Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Soluzione nomofilattico-interpretativa e poteri del Giudice dell'esecuzione in caso di imprevedibilità ed inaccessibilità della legge (di Pasquale Raucci, Dottore di ricerca in Diritto processuale penale – Università della Campania Luigi Vanvitelli)


Per giurisprudenza consolidata, a seguito di overruling giudiziario, pur anche in bonam partem, il Giudice del­l’e­secuzione non può mai incidere sul giudicato penale ordinando la revoca della sentenza penale di condanna ex artt. 666-673 c.p.p. Tali norme del codice di rito attribuiscono, infatti, natura obbligatoria all’intervento del giudice dell’esecuzione, solo in presenza d’una abolitio criminis. Ciò in quanto un sistema giuridico di civil law, quale il nostro ordinamento, contempla una netta separazione tra “legge” e “sentenza” tale per cui il concetto di legalità penale non può essere esteso fino a ricomprendere anche le pronunzie giurisprudenziali, nonostante che per la Corte e.d.u. il concetto di “law” possa ricomprendere tanto il diritto scritto quanto quello di matrice giudiziale.

Orbene, nel presente studio si affronta una diversa – sebbene per certi versi affine – prospettiva, costituita dal­l’intervento del giudice di legittimità volto a dirimere un conflitto interpretativo, di portata tale per cui si potesse dire che i presupposti di “accessibilità” e “prevedibilità” della legge fossero minati. In effetti, è noto che tali presupposti della legge sono considerati indispensabili ai sensi del diritto pattizio ex art. 7 Cedu. Se, allora, il diritto positivo per come (diversamente) interpretato non mette i consociati in condizione di prevedere ragionevolmente le conseguenze delle proprie scelte, una volta accertata tale situazione di fatto, dovrebbe consentirsi a che una sentenza nomofilattica che metta fine a tale conflitto interpretativo e chiarisca i (profondi) dubbi ermeneutici costituisca un “nuovo elemento di diritto” sulla scorta del quale riconoscere al giudice dell’esecuzione il potere di incidere sul giudicato.

Nomophylactic-interpretational solution and powers of the Judge of the execution in case of unpredictable and inaccessibility of the law

According to consolidated jurisprudence, following judicial overruling, even if also in bonam partem, the Judge of the execution can never affect the criminal judgment by ordering the revocation of the criminal sentence pursuant to articles 666-673 c.p.p. In fact, these provisions of the code of procedure attribute a mandatory nature to the intervention of the Judge of the execution, only in the presence of an abolitio criminis. This is because a legal system of civil law, such as our legal system, contemplates a clear separation between “law” and “judgment” such that the concept of criminal legality cannot be extended to include also jurisprudential rulings, despite the fact that the ECtHR the concept of “law” can include both written law and that of judicial origin.

However, in the present study we deal with a different – although in some ways similar – perspective, consisting of the intervention of the judge of legitimacy aimed at settling an interpretative conflict, of such an extent that it could be said that the assumptions of “accessibility” and “foreseeability“ of the law were undermined. In fact, it is known that these presuppositions of the law are considered indispensable pursuant to the contractual law pursuant to art. 7 of the ECHR. If, then, the positive law as (differently) interpreted does not put the associates in a condition of reasonably foresee the consequences of one’s choices, once this factual situation has been ascertained, it should be allowed that a nomophylactic sentence that puts an end to this interpretative conflict and clarifies the (profound) hermeneutical doubts constitutes a “new element of law” on the basis of which recognize the enforcement judge the power to affect the final judgment

SOMMARIO:

1. L’overruling giudiziario e i poteri del giudice dell’esecuzione - 2. Il concetto di «legge» in ambito internazionale rilevante ex art. 666 c.p.p. - 3. Accertata mancanza di “prevedibilità” ed “accessibilità” della legge: la soluzione del contrasto interpretativo quale (possibile) “nuovo elemento di diritto” rilevante ex art. 666, comma 2, c.p.p. - 4. Un caso paradigmatico di possibile riqualificazione giuridica del fatto ad opera del giudice dell’esecuzione - NOTE


