Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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La Corte costituzionale si pronuncia sul diritto dei figli minori ad abbracciare durante i colloqui i genitori o i nonni ristretti al 41-bis ord. penit. (di Paola Maggio, Professoressa associata di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Palermo)


Con una sentenza interpretativa di rigetto la Corte costituzionale incrina il vetro separatorio fra detenuti al 41-bis e figli ultradodicenni, delineando un’esegesi costituzionalmente e convenzionalmente orientata del dato legislativo e delle circolari normanti i colloqui familiari e il passaggio di oggetti.

Nel bilanciamento fra le ragioni di sicurezza che impongono di evitare i collegamenti con l’esterno e il diritto umano all’affettività dei minori, la Corte sceglie di smussare le «insuperabili rigidità» connesse al regime speciale e riconosce il “danno simbiotico” inferto dalla carcerazione alle relazioni familiari.

Un’apertura ermeneutica che suggerisce di evitare sproporzionate limitazioni al contatto fisico fra minore e soggetto ristretto e consente valutazioni flessibili all’amministrazione penitenziaria e alla magistratura di sorveglianza, da orientare in conformità allo statuto internazionale della detenzione umana.

The Constitutional Court rules on the right of minor children to hug their parents or grandparents 41-bis detainees

With an interpretative sentence, the Constitutional Court cracks the dividing glass between 41-bis detainees and children over the age of 12, outlining a constitutionally and conventionally oriented interpretation of the law and of penitentiary memorandum regulating family visitation and the transfer of objects.

In balancing the security reasons that require avoiding connections with the outside world and the human right to affectivity of minors, the Court chooses to smooth out the “insuperable rigidity” connected to the special regime and recognises the “symbiotic damage” inflicted by imprisonment on family relations. A hermeneutic openness that suggests avoiding disproportionate limitations on physical contact between the child and the inmate and allows flexible evaluations by the prison administration and the Surveillance Court, to be oriented in accordance with the international statute of human detention.

Sul diritto dei figli ultradodicenni al contatto con il genitore al 41-bis ord. penit. MASSIMA: Non sono fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), della l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, comma 3, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con le ordinanze indicate in epigrafe. PROVVEDIMENTO: [Omissis] RITENUTO IN FATTO 1.– Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, con ordinanza del 5 agosto 2022 (r.o. n. 104 del 2022), solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui dispone che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici», in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 2.– Il rimettente è investito del reclamo presentato da M. F., con il quale l’interessato ha contestato il divieto, impostogli dall’amministrazione penitenziaria in considerazione della sua sottoposizione al regime differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ordin. penit., di svolgere colloqui visivi senza vetro divisorio con il maggiore dei suoi figli, che ha compiuto i dodici anni di età nel corso dell’anno 2021, ossia «mentre erano in vigore le restrizioni determinate dalla pandemia da COVID19». Il reclamante ha ricordato che l’amministrazione penitenziaria consente che il detenuto in regime differenziato ex art. 41-bis svolga i predetti colloqui, in locali privi del vetro divisorio, soltanto con i figli ed i nipoti minori di dodici anni, e ha rilevato che, tuttavia, «tra il 2020 ed il 2021», queste modalità sono state sospese per l’intera popolazione carceraria, allo scopo di limitare la diffusione del contagio, sicché l’interessato «ha cessato di abbracciare il figlio» quando [continua..]

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SOMMARIO:

1. Per alzare il metro di tutela dell’art. 27 Cost. bisogna abbassare il vetro divisorio fra ristretto al 41-bis e figli minori - 2. La questione sottoposta al vaglio della Corte - 3. Favor minoris (e diritto all’abbraccio) vs. 41-bis (e difesa sociale) - 4. L’”eccedenza” della limitazione del contatto fisico - 5. L’invito a un’interpretazione flessibile: abbraccio sì, ma caso per “caso … mai” provveda il legislatore! - 6. Il diritto umano alle relazioni familiari nella prospettiva costituzionale - 7. Il quadro internazionale sulle limitazioni flessibili del diritto al contatto familiare - 8. Il rispetto incrementale del diritto del detenuto e la garanzia dei controlli sulle sue limitazioni secondo la Corte e.d.u. - 9. La famiglia mafiosa fra automatismi e stereotipi ricorrenti - NOTE


