Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Effetti sull'esecuzione penale e penitenziaria della Restorative Justice (di Alessandro Diddi, Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi della Calabria)


Ancor prima del recente intervento legislativo che ha disciplinato in maniera organica la giustizia riparativa, il settore penitenziario aveva provato a sperimentare, a legislazione invariata, l'inserimento nell'ambito delle procedure di trattamento finalizzate ad attuare il principio rieducativo della pena, i programmi di giustizia riparativa. Forte di queste esperienze che avevano comunque dato una risposta soddisfacente, il legislatore ha espressamente previsto che questo diverso modello di giustizia debba trovare applicazione anche in executivis.

Nonostante lo sforzo compiuto, molti ostacoli, non solo di tipo organizzativo, sembrano, tuttavia, frapporsi ad un'effettiva e proficua esplicazione del nuovo paradigma riparativo nella fase esecutiva della pena con il rischio di far fallire, sul nascere, le aspettative riposte dal legislatore sul nuovo istituto.

Effects on penal and penitentiary execution of the Restorative Justice

Even before the recent intervention made by the legislator in order to regulate the restorative justice in a systematic manner, the penitentiary sector had tried to experiment, with the legislation unchanged, the inclusion of restorative justice programs within the treatment procedures aimed at realising the re-educational principle of penalty. Strengthened by those positive experiences, which had nevertheless given a satisfactory response, the legislator expressly provided for the implementation of this different model of justice also in executivis.

Despite the great effort, many obstacles, not only from an organizational point of view, seem to make a barrier against the actual and profitable implementation of the new restorative paradigma in the execution phase of the sentence. This with the concrete risk that all the legislator expectations regarding the new institute would fail in the bud.

SOMMARIO:

1. La giustizia riparativa in sede esecutiva: gli antecedenti - 2. La ‘Riforma Cartabia’ - 3. Le problematiche - 4. Giustizia riparativa ed esecuzione - 5. Le condotte riparatorie in executivis - 6. Riparazione, esecuzione e rieducazione - 7. Conclusioni: luce ed ombre della riforma - NOTE


1. La giustizia riparativa in sede esecutiva: gli antecedenti

Da tempo il diritto penitenziario si è confrontato con il modello della giustizia riparativa; anzi si può dire che la crescente attenzione non solo del legislatore verso il tema della giustizia riparativa abbia preso le mosse proprio dal settore in questione. Poco dopo l’approvazione del regolamento del 2000 (d.p.r. n. 230/2000), il capo del DAP con decreto 26 febbraio 2002 aveva istituito una Commissione di studio su mediazione penale e giustizia riparativa con l’obiettivo di definire le linee guida per i soggetti adulti, l’adozione di modelli negli interventi di giustizia riparativa in conformità con le raccomandazioni della dichiarazione di Vienna del 2000 e la risoluzione 27 luglio 2000, n. 2000/14 sui principi base sull’uso dei programmi di giustizia riparativa in ambito penale, emanate dall’Economic and Social Council. Con circolare 3601/6051 del 14 giugno 2005 erano, poi, state elaborate linee guida per la uniforme applicazione dei modelli operativi sul fenomeno [1].

Nel 2009, il DAP con Ordine di Servizio n. 1003 del 21 gennaio 2009, preso atto dell’incremento delle richieste di effettuazione di incontri di mediazione tra reo e vittima avvenuto a seguito delle prime esperienze avviate a valle delle prime circolari, aveva effettuato una ricognizione su scala nazionale delle Associazioni e Cooperative di mediazione ed in particolare dei mediatori disponibili a collaborare ad una sperimentazione di incontri tra rei e vittime, a titolo gratuito.

L’iniziativa aveva riscosso una immediata attenzione nel mondo della mediazione italiana e ben 14 Associazioni di mediatori avevano risposto all’appello del Ministero.

Forte di tale successo, con successivo ordine di servizio 17 settembre 2014, n. 1148, il DAP aveva provveduto, poi, a riavviare e dare nuovo impulso all’attività dell’osservatorio sulla giustizia riparativa e la mediazione penale che aveva interrotto l’attività nel 2012.

