Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La condanna per manifestazione pacifica (non preavvisata e) con riconoscimento facciale viola i diritti fondamentali (di Orietta Bruno, Ricercatrice confermata di Procedura penale – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


La Corte e.d.u. si esprime sul ricorso presentato da un cittadino al quale viene inflitta una condanna amministrativa per aver omesso di notificare, alle autorità del suo Paese, la Russia, l’intenzione di tenere una manifestazione, in solitaria, dai tratti singolari. Denuncia l’impiego della tecnica del riconoscimento facciale, da parte della polizia, nel corso dell’inchiesta. L’organo di Strasburgo evidenzia che la registrazione sistematica e permanente dei dati personali di un individuo può costituire un’ingerenza nella vita privata, soprattutto se ad essere ripresa è la sua immagine che costituisce, appunto, uno degli attributi principali della sua personalità. Le interferenze possono essere giustificate solo se conformi alla legge e se perseguono scopi leciti: il rispetto di tali condizioni è tanto più doveroso quando si tratta di salvaguardare profili sensibili destinati al trattamento automatizzato; nell’ambito di que­st’ultimo, occorre disporre norme chiare e di dettaglio che disciplinino la portata e l’applicazione delle misure, nonché alcune garanzie minime riguardanti la durata, la conservazione, l’utilizzo e l’accesso ai dati da parte di terzi, le modalità di distruzione così come i meccanismi per preservare la loro integrità e riservatezza. Il che, impedisce abusi ed arbitrarietà. Ma, nell’ordinamento giuridico russo, segnalano i Giudici, per un verso, non vi sono confini effettivi, sostanziali e procedurali circa l’impiego di tecnologie di riconoscimento facciale e, per l’altro, l’uso di esse, nei confronti del ricorrente, perseguito soltanto per un “mero” illecito amministrativo, non può essere considerato “necessario” in una società democratica (riscontrandosi, di conseguenza, una violazione dell’art. 8 Cedu). La sentenza, precorritrice del recente accordo UE in tema di AI e di riconoscimento facciale, nonché di una recente pronuncia della Corte di giustizia UE, stimola una più ampia riflessione sul ruolo che simile metodica può rivestire nel processo penale; è di larga gittata, ergendosi a “pilota” in riferimento alla eventuale legiferazione dei singoli Stati contraenti in materia, oltre che a limite quanto alla spendita delle risultanze dell’indagine in fase accertativa: ove compiute in assenza delle suesposte tutele.

Conviction for peaceful demonstration (unannounced and) with facial recognition violates fundamental rights

The European Court of Human Rights (ECtEU) ruled on the appeal lodged by a citizen who was given an administrative sentence for failing to notify the authorities of his country, Russia, of his intention to hold a solo demonstration with unusual features. It denounces the use of the facial recognition technique, by the police, during the investigation. The Strasbourg body points out that the systematic and permanent recording of an individual’s personal data may constitute an interference with his private life, especially if it is his image that is one of the main attributes of his personality. Interference can only be justified if it complies with the law and pursues lawful purposes: compliance with these conditions is all the more imperative when it comes to safeguarding sensitive profiles intended for automated processing; in the latter, clear and detailed rules must be laid down governing the scope and application of the measures, as well as certain minimum guarantees concerning the duration, storage, use of and access to the data by third parties, the methods of destruction, and the mechanisms for preserving their integrity and confidentiality. This prevents abuse and arbitrariness. However, in the Russian legal system, the Judges point out, on the one hand, there are no effective, substantive and procedural boundaries regarding the use of facial recognition technologies and, on the other hand, the use of them against the applicant, prosecuted only for a ‘mere’ administrative offence, cannot be considered ‘necessary’ in a democratic society (thus, finding a violation of Article 8 ECHR). The judgment, a precursor of the recent EU agreement on the subject of AI and facial recognition, as well as the recent ruling of the EU Court of Justice, stimulates a broader reflection on the role that such a method can play in criminal proceedings; it is wide-ranging, standing as a “pilot” with reference to the possible legislation of the individual Contracting States on the subject, as well as a limitation with regard to the use of the results of the investigation in the ascertainment phase: where carried out in the absence of the above-mentioned protections.