1. Per alzare il metro di tutela dell’art. 27 Cost. bisogna abbassare il vetro divisorio fra ristretto al 41-bis e figli minori

Utilizzando un’espressione contenuta nella parte motiva della decisione in commento, si potrebbe dire che la Corte costituzionale ha alzato «al metro dell’art. 27 Cost. [1]», ovverossia al senso di umanità in esso racchiuso, il regime di detenzione speciale di cui all’art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario, abbassando per contro la barriera di vetro che separa il ristretto dai familiari in giovane età. Lo ha fatto prescegliendo una decisione adeguatrice, capace di ricondurre le disposizioni censurate alla Costituzione, e al contempo monitoria, con cui invita il legislatore a intervenire per superare il limite di età identificato nei 12 anni, oltre i quali è stato eretto da circolari del DAP il muro vitreo divisorio atto a inibire il passaggio di oggetti fra minore e ristretto al 41-bis. Una barriera oggettiva, quella legata all’età del giovane, che opera spesso nel diritto penitenziario alla stregua di limite alla genitorialità, basti pensare all’asticella tragica che separa le detenute madri dal proprio bambino al compimento del terzo anno [2] e che si distacca visibilmente dal trend generale italiano, europeo e internazionale di identificare una fascia ampia di protezione del minore che giunge sino ai 18 anni [3]. Chiamata a pronunciarsi sul difficile contemperamento fra il diritto umano fondamentale all’affetti­vità familiare del detenuto [4], componente essenziale del finalismo rieducativo declinato dall’art. 27 comma 3 Cost. [5], e le contrapposte esigenze securitarie connesse al regime detentivo speciale di neutralizzazione della pericolosità sociale, la Consulta si mostra, ancora una volta, assai attenta a salvaguardare l’emblema penitenziario della lotta alla criminalità organizzata, ma non dimentica al contempo della tutela delle condizioni di umanità della detenzione. Nel solco della «rivoluzione della flessibilità» [6] che ha condotto il giudice delle leggi a smussare molti degli esistenti automatismi penitenziari in chiave di ragionevolezza e proporzionalità [7] si riprende il modello delle sentenze interpretative di rigetto tipiche degli anni ‘90 [8], piuttosto che alimentare le declaratorie di incostituzionalità sulle modalità caratteristiche del regime detentivo [9]. La soluzione, apprezzabile per [continua ..]


2. La questione sottoposta al vaglio della Corte

La sentenza n. 105/2023 della Corte costituzionale ha avuto ad oggetto la questione di legittimità costituzionale – sollevata con due distinte ordinanze di rimessione dal Tribunale di Sorveglianza di Spoleto – dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), della l. 26 luglio 1975, n. 354 «nella parte in cui dispone che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici», in riferimento agli artt. 3, 27, comma 3, 31 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991, n. 176, e infine all’art. 8 Cedu. Il caso era sorto in sede di reclamo al giudice di sorveglianza riguardo al divieto, imposto a un detenuto al 41-bis di svolgere colloqui visivi senza vetro divisorio con il maggiore dei suoi figli, che aveva compiuto i dodici anni di età nel corso del 2021, «mentre erano in vigore le restrizioni determinate dalla pandemia da COVID-19». La possibilità di realizzare i colloqui senza vetro divisorio soltanto con i figli ed i nipoti minori di dodici anni, consentita da circolari della amministrazione penitenziaria, era stata sospesa «tra il 2020 ed il 2021» [13], per l’intera popolazione carceraria, al fine di contenere la diffusione del contagio e il detenuto aveva così materialmente cessato di «abbracciare il figlio» quando questi aveva dieci anni, essendogli stata preclusa tale possibilità successivamente, avendo il minore nel frattempo raggiunto l’età di dodici anni. L’iniquità del limite di età, aveva indotto il ristretto a chiedere in via compensativa di potere svolgere questi colloqui sino ai tredici anni del minore, e aveva significativamente posto l’accento sul suo diritto a un legame, «qui innanzitutto fisico», con il proprio nucleo familiare, e in particolare con i figli minori, sancito dagli artt. 29, 30 e 31 Cost., sintetizzabile in quella «particolare cura» nel mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie, espressa in chiave generale nell’art 28 ord. penit. Per i ristretti al 41-bis la deroga [continua ..]


