Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Il ne bis in idem transnazionale, un diritto in cerca d'identità (di Violette Sirello, Dottoranda di ricerca in Scienze giuridiche – Università degli Studi di Firenze)


Muovendo dalla consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, nonché dalla tutela offerta in ambito euro-unitario, l’articolo ambisce a individuare la sfera operativa del ne bis in idem transnazionale – diritto riconosciuto dagli ordinamenti democratici, eppure ancora sfuggente.

Mentre nello spazio europeo il divieto di doppio giudizio si è progressivamente svincolato dal principio di territorialità per affermarsi come diritto fondamentale, così non è nei rapporti con gli Stati extra-UE: qui, il ne bis in idem transnazionale è rimasto ancorato alle previsioni convenzionali di volta in volta applicabili, assumendo una portata “a geometria variabile”.

Nell’analizzare i riflessi del diritto in parola sui limiti alla pretesa punitiva dell’Italia ex art. 11 c.p. e alla consegna della persona già definitivamente giudicata, l’articolo verifica la perdurante attualità degli odierni approdi giurisprudenziali, prospettandone il superamento al fine di estendere la tutela dei diritti fondamentali

The transnational ne bis in idem, a right questing its identity

The paper focuses on the operational scope of the transnational ne bis in idem, a right recognized by democratic systems but still elusive.

While in the context of the EU area of freedom, security and justice (AFSJ) the prohibition of double jeopardy has freed itself from the principle of territoriality, beginning to be recognized as a fundamental right, this is not the case in the relations with non-EU member States: here, the transnational ne bis in idem is still anchored to the conventional provisions applicable on a case-by-case basis, assuming a ‘variable geometry’ scope.

In analyzing the reflections of double jeopardy on the limits to Italy’s punitive claim under Article 11 of the Criminal Code, as well as on the surrender of a person who has already been definitively judged, the paper verifies the enduring relevance of jurisprudential approaches, envisaging their overcoming in order to extend the protection of fundamental rights.

SOMMARIO:

1. Vecchie resistenze e nuovi scenari - 2. L’affermazione del diritto nell’Unione Europea: un cammino tortuoso ma necessitato - 3. Il giudicato nel labirinto dei rapporti fra Stati - 4. Gioco di prospettive sulla perdurante compatibilità costituzionale dell’art. 11 c.p. - NOTE


1. Vecchie resistenze e nuovi scenari

Sin dall’epoca classica [1], la necessità di allestire una garanzia contro doppi (o multipli) processi relativi al medesimo fatto a carico della medesima persona era emersa prepotentemente. E che tale garanzia sia stata, nel tempo, inglobata nel nocciolo duro dei diritti fondamentali risulta da numerose carte sovranazionali [2] e, ancor più, dal riconoscimento conferitole dalla maggior parte degli ordinamenti [3]. Presidio del giudicato e, dunque, di esigenze di certezza, il ne bis in idem [4] ha tradizionalmente visto mutare la propria portata a seconda che ne venisse in gioco la dimensione nazionale, operante nel solo ordinamento interno ex art. 649 c.p.p., oppure quella internazionale [5] (o transnazionale [6]), operante nei rapporti fra ordinamenti. Una sorta di “Giano bifronte”, dunque, i cui volti non hanno, però, mai pienamente goduto di pari dignità. Proprio nello scacchiere delle relazioni internazionali il divieto del doppio giudizio ha visto pressoché annichilita la sua forza espansiva a causa di due concomitanti fattori: da un lato, la primazia della territorialità della giurisdizione ha sempre dominato la partita perché strumentale all’esercizio della sovranità penale statale; dall’altro, le marcate differenze fra gli ordinamenti in ambito penale hanno giustificato l’indifferenza verso il giudicato già formatosi aliunde. La difficile ricerca di un equilibrio fra la tutela della persona a non essere reiteratamente processata [7] e l’autonomia statuale nella scelta delle politiche criminali si è sempre scontrata con il protagonismo degli Stati, poco inclini a cedere porzioni di sovranità in assenza di norme sovranazionali regolatrici il cui primato fosse espressamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Del resto, la gelosia degli Stati in materia penale ben si attaglia alla necessità che ne delicta impunita maneant e poco importa se ciò avviene a tutto discapito delle garanzie individuali [8]. Una simile diffidenza ha finito così per relegare la, spesso davvero minimale, disciplina del divieto del doppio giudizio all’interno di fonti pattizie dedicate ad altre e più ampie materie, come emblematicamente rappresentato dalle convenzioni concluse in materia di estradizione e dai trattati sulla mutual legal assistance. La conseguente [continua ..]