  La Corte e.d.u. sull’utilizzo della tecnologia del riconoscimento facciale   MASSIMA: Un cittadino russo, autore di una manifestazione politica in solitaria, tenuta all’interno della metropolitana di Mosca, senza determinare alcun pericolo per la sicurezza dei trasporti e l’ordine pubblico, viene condannato per un illecito amministrativo poiché non comunica, preventivamente, la sua protesta pacifica. Per accertare la responsabilità, vengono utilizzate le telecamere a circuito chiuso che, presenti nella stazione della metropolitana, immortalano il transito del ricorrente. Più esattamente, processando i relativi fotogrammi, registrati tramite la tecnologia del riconoscimento facciale, la polizia riesce, in breve, a identificare, localizzare e arrestare costui. Ad avviso della Corte di Strasburgo, il trattamento dei dati personali biometrici del soggetto si traduce in una interferenza ingiustificata nella sua vita privata: la metodica del riconoscimento facciale dal vivo è uno strumento intrusivo; pertanto, esige un alto livello di giustificazione per risultare “necessario” in una società democratica. Tale requisito – per i Giudici – non è ravvisabile nella specie in quanto il contestatore viene punito per un crimine minore che non comporta alcuna situazione di pericolo.   PROVVEDIMENTO: (Omissis). Art. 10 – Libertà di espressione – Illecito amministrativo – omissis – condanna di un manifestante pacifico solitario che utilizza […] una figura di cartone a grandezza naturale di un attivista politico – (Omissis) – mancata notifica preventiva, (Omissis) dimostrazione [,] da parte delle autorità [,] del necessario grado di tolleranza, (Omissis) presentazione di “ragioni pertinenti o sufficienti”. Art. 8 – Vita privata – Trattamento ingiustificato di dati biometrici (Omissis) mediante l’uso di una tecnologia di riconoscimento facciale altamente intrusiva in un procedimento amministrativo al fine di identificar[e], localizzar[e] e arrestar[e] [ndr: un soggetto] – [L’u]so di tale [meccanismo] per identificare e arrestare (Omissis) manifestanti pacifici (Omissis) può avere un effetto di raffreddamento dei diritti alla libertà di espressione e di riunione –[N]ell’implementazione della tecnologia di riconoscimento facciale, [v’è la] necessità di norme dettagliate (Omissis) che disciplinino la portata e l’applicazione delle misure, nonché di forti garanzie contro il rischio di abuso e di arbitrarietà – Necessità ancora maggiore di salvaguardie quando si utilizza la [metodica] di riconoscimento facciale dal vivo –L’interferenza non corrisponde a una “pressante esigenza sociale”. STRASBURGO 4 luglio 2023 (Omissis) Nel caso Glukhin c. Russia, La Corte [continua..]

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SOMMARIO:

1. Rilievi introduttivi - 2. La decisione: in sintesi - 3. Le motivazioni in sintesi - 4. I precedenti - 5. La presunta violazione dell’art. 10 Cedu - 6. … e dell’art. 8 Cedu - 7. Riflessioni “in calce” - NOTE