3. Favor minoris (e diritto all’abbraccio) vs. 41-bis (e difesa sociale)

Nell’affresco offerto dal Tribunale di sorveglianza di Spoleto alla Corte costituzionale si materializza filmicamente la scena di ordinaria disumanità dei colloqui familiari svolti secondo il 41-bis: l’ascolto reciproco da parte dei colloquianti garantito da idonee strumentazioni, la possibilità di intrattenersi senza vetro divisorio solo con i figli e con i nipoti in linea retta minori di anni 12, la presenza del minore nello spazio riservato al detenuto e la contestuale partecipazione dei familiari dall’altra parte del vetro, la videoregistrazione [24] e l’ascolto di tali colloqui previo provvedimento motivato dell’A.G.; ed ancora il «posizionamento» del minore nello spazio destinato al detenuto/internato evitando forme di contatto diretto con altri familiari adulti, la successiva «riconsegna» del minore» ai familiari, sotto lo stringente controllo da parte del personale di polizia addetto alla vigilanza, «con le cautele e gli accorgimenti del caso, al fine di contemperare le esigenze di sicurezza con quelle del minore e lo stato di disagio in cui lo stesso può venirsi a trovare» [25]. In questo ambiente, secondo il giudice remittente, emerge la necessità di garantire la prevalenza del best interest [26] del minore sulle esigenze di difesa sociale [27], come suggerito anche dalla giurisprudenza di legittimità [28] che ha riconosciuto nei colloqui visivi l’espressione del diritto fondamentale della persona detenuta al mantenimento delle relazioni familiari. Un diritto tale da non poter essere compresso neppure in caso di isolamento disciplinare e da dover essere «contemplato anche per i detenuti ristretti in regime differenziato», seppur con le limitazioni qui giustificate dalla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza e con i contemperamenti fatti propri dalla stessa circolare DAP per i figli e nipoti infradodicenni, che «in ragione dell’età, più difficilmente possono essere strumentalizzati per aggirare le finalità proprie del regime differenziato» [29]. Al di là del punto di equilibrio tracciato dalla circolare DAP è tuttavia, a opinione del giudice a quo, lo stesso art. 41-bis ad apparire in contrasto con i parametri costituzionali, giacché esso in senso negativamente tranchant interdice «sempre e con chiunque i colloqui [continua ..]


4. L’”eccedenza” della limitazione del contatto fisico

La risposta della Consulta muove anzitutto dalla premessa del remittente secondo cui il testo della disposizione censurata imporrebbe – in ogni circostanza e senza possibilità di deroga – di attrezzare i locali destinati ad ospitare i colloqui dei detenuti soggetti al regime differenziato con un vetro divisorio a tutta altezza, strumento che per sua natura impedisce ogni contatto fisico. Su questo presupposto interpretativo la Corte costituzionale fonda l’ennesimo esercizio di compatibilità del regime differenziato qui condotto su tre differenti livelli: rispetto alle cornici di costituzionalità; rispetto all’assetto generale dell’ordinamento penitenziario che normalmente favorisce tali contatti in quanto strumenti di reinserimento sociale [49]; rispetto al dettato dell’art. 52 della Carta fondamentale dell’unione europea, secondo cui «qualsiasi limitazione all’esercizio dei diritti fondamentali ivi riconosciuti deve essere prevista dalla legge e deve rispettare l’essenza di tali diritti e libertà, nonché i principi di necessità e proporzionalità». La deroga alle regole trattamentali incontra un limite nelle misure che, a causa del loro contenuto, oltrepassino le ravvisate ragioni di sicurezza o sfocino in esiti inidonei o incongrui rispetto alle finalità connesse al regime differenziato [50], risultando, in base all’insegnamento più volte espresso dalla Consulta, tale da assumere «una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» [51], o disutile rispetto alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza [52]. Secondo la Corte costituzionale [53], infatti, le restrizioni che accompagnano l’applicazione del 41-bis, «considerate singolarmente e nel loro complesso, non devono vanificare del tutto la necessaria finalità rieducativa della pena, né possono violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità [54]. Da questa angolazione, la deroga ordinaria alla disciplina dei colloqui con i familiari o con terze persone – da svolgersi in locali interni «senza mezzi divisori» o in spazi all’aperto a ciò destinati (art. 37, comma 5, d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230) – trova ancora ragioni giustificative nella cesura rispetto a [continua ..]