1. L’overruling giudiziario e i poteri del giudice dell’esecuzione

È noto, in particolar modo a partire dalla sentenza n. 230/2012 della Corte costituzionale [1], così come nella più recente sentenza n. 25/2019 [2], che al giudice dell’esecuzione non sia consentito di intervenire per la rimozione del giudicato ex art. 673, comma 1, c.p.p. in ragione di un mutato orientamento giurisprudenziale (cd. overruling), pur adottato con pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione [3]. Prima di tale pronuncia, tuttavia, si sono registrati orientamenti differenti nella giurisprudenza di legittimità. In effetti, è stato sostenuto il principio secondo cui il Giudice dell’esecuzione ha il potere di rimuovere il giudicato allorquando una nuova pronuncia della Cassazione, meglio se a sezioni unite stante il vincolo processuale di cui all’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., formuli un principio di diritto in bonam partem, in conformità all’interpretazione del concetto di legge penale fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella specie, il Supremo Consesso ha affermato che «l’obbligo di interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo impone di includere nel concetto di nuovo “elemento di diritto”, idoneo a superare la preclusione, di cui al secondo comma dell’art. 666 cod. proc. pen., anche il mutamento giurisprudenziale che assume, specie a seguito di un intervento delle sezioni unite, carattere di stabilità e integra il “diritto vivente”. Tale operazione ermeneutica si rende necessaria ed è doverosa nel caso in cui è funzionale a garantire il rispetto di diritti fondamentali, riconosciuti anche da norme comunitarie o sopranazionali a carattere imperativo, di fronte ai quali la citata preclusione, che ha natura e funzione diverse dal giudicato, non può che essere recessiva» [4]. Su tale scia interpretativa, è stato successivamente affermato che «Il mutamento di giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni unite o anche di una delle Sezioni della Corte di cassazione, purché connotato da caratteristiche di stabilità e univocità, integra un “nuovo elemento” di diritto, che rende ammissibile la riproposizione in sede esecutiva della richiesta di revoca della confisca in precedenza rigettata» [5]. In tali pronunce la Cassazione assume come interrogativo [continua ..]


2. Il concetto di «legge» in ambito internazionale rilevante ex art. 666 c.p.p.

Ferma restando la inesistenza di una norma interposta, ex art. 117 Cost. in relazione all’art. 7, par. 1, Cedu o, soprattutto, in forza dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di Strasburgo, che postuli la rimozione delle sentenze di condanna passate in giudicato per effetto del sopravvenire di una innovazione giurisprudenziale favorevole al reo [20], è utile comunque verificare quale sia il concetto di «law» ai sensi delle norme sovranazionali, nonché i suoi imprescindibili connotati, ai sensi e per gli effetti dell’art. 666 c.p.p. Disposizione rilevante sul punto è, in primis, l’art. 7 Cedu [21], oltre che l’art. 15, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici [22]. Quanto alle interpretazioni fornite dalla Corte e.d.u., è rilevante verificare come l’espressione «diritto» contenuto nell’art. 7 sia tale da ricomprendere tanto la legge scritta quanto gli orientamenti giurisprudenziali, che ovviamente però siano connotati da una certa stabilità e dunque prevedibilità. In effetti, orientamento consolidato della Corte europea è quello in virtù del quale la nozione di «diritto» («law»), utilizzata nella norma pattizia, deve considerarsi comprensiva tanto del diritto di produzione legislativa che del diritto di formazione giurisprudenziale. Tale lettura «sostanziale», e non già «formale», del concetto di «legalità penale», se pure stimolata dalla necessità di tenere conto dei diversi sistemi giuridici degli Stati parte – posto che il riferimento alla sola legge di origine parlamentare avrebbe limitato la tutela derivante dalla Convenzione rispetto agli ordinamenti di common law – è stata ritenuta valevole dalla Corte europea anche in rapporto agli ordinamenti di civil law, alla luce del rilevante apporto che pure in essi la giurisprudenza fornisce all’individuazione dell’esatta portata e all’evoluzione del diritto penale [23]. Per la Corte e.d.u., allora, l’aspetto da segnalare tanto per il “diritto positivo” quanto per quello “giurisprudenziale” ha riguardo alle condizioni di “accessibilità” e “prevedibilità”. La Corte di Strasburgo, in effetti, ha avuto modo di affermare che la nozione di [continua ..]


3. Accertata mancanza di “prevedibilità” ed “accessibilità” della legge: la soluzione del contrasto interpretativo quale (possibile) “nuovo elemento di diritto” rilevante ex art. 666, comma 2, c.p.p.