1. Rilievi introduttivi

Dopo anni di imbarazzanti silenzi, il terreno viene finemente arato, sia in letteratura, che in giurisprudenza. Restano, nondimeno, profili inesplorati e alcuni nodi da sciogliere in chiave sovraordinata e convenzionale. Del resto, il riconoscimento facciale, noto con gli acronimi “TRF” e “SARI”, è tecnica investigativa avulsa dalla cornice ordinamentale nonostante impieghi disinvolti [1]. Per non incorrere in equivoci, giova ricostruire, in linea di sintesi, di cosa si tratta. È una metodica che si aggiunge al complesso di dotazioni tecnologiche a disposizione della polizia per la sorveglianza e la sicurezza [2] e funge da supporto nell’inchiesta; si basa sul funzionamento di due algoritmi [3] di elaborazione delle immagini che consentono di raffrontare l’identità ignota di un volto raffigurato in un’immagine fotografica con quelle di milioni di soggetti foto segnalati. La procedura comparativa permette di circoscrivere la cerchia dei sospettati grazie alla elaborazione di un elenco di volti selezionati e ordinati per grado di similarità, se non addirittura di individuare quello perfettamente sovrapponibile. In concreto, il meccanismo di AI che connota il software percepisce le cd. impronte facciali (faceprint), o un certo numero di tratti, quali la posizione degli occhi, del naso, delle narici, del mento, delle orecchie e, per il loro tramite, elabora un esemplare di biometria teso al riconoscimento. Quest’ultimo, in ragione degli obiettivi perseguiti, può avvenire in alternanza. Esiste, in primis, la verifica biometrica (il soggetto dichiara la propria identità e il sistema effettua un confronto “uno a uno” tra il modello biometrico rilevato e quello memorizzato coincidente con quello affermato): in caso di esito positivo del raffronto, il controllo sull’identità è compiuto e può farsi luogo alla successiva azione tecnica, differente in caso di accesso fisico o logico, che rappresenta lo scopo ultimo e corretto del trattamento biometrico. Segue la identificazione biometrica (il parallelo avviene “uno a molti” tra quanto acquisito e tutti i modelli disponibili per scoprire l’identità del soggetto). Si rinviene (proprio) nel SARI allorché i dati vengono elaborati per la identificazione biometrica del soggetto sconosciuto; la sua immagine, mercé l’estrazione del [continua ..]


2. La decisione: in sintesi

In questo panorama denso di incertezze, che non riguarda solo il nostro Paese, si inserisce la pronuncia in disamina. Dopo un ragionamento logico-giuridico articolato, favorito da richiami normativi e giurisprudenziali, la Corte di Strasburgo [1] afferma che, nell’art. 10 Cedu, teso a salvaguardare la libera manifestazione del pensiero, confluiscano, non solo la parola detta oralmente o per iscritto, ma anche le idee e le opinioni inoltrate con mezzi non verbali o tramite il comportamento di una persona. L’accompagnamento di un individuo alla stazione di polizia, l’arresto e la condanna amministrativi integrano, dunque, un’interferenza con il suo diritto alla libertà di espressione ove questi manifesti pacificamente e in modo non dirompente. Del resto, si puntualizza, nella specie, si è di fronte ad una sanzione comminata dalle autorità per una contestazione in solitaria che non si connota per alcun atto riprovevole come l’intralcio al traffico, il danneggiamento di proprietà o di violenza e attribuita senza dimostrare che le azioni del soggetto abbiano generato una grave perturbazione della vita ordinaria e/o di altre attività in misura superiore a quella normale, ovvero un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dei trasporti. Mentre, occorre mostrare l’adeguato grado di tolleranza nei confronti di esternazioni prive di conseguenze, astraendo gli elementi di rilievo. La delucidazione si pone come antesignana in merito gli impieghi della metodica accertativa del riconoscimento facciale [2]: è strumento altamente intrusivo nel perimetro della Cedu la quale riconosce il diritto alla libertà di espressione nei termini suesposti e stride con gli ideali ed i valori di una società democratica governata da uno Stato di diritto [3]. Per tale motivo, il trattamento dei dati biometrici personali dell’individuo, attraverso il meccanismo d’indagine di cui si discute, nell’ambito di un procedimento per illecito amministrativo, in primis, per identificare la persona dalle fotografie e dai video pubblicati (nell’occasione, sulla piattaforma Telegram) in secondo luogo, per localizzarla e arrestarla mentre si trova nella metropolitana della città di Mosca, non può definirsi, per la Corte, ingerenza che corrisponde ad una “pressante” esigenza in una collettività garantista; anzi, può avere [continua ..]