5. L’invito a un’interpretazione flessibile: abbraccio sì, ma caso per “caso … mai” provveda il legislatore!

Nel ricostruire i propri precedenti la Corte chiarisce con buone doti di equilibrismo che l’interesse del minore «non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena» [62]. Esigenze che, appunto, si riscontrano al massimo grado per i detenuti assoggettati al regime detentivo differenziato e che rimandano alle declaratorie di illegittimità delle preclusioni in materia di misure alternative [63], o di detenzione domiciliare speciale [64], ma pure a quella giurisprudenza di legittimità che ha giudicato legittima – e dunque conforme al dato normativo primario – la previsione dell’art. 16 della citata circolare DAP del 2 ottobre 2017, di colloqui senza vetro divisorio con i figli e i nipoti in linea retta minori di dodici anni [65]. Guardando a queste direttrici, la Consulta ritiene che l’impiego dello stesso vetro divisorio, nel costituire un mezzo altamente idoneo allo scopo, in considerazione della sua innegabile efficacia ostativa al passaggio di oggetti, non sia tuttavia imposto dal testo della disposizione primaria, che non ne fa alcuna menzione. Anzi, al cospetto di altri interessi di rango costituzionale assai rilevanti, quali sono quelli coinvolti dalla disciplina dei colloqui del detenuto con minori d’età, tale dispositivo può apparire «sproporzionato»: differenti soluzioni tecniche (unitamente alle misure già espressamente contemplate, per tutti i colloqui dei detenuti in regime differenziato, dal comma 2-quater, lett. b), dell’art. 41-bis ord. penit.) potrebbero, invece, risultare adeguate, sia a garantire la finalità indicata dalla disposizione censurata, sia, al contempo, a evitare che la restrizione assuma connotazioni puramente afflittive per il detenuto, sacrificando l’interesse preminente del minore. Tra queste, ad esempio, l’impiego di telecamere di sorveglianza puntate costantemente sulle mani, la dislocazione del personale di vigilanza in posizioni strategiche, eccetera. Riprendendo sul punto le parole e la massima d’esperienza [66] tratte dalla ordinanza di rimessione secondo cui il colloquio «può essere interrotto in qualsiasi momento, a fronte di eventuali elementi di criticità» più facilmente [continua ..]