2. L’affermazione del diritto nell’Unione Europea: un cammino tortuoso ma necessitato

In ambito euro-unitario, la progressiva costruzione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, basato sulla mutual trust, ha reso sempre più indifferibile l’esigenza – comunque già fortemente avvertita a livello interno in ragione dello sviluppo della criminalità transnazionale – di predisporre una garanzia contro la duplicazione dei procedimenti, che potesse operare a prescindere dai confini tra gli Stati membri. In questa prospettiva, il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni emesse dalle autorità giudiziarie degli Stati membri ha contribuito a rafforzare significativamente la portata del ne bis in idem transnazionale, assicurando così la libertà di circolazione delle persone all’interno dei confini dell’Unione (art. 3 § 2 TUE, art. 45 CDFUE, art. 21 TFUE). Pietra angolare della «cittadinanza europea» introdotta con il Trattato di Maastricht, la libera circolazione sarebbe, in effetti, indiscutibilmente compromessa se si tollerasse che la persona già definitivamente giudicata in uno Stato membro fosse sottoposta a procedimento penale in idem, da parte di un altro Stato membro, per la sola ragione di essersi liberamente spostata nell’Unione. Proprio la necessità di favorire la libertà di circolazione ha rappresentato il volano per l’espressa consacrazione normativa del ne bis in idem all’interno dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: com’è noto, riprendendo gli spunti offerti dalla Convenzione di Bruxelles del 1987 [19], la Convenzione applicativa degli accordi di Schengen [20] dedica al divieto l’art. 54. L’operatività del medesimo è tuttavia espressamente subordinata alla condizione che, nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza di condanna, la pena sia stata eseguita o sia in corso di esecuzione oppure ancora non possa più essere eseguita in forza del diritto nazionale («clausola di esecuzione»). Allo stesso tempo, trattandosi di uno strumento adottato nell’ambito della cooperazione intergovernativa, la CAAS salvaguarda la sovranità punitiva degli Stati prevedendo, al successivo art. 55, che le Parti contraenti possano sottrarsi al vincolo di cui all’art. 54 mediante l’apposizione di riserve. In relazione alla territorialità della giurisdizione, in particolare, la [continua ..]


3. Il giudicato nel labirinto dei rapporti fra Stati

Se all’interno dell’Unione europea si è (quasi) realizzata un’omogeneità nella disciplina del ne bis in idem transnazionale, assai più complesso è il contesto delle relazioni con gli Stati terzi [43]. Qui si profila una vera e propria «galassia» [44] in cui i rapporti giurisdizionali con le autorità straniere vengono disciplinati da fonti pattizie, che talvolta prevedono anche il divieto di doppio giudizio. L’obiezione fondata sulle differenze fra ordinamenti si è spesso rivelata decisiva, rendendo difficoltosa e significativamente lenta l’espansione del diritto fondamentale in parola. Alla fiducia reciproca in ambito europeo fanno da contraltare le relazioni diplomatiche, sorrette più dalla necessità di predisporre efficaci strategie di cooperazione che non dall’intento di assicurare effettività ai diritti fondamentali. Fuori dall’Unione europea, il ne bis in idem è stato episodicamente riconosciuto e spesso ancorato al giudicato formatosi solo all’interno delle Parti contraenti [45]. Può dirsi in sintesi che dal contesto internazionale emerge una figura di ne bis in idem “à la carte”. Emblematica l’evoluzione in materia di estradizione [46], in cui possono profilarsi due eventualità. Possono infatti venire in gioco: a) un rapporto bilaterale, che coinvolge lo Stato richiedente e lo Stato richiesto; oppure – e questa è la situazione sicuramente più problematica – b) un rapporto trilaterale che coinvolge Stato richiedente, Stato richiesto e Stato del giudicato. Ferma restando la necessità d’individuare, caso per caso e indipendentemente dal tipo di rapporto (bilaterale o trilaterale), l’ambito e la fonte convenzionale applicabile [47], il problema del rispetto del ne bis in idem si pone verosimilmente per lo Stato richiesto della consegna. Nel caso sub a), a prescindere dal motivo che sorregge l’estradizione – l’esercizio dell’azione penale o l’esecuzione di una condanna da parte dello Stato richiedente – lo Stato richiesto potrà far valere, quale motivo di rifiuto alla consegna, il ne bis in idem qualora abbia già proceduto per i medesimi fatti e nei confronti della medesima persona. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, l’art. 705, comma 1, c.p.p. [continua ..]


4. Gioco di prospettive sulla perdurante compatibilità costituzionale dell’art. 11 c.p.

Nella scena interna riveste un ruolo da protagonista l’art. 11 c.p., massima espressione del primato della sovranità punitiva perché volto a legittimare la rinnovazione del giudizio – ove si versi nelle ipotesi ex artt. 6-10 c.p. – attraverso l’esercizio di una «giurisdizione penale ubiquitaria» [54]. Se il reato è commesso sul territorio italiano (art. 6 c.p.), poco importa che la giurisdizione estera, anch’essa ubiquitaria, sia già stata esercitata: la rinnovazione del giudizio scatta automaticamente in forza dell’art. 11, comma 1, c.p. stante la prevalenza del principio di territorialità [55]. Se, poi, il reato è commesso all’estero (artt. 7-10 c.p.), la rinnovazione del giudizio è invece subordinata alla richiesta del Ministro della giustizia, che integra dunque un’autentica condizione di procedibilità [56]. Balza subito all’occhio come una simile disposizione – d’impronta autoritaria e, perciò, intrisa di nazionalismo – rappresenti un robusto ostacolo al riconoscimento e all’affermazione del ne bis in idem transnazionale nell’ordinamento interno. Eppure, la legittimità costituzionale dell’art. 11 c.p. non è mai stata in discussione, talvolta sostenendo l’estraneità del divieto di doppio giudizio al novero delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute ex art. 10 Cost. [57], talaltra riconducendo la rinnovazione del giudizio sotto la copertura del canone dell’obbligatorietà dell’azione penale [58]. Proprio su tali basi la giurisprudenza di legittimità prosegue, ancora oggi, a ritenere che, in assenza di convenzioni internazionali ratificate che lo prevedano, il ne bis in idem transnazionale debba ritrarsi a fronte delle norme interne in forza delle quali è esercitabile la giurisdizione [59]. Simili conclusioni appaiono anacronistiche, non solo se si volge lo sguardo alle avanzate tutele in ambito europeo, ma soprattutto se si tiene conto dell’evoluzione giurisprudenziale nel frattempo intervenuta a proposito della dimensione interna del ne bis in idem: la Corte costituzionale, qui, ha riconosciuto la natura di diritto fondamentale del divieto, arrivando a definire “ingiusto” e dunque non «conforme a Costituzione» «un processo che viola i [continua ..]


NOTE