3. Le motivazioni in sintesi

Il discorso che precede il suesposto epilogo si presenta solido e corposo e viene smaltito lungo binari sin troppo gremiti, ma che meritano di essere (ri)percorsi. Nel 2020, un cittadino russo, Nicolay Sergeyevich Glukhin, propone, ex art. 34 Cedu, ricorso nei confronti della Federazione Russa: l’inosservanza riguarderebbe gli artt. 6, § 1, 8 e 10 Cedu. Questi, in effetti, viene condannato in sede amministrativa per non aver notificato alle autorità l’intento di organizzare una manifestazione pacifica, in solitaria, servendosi di un oggetto rapidamente (de)assemblato [1]. Nel corso dell’inchiesta, ci si avvale del riconoscimento facciale per trattare i dati personali del ricorrente; in particolare, nel carteggio, emerge un “monitoraggio Internet” dell’unità anti-estremismo della polizia metropolitana di Mosca il quale rivela la fotografia di un uomo, in stazione, con una figura umana, in cartone, che mantiene uno striscione. Lo stesso organismo, nel prosieguo, stampa e conserva le schermate di un canale Telegram pubblico riportante foto e una ripresa del ricorrente attestanti l’avvenuta manifestazione e le modalità (Cap. 26 CAO, §§ 26-27), ottiene le registrazioni video dalle telecamere a circuito chiuso installate in alcune stazioni di Chistye Prudy e Sretenskiy Bulvar e, dopo averle visionate, effettua screenshot dell’immagine di costui, quindi li stampa e archivia nel fascicolo. Da ultimo, sempre l’unità in questione, conduce una “attività di ricerca operativa” per individuare l’uomo nelle fotografie e nel video pubblicati su Telegram, lo identifica e stabilisce la sua residenza. Il Sig. Glukhin viene, per conseguenza, arrestato e la polizia gli riferisce che è stato identificato dalle telecamere a circuito chiuso installate, per il riconoscimento facciale, nella metropolitana di Mosca. Costui, nel gravare il provvedimento, lamenta, in prima battuta, che le attività di ricerca operativa svolte per identificarlo sono illegittime in quanto la legge di interesse le nega per i reati di natura amministrativa [2]. Ma, il Trib. di Mosca conferma la condanna in appello in virtù di considerazioni tra le quali spicca, per quanto di rilievo, che il reato viene scoperto grazie a prove raccolte in ossequio alla legge di polizia. La Corte, investita, richiama la disciplina sul trattamento dei dati [continua ..]


4. I precedenti

Per avallare e irrobustire il proprio convincimento, la Corte offre (anche) uno spaccato delle innumerevoli pronunce giurisprudenziali sul tema. In effetti, secondo la prassi consolidata della CGUE, le deroghe e i limiti in materia di protezione dei dati personali, devono operare «nella misura strettamente necessaria»; questo mette al bando i mezzi intrusivi nel settore, mentre va favorito il ricorso a strumenti alternativi idonei a raggiungere l’obiet­tivo. I meccanismi approntati dal legislatore devono essere differenziati ed adoperati a seconda degli individui oggetto di osservazione (si pensi alla lotta ai reati gravi): un loro uso indistinto, accresce l’in­terferenza la quale si rinvigorisce quando il trattamento dei dati concerne una “fetta” significativa della popolazione. La salvaguardia dei dati personali derivante dall’obbligo esplicito di cui all’articolo 8, § 1, della Cedu è direttamente proporzionale al diritto al rispetto della vita privata sancito dall’articolo 7 stesso provvedimento. Pertanto, occorrono norme chiare e precise che disciplinino la portata e l’applicazione della misura di cui si discute e stabiliscano garanzie bastevoli affinché i dati personali vengano protetti dal rischio di abuso e da qualsiasi accesso ovvero uso illecito di tali fattori. L’esigenza di apprestare dette tutele accresce quando i dati personali sono soggetti ad un trattamento automatico ed esiste un rischio significativo di accesso illecito agli elementi in questione. Contribuisce a realizzare una tutela piena dell’individuo anche l’autorizzazione interna o esterna, ad esempio giudiziaria, circa l’impiego dell’TRF: è sintomo di sicurezza, integrità e riservatezza e si rivela indispensabile in casi di grave ingerenza. Poi, le previsioni allestite devono essere adattate alla vicenda di specie: quantità di dati trattati, natura e rischio di accesso illegale degli stessi [1]. Sempre la giurisprudenza univoca della CGUE, ricorda la Corte, asserisce che spetta alla legge fissare le condizioni sostanziali, procedurali e i criteri oggettivi con cui determinare i limiti dell’accesso delle autorità competenti ai dati e il loro successivo utilizzo: ai fini della prevenzione, dell’individuazione o dell’azione penale, gli illeciti per i quali può farsi luogo al riconoscimento facciale devono [continua ..]