6. Il diritto umano alle relazioni familiari nella prospettiva costituzionale

La decisione in commento si inserisce infatti nel filone che ha attribuito progressivo risalto alle relazioni fra la persona privata della sua libertà personale, il mondo esterno e la famiglia di provenienza [77], dati i danni «simbiotici» che la detenzione carceraria comporta sull’unità del sodalizio familiare [78], implicando una «amputazione di una essenziale funzione della vita» [79]. Il rapporto genitoriale viene incrinato dalla detenzione sia in relazione al frangente cautelare sia in sede di esecuzione [80]. Fra i più gravi effetti indotti dal carcere devono senz’altro menzionarsi le fratture emotive prodotte sulla prole e, nell’accezione ampia di «actions concerning children» [81], vanno ricomprese non soltanto le misure che hanno un minore come destinatario immediato, ma altresì quelle che sullo stesso si ripercuotono indirettamente [82]. Per queste ragioni il rapporto con il genitore va mantenuto, anche se recluso [83], e anzi valorizzato in funzione dello sviluppo psico-fisico del giovane [84], in linea con le migliori indicazioni degli Stati generali e i propositi di riforma della c.d. Legge Orlando [85], richiamati non a caso dal giudice a quo e rimasti per molti versi inattuati. L’ordinamento penitenziario guarda del resto da sempre con attenzione al mantenimento del legame affettivo-familiare quale elemento positivo del trattamento e quale parametro guida del percorso di individualizzazione e valorizzazione degli elementi della personalità del detenuto, in una proiezione sociale. Le norme cardine del sistema, ravvisabili nell’art. 15 ord. penit., che impone in sede di trattamento di agevolare opportuni contatti con il mondo esterno e rapporti con la famiglia, e nel menzionato art. 28 ord. penit., che veicola il corso dell’esecuzione alla particolare cura nel «mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie», si sono progressivamente arricchite dei contenuti di garanzia provenienti dalle fonti europee [86] e internazionali. Al mantenimento e alla promozione dei rapporti familiari sono dedicate molteplici altre previsioni: si pensi al diritto del detenuto a poter informare immediatamente la famiglia dell’ingresso in istituto o dell’avvenuto trasferimento (art. 29 ord. penit.); alla possibilità riconosciuta [continua ..]


7. Il quadro internazionale sulle limitazioni flessibili del diritto al contatto familiare

A ulteriore supporto della suasion che la decisione in commento eserciterà su amministrazione giurisdizione si pone poi tutto un quadro di fonti internazionali ed europee [102] che esalta il diritto ai legami parentali del ristretto. Si potrebbe simbolicamente muovere dalle Mandela Rules per trovare conferma della necessaria tutela della relazione familiare, degli obblighi in capo all’amministrazione di mantenimento della medesima anche a fini risocializzativi, della sottrazione dall’ambito disciplinare delle limitazioni ai colloqui [103]. Pressoché identiche indicazioni sono traibili dalle regole di Bangkock [104]. A livello europeo una sintesi recente ed efficace si rinviene nella Raccomandazione della Commissione dell’8 dicembre 2022 (C(2022) 8987) [105]sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione. Qui, al Considerando 1, in conformità all’art. 2 del Trattato sull’Unione europea, si ribadiscono i valori centrali della stessa Carta di rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e di tutela dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Fra questi gli artt. 7 e 24 della Carta che sanciscono il diritto alla vita familiare e i diritti del bambino, mentre il citato art. 52 della Carta specifica come qualsiasi limitazione all’esercizio dei diritti fondamentali debba essere prevista dalla legge e tutelare l’essenza di tali diritti e libertà, in base ai principi di necessità e proporzionalità. Con questa premessa normativa di diritto dell’Unione europea, che l’Italia è tenuta a rispettare in virtù degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., l’art. 33 della raccomandazione sui soggetti in detenzione sottolinea la necessità di promuovere il rispetto della dignità umana, il diritto alla libertà, appunto il diritto alla vita familiare, i diritti del bambino, unitamente al diritto a un ricorso effettivo e a un processo equo, nonché la presunzione di innocenza e il diritto di difesa. Ancora più specificamente l’art. 55 della racc. (C(2022) 8987), nel disciplinare i contatti con il mondo esterno, stabilisce l’obbligo per gli stati membri di «fornire strutture idonee ad accogliere le visite dei [continua ..]


8. Il rispetto incrementale del diritto del detenuto e la garanzia dei controlli sulle sue limitazioni secondo la Corte e.d.u.

