’altro, il principio di rieducazione del condannato, cristallizzato nell’art. 27, comma 3, Cost., segna, non solo, un arricchimento dei compiti degli organi destinati ad operare nella fase esecutiva, ma, altresì, incide sulla stessa struttura processuale che muta in modo evidente fisionomia [2]. L’esecuzione della sentenza penale di condanna diventa una vera e propria fase procedimentale, che si sviluppa allorquando si esaurisce la fase della cognizione. Il concetto stesso di processo risulta così dilatato, oltre i tradizionali limiti della res iudicata, fino a ricomprendere ogni attività che si renda necessaria per dare attuazione alla decisione irrevocabile del giudice. Tramonta, dunque, l’era in cui la pronuncia giudiziale è connotata da una rigorosa immutabilità e si apre il varco ad un giudicato «flessibile, malleabile» [3], capace di recepire esigenze di giustizia sostan­ziale. Da siffatte premesse concettuali, che influenzano in modo essenziale il legislatore del 1988, si muove anche la giurisprudenza che, con un lavorio ininterrotto, ma che negli ultimi anni si è fatto sempre più significativo, ha cercato di estendere i margini di revocabilità del giudicato penale. L’analisi che segue, lungi dal possedere connotati di completezza ed esaustività, si pone l’obiettivo di segnalare alcune complesse questioni che riguardano la fase dell’esecuzione penale (con esclusivo riguardo alle funzioni di controllo del giudice sui presupposti e le condizioni legali per l’attuazione del comando contenuto nel provvedimento irrevocabile, escludendo, pertanto, i compiti propri della magistratura di sorveglianza), ove emerge la difficoltà di bilanciare contrapposte posizioni tese a limitare ovvero ad estendere l’intervento giurisdizionale in detta [continua..]

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