5. La presunta violazione dell’art. 10 Cedu

La Corte passa, quindi, ad argomentare sulle doglianze del ricorrente agganciandosi ai suoi precedenti. Questi lamenta, innanzitutto, la violazione dei suoi diritti ai sensi degli artt. 10 e 11 Cedu. [1]: l’esame, considerato ricevibile il ricorso, viene condotto in relazione all’art. 10 Cedu [2], tenendo conto dei principi generali stabiliti nel contesto dell’articolo 11 analogo provvedimento [3]. Scendendo nel dettaglio, va detto che il ricorrente sostiene l’illegittimità della sua condanna per non aver presentato una notifica preventiva per la sua manifestazione in solitaria. La figura di cartone del signor Kotov è costituita da un unico pezzo di cartone e non può, dunque, essere considerato un “oggetto rapidamente (de)assemblato” (rectius: deassemblabile); in quanto tale, non è tenuto a rendere noto, alle autorità, la sua contestazione personale. In ogni caso, le disposizioni applicabili non soddisfano il requisito della “qualità del diritto”, le autorità nazionali mostrano tolleranza zero nei confronti della sua manifestazione pacifica in solitaria, il suo arresto, alcuni giorni dopo la stessa, non è giustificata da alcuna necessità sociale urgente, le autorità nazionali non fanno alcuna valutazione dei rischi posti dalla polemica messa in atto, né verificano se fosse necessario arrestarlo e condannarlo. Tralasciando la replica del Governo e focalizzandosi sul tema di fondo, va rimarcato che, a sentire la Corte, il circuito dell’art.10 Cedu non si appiattisce sulla parola parlata o scritta, poiché le idee e le opinioni possono essere comunicate anche con mezzi di espressione non verbali o attraverso il comportamento di una persona [4]. Vista la natura e il contesto del comportamento del ricorrente, che con le sue azioni cerca di esprimere la propria opinione su un problema di interesse pubblico, vi è poco spazio per le restrizioni di cui all’art. 10, § 2, Cedu. Pertanto, l’accompagnamento del ricorrente alla stazione di polizia, l’arresto amministrativo e la condanna per un illecito di comparto partoriscono un’interferenza con il suo diritto alla libertà di espressione [5]. Per quanto riguarda invece il criterio “prescritto dalla legge”, la disposizione sugli “oggetti rapidamente (de)assemblati” non contiene alcun [continua ..]