Appigli sicuri la decisione in commento trova inoltre nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo [108], che ha sviluppato una vera e propria “manualistica” dei diritti dei detenuti [109]. Vale la pena fare richiamo a un recente caso che ha condotto alla condanna della Lituania [110], sinottico del rilievo assegnato al mantenimento di legami con il nucleo familiare [111] (e accostabile per più di un profilo a quello nel quale si è sviluppata la questione di legittimità sul 41-bis, in quanto il ricorrente era sospettato di essere membro di un gruppo organizzato e in ragione di ciò privato dei colloqui con la giovane figlia). I giudici europei, richiamandosi ai propri precedenti, in un accorto bilanciamento fra i diritti in gioco, hanno assegnato prevalenza al favor minoris, stemperando i paventati pericoli legati alla sicurezza, alla interferenza con le indagini [112] o alla commissione di altri illeciti, a fronte del danno psicologico patito dalla bambina, dimostrato per il tramite di una perizia. Lo stress post-traumatico determinato dal divieto di incontrare il padre durante la detenzione ha implicato un’ingerenza censurabile nella vita familiare del ristretto protetta dall’art. 8 Cedu con conseguente condanna ai danni della Lituania. Nell’iter motivazionale la Corte europea fa richiamo a risultanze scientifiche secondo le quali «i figli di genitori detenuti corrono un rischio maggiore di disgregazione familiare, stigmatizzazione e problemi di salute mentale», tanto da ipotizzare, a causa del trauma della scomparsa improvvisa di un genitore e della conseguente mancanza di contatto, il rifiuto del genitore in una fase successiva della loro vita, nonché la dimostrata capacità di mitigare tali rischi attraverso frequenti «contatti significativi tra i bambini e i loro genitori detenuti» [113]. Secondo i giudici dei diritti umani, le limitazioni intrinseche alla vita privata e familiare connesse alla detenzione non possono compromettere il rispetto della vita familiare che deve essere non solo consentito, ma addirittura promosso dagli Stati [114], in condizioni di rispettata confidenzialità [115]. Eventuali restrizioni al regime detentivo ordinario, ragionevolmente necessarie tenuto conto della natura organizzata di taluni fenomeni criminali [116], o del momento investigativo, [continua ..]


9. La famiglia mafiosa fra automatismi e stereotipi ricorrenti

Inevitabilmente complesso sarà il passaggio dalla generalizzazione socio-criminologica alla verifica della “pericolosità in concreto” del contatto, che tuttavia potrà beneficiare del nitido statuto di garanzia della genitorialità dei ristretti. I «minori di mafia» sono assai spesso vittime vulnerabili in condizione di assoluta solitudine, «soli due volte», estranei, nella generalità dei casi, ai comportamenti violenti; «strappati» o «liberati» dalle loro famiglie e dalle mafie, comunque alieni da ogni ipotesi di responsabilità diretta e costretti da subito a soggiacere agli effetti stigmatizzanti del controllo penale sulle condotte delittuose genitoriali [145]. In ragione di ciò preoccupa l’uso nei provvedimenti giuridici di luoghi comuni, stereotipi autorali, paradigmatici marchi soggettivi, del tipo di quello riproposto dall’avvocatura di Stato nella sentenza in commento in ordine alla anticipata maturità del “figlio di mafia”. Un argomento di eco quasi lombrosiana secondo cui, l’«esperienza criminologica» comproverebbe che, in contesti familiari mafiosi, la «maturazione di giovani puberi […] può essere assai diversa da quella usuale di coetanei della stessa età in contesti di normalità» [146]. La mafiosità rischia di assumere qui ancora una volta il valore di fattore predittivo esclusivo per scopi simbolico-espressivi [147], sfociando in generalizzazioni dai contenuti didattico-pedagogici sul convincimento giudiziale. Analoghi assiomi sul versante civilistico [148] hanno condotto in passato all’adozione automatica di provvedimenti de potestate, spintisi sino alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, cui si è per fortuna contrapposta una tendenza a promuovere concrete ed effettive valutazioni delle condizioni di sviluppo della personalità del minore all’interno della «famiglia criminale» o «mafiosa» o «maltrattante» [149]. In qualche modo la «famiglia liquida» contemporanea pare incidere significativamente anche sul superamento delle massime esperenziali, rectius di pretesi fatti notori desunti dal contesto criminale, giustificando interventi sostitutivi del giudice volti invece a far rispettare il diritto del minore alla «sua [continua ..]


NOTE