Ferma restando la inidoneità dell’overruling in quanto tale a costituire quel novum in termini di “elemento in diritto” (condizioni necessarie e sufficienti per adire il giudice dell’esecuzione ex art. 666, comma 2, c.p.p., in specie ai fini di cui all’art. 673, comma 1, c.p.p., e dunque ai fini della rimozione del giudicato) ci si deve a questo punto interrogare sul se la stessa sorte debba essere riservata ai casi in cui sia riscontrabile un “conflitto di interpretazioni” giurisprudenziali, anche – ed eventualmente – poi risolto da un intervento nomofilattico delle sezioni unite. In questo caso, in effetti, a differenza che di un “mero overruling”, in cui per definizione esiste ed è certo un determinato orientamento interpretativo del dato positivo, nella segnalata ipotesi di “contestuali interpretazioni contrastanti” del dato medesimo normativo, una effettiva certezza non esiste. In tali evenienze, allora, potrebbe inverarsi la situazione per cui la “legge” sia carente dei requisiti di “accessibilità” e “prevedibilità” come indicati dalle norme ed orientamenti sovranazionali; ovvero, sotto differente angolo prospettico, risulti essere “oscura” e comunque di difficile o addirittura impossibile determinazione dell’esattezza del contenuto o dei suoi effetti. Tali differenti, ma speculari, situazioni concernono – il primo – l’ambito della ontologica costruzione del dettato normativo, mentre – il secondo – l’aspetto soggettivo del lettore della norma. Quanto al secondo profilo, già una storica sentenza del Giudice delle Leggi ha avuto modo di affermare che «l’assoluta, “illuministica” certezza della legge sempre più si dimostra assai vicina al mito: la più certa delle leggi ha bisogno di “letture” ed interpretazioni sistematiche che (dato il rapidissimo succedersi di “entrate in vigore” di nuove leggi e di abrogazioni, espresse o tacite, di antiche disposizioni) rinviano, attraverso la mediazione dei c.d. destinatari della legge, ad ulteriori “seconde” mediazioni» [35]. L’analisi del requisito dell’”inevitabilità” dell’errore sul divieto, secondo siffatta giurisprudenza costituzionale, deve essere condotta secondo criteri oggettivi tra [continua ..]


4. Un caso paradigmatico di possibile riqualificazione giuridica del fatto ad opera del giudice dell’esecuzione

La storia giudiziaria ci consegna un caso paradgmatico di giurisprudenza conflittuale in punto di sussunzione di un fatto concreto nella sua fattispecie astratta: “la falsa attestazione circa la esenzione dal ticket sanitario”. Si vedrà come tale condotta materiale sia stata (troppo) diversamente qualificata giuridicamente dalla giurisprudenza, anche di legittimità, sino alla emanazione di ben due pronunce della Suprema Corte a sezioni unite che, attraverso una effettiva opera di finium regundorum, ne ha identificato i confini di responsabilità e qualificazione giuridica. Ci si riferisce, in particolare alle sentenze emesse da Cassazione penale, sez. unite, sentenza 27 aprile 2007, n. 16568 [49] e Cassazione penale, sez. unite, sentenza 25 febbraio 2011, n. 7537 [50]. Cass. pen., sez. un., sentenza 27 aprile 2007, n. 16568 Con il principio di diritto espresso dalle sezioni unite del 2007 si è risolto il contrasto interpretativo riferito alla esatta determinazione del confine delle norme di cui ai reati di Truffa aggravata (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.), Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (640-bis c.p.) e Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (316-ter c.p.); ma anche la questione circa l’oggetto del reato, ovvero se sia possibile ricomprendere in essi anche prestazioni di tipo assistenziale. Sicché, è stato ivi affermato il seguente principio di diritto: «I delitti di cui agli art. 316 ter e 640 bis c.p., configurabili entrambi, diversamente dal delitto previsto dall’art. 316 bis c.p., anche nel caso di indebita erogazione di contributi di natura assistenziale, sono in rapporto di sussidiarietà e non di specialità. Sicché il residuale e meno grave delitto di cui all’art. 316 ter, che diversamente da quello di cui all’art. 640 bis c.p. assorbe anche i delitti di falso ideologico previsto dall’art. 483 c.p. e di uso di atto falso previsto dall’art. 489 c.p., è configurabile solo quando difettino nella condotta gli estremi della truffa» [51]. In altre parole, sia l’art. 316-ter che l’art. 640-bis c.p. sono configurabili anche per “prestazioni assistenziali”, liddove il 316-ter sussiste allorquando difettino gli elementi tipici della truffa e, dunque, quando l’errore sia stato effettivamente determinato nella vittima, ma senza uso di [continua ..]


NOTE