6. … e dell’art. 8 Cedu

Il ricorrente si duole, poi, che il trattamento dei suoi dati personali, nella sfera amministrativa, avvenuto anche con il ricorso alla tecnologia del riconoscimento facciale, contrasta con il suo diritto al rispetto della vita privata. Dunque, invoca l’art. 8 Cedu [1]. Anche da tale angolo prospettico, i Giudici considerano il ricorso non manifestamente infondato né irricevibile per altre ragioni di cui all’art. 35 Cedu. Nello specifico, costui sostiene di essere stato ripreso dalle telecamere a circuito chiuso installate nella metropolitana di Mosca, identificato grazie alla tecnologia di riconoscimento facciale e, nel prosieguo, condannato per un illecito amministrativo sulla base delle prove così ottenute. Non vi è stata alcuna decisione giudiziaria che autorizzasse la raccolta, l’archiviazione e l’uso delle riprese video che lo riguardavano. Eppure, la legge sulla polizia e il decreto n. 410, quali “base giuridica” per l’interferenza, non accontentano il requisito della “qualità del diritto”: sono troppo vaghi e non esigono né un’auto­rizzazione giudiziaria preventiva, né un controllo di analogo tenore successivo. Afferma che l’inge­renza con il suo diritto al rispetto della vita privata non persegue alcuno scopo legittimo e non è “necessario” in una società democratica: il solo motivo che la consente è di aver organizzato una manifestazione, pacifica, in solitaria. La Corte di Strasburgo, accantonate le eccezioni governative, ribadisce, con forza, che la dicitura “vita privata” è ad ampio spettro e non suscettibile di perimetri definitori esaustivi: può abbracciare molteplici aspetti dell’identità fisica e sociale della persona e non concerne (solamente) “cerchia ristretta” in cui il singolo può vivere senza interferenze esterne, ma annovera anche il diritto di condurre una cd. “vita sociale privata”, vale a dire la possibilità di stabilire e sviluppare relazioni con gli altri e con il mondo esterno (: non esclude le attività che si svolgono in un ambito pubblico). V’è, quindi, una zona di interazione di una persona con altri, anche in un contesto pubblico, che può rientrare comunque nella “vita privata” in ottica convenzionale [2] e la pura memorizzazione di dati relativi alla [continua ..]


7. Riflessioni “in calce”

Il tema della possibile applicazione dell’intelligenza artificiale al processo, fino a qualche tempo addietro inedito, rimbalza, senza soluzione di continuità, nelle sedi istituzionali, pure europee ed internazionali, negli innumerevoli contributi degli interpreti ed operatori e incuriosisce il settore giornalistico. Si profila, in origine, riguardo alla c.d. “giustizia predittiva” ovvero alla possibilità di formulare previsioni sull’esito di una controversia attraverso la stima algoritmica delle correlazioni tra enormi quantità di dati tratti da precedenti decisioni giudiziarie adottate in casi analoghi [1]. Mentre, attualmente, il ricorso all’AI, nel processo penale, cerca di farsi strada a più livelli. Tentando un approccio definitorio, si può affermare che l’artificial intelligence è «la capacità di un sistema tecnologico di fornire prestazioni assimilabili a quelle della intelligenza umana, ossia l’a­bilità di risolvere problemi o svolgere compiti e attività tipici della mente e del comportamento [della persona]»; nei sistemi più avanzati, oltre a garantire la «capacità di trattazione automatizzata di enormi quantità di dati» (c.d. big data) ed a «fornire le risposte per le quali sono stati programmati», essa permette «anche di acquisire, sulla base di appositi algoritmi di apprendimento, l’attitudine a formulare previsioni o effettuare valutazioni» [2]. I sistemi automatici, che operano per mezzo di software progettati sul modello delle reti neuronali del cervello umano, sono sfruttati negli ambiti più disparati e, per quel che rileva in questa sede, anche per il riconoscimento di un volto. Infatti, le diatribe, incoraggiate dalle implicazioni filosofiche, etiche e giuridiche circa la figura del “giudice digitale”, hanno collocato in secondo piano il fatto che l’intelli­genza artificiale sia una realtà già acquisita al sistema sebbene in relazione ad un contesto diverso da quello attinente le dinamiche decisorie, appunto, il riconoscimento di immagini [3]. La metodica investigativa – la sentenza che si annota lo conferma – fa registrare abusi ed insidie, sia per la elevata probabilità di sviluppo di risultati non attendibili e, dunque, di identificazioni non corrette, frutto di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2024