Con circolare numero 0100039/2015, il DAP, ancora, preso atto del recepimento della direttiva 2012/29/UE del 23 ottobre 2012, “in una fase in cui vengono pronunciate misure che contemplano il maggior ricorso ad attività ispirate a giustizia riparativa“ [2] riteneva opportuno richiamare l’attenzione dei provveditori regionali, direttori degli UEPE e degli istituti penitenziari, “sull’opportunità di promuovere l’innesto delle politiche riparative nel percorso di recupero sociale delle persone in esecuzione penale esterna o detentiva con modalità coerenti con i principi fondanti la giustizia riparativa” [3].

In assenza di un quadro di riferimento organico, gli appigli normativi sul quale si appoggiavano le pratiche di giustizia riparativa ante litteram erano costituiti dall’art. 27 d.p.r. n. 230/2000 (a norma del quale con l’osservazione scientifica della personalità “viene espletata, con il condannato e l’internato, una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni, sulle conseguenze negative delle stesse per l’interessato medesimo, sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto la persona offesa“) e dall’art. 118 d.p.r. n. 230/2000 (che, a proposito delle attribuzioni del centro di servizio sociale per adulti, stabilisce che gli interventi del medesimo nel corso del trattamento in ambiente esterno, sono diretti ad aiutare i soggetti che ne beneficiano ad adempiere responsabilmente gli impegni che derivano dalla misura a cui sono sottoposti). Tali previsioni si potevano ancora coordinare con quanto stabiliva (e stabilisce ancora oggi) l’art. 47 l. n. 354/1975 a mente del cui comma 7 “nel verbale (n.d.r.: di esecuzione dell’affidamento in prova) deve anche stabilirsi che l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente gli obblighi di assistenza familiare”.

Un momento particolare di questo processo evolutivo si riscontra anche nei lavori degli Stati Generali sull’esecuzione della pena, istituito nel 2015 su impulso dell’allora ministro della giustizia Andrea Orlando e coordinato dal Prof. Glauco Giostra (d.m. 8 maggio 2015; d.m. 9 giugno 2015). Scopo del comitato di studio, composto da esperti di varie discipline, era quello di fornire al governo suggerimenti su possibili interventi normativi. La giustizia riparativa, in particolare, aveva trovato un’autonoma considerazione nel Tavolo 13 degli Stati generali (coordinato dalla professoressa Mannozzi e di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Benedetta Galgani e Stefano Marcolini).

Sempre in questa panoramica generale non si può dimenticare anche il punto della legge delega contenuta nella c.d. riforma Orlando (d.lgs. n. 103/2017) e il conseguente schema di decreto legislativo (che, tuttavia, non ha mai visto la luce [4]) e che, pure, indirizzavano le nascenti previsioni riguardanti la giustizia riparativa solo nella fase esecutiva.

Al di là dei risultati concreti (e forse deludenti) che tali iniziative hanno conseguito, non sembra trascurabile il fatto che, come accennato, la grande sensibilità per il fenomeno della giustizia riparativa abbia riguardato proprio il settore esecutivo, in linea, peraltro, con la dottrina più autorevole la quale ha ritenuto, oltre alla plausibilità, anche l’opportunità che l’innesto di essa negli schemi processuali classici si realizzi preferibilmente nella fase dell’esecuzione della pena detentiva” [5].


2. La ‘Riforma Cartabia’

La riforma Cartabia ha delineato la giustizia riparativa come un modello destinato ad operare all’interno dell’intero iter processuale. Anzi, esso potrebbe operare prima dell’instaurazione dello stesso procedimento (come nel caso dei delitti perseguibili a querela) e perfino dopo l’esecuzione della pena o all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o non doversi procedere per difetto di condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’art. 344-bis c.p.p. o per intervenuta causa di estinzione del reato.

A norma dell’art. 44 del d.lgs. n. 150/2022 i programmi di giustizia riparativa sono resi espressamente accessibili anche in sede esecutiva della pena e delle misure di sicurezza. In tale fase, vittima del reato e persona condannata con pronuncia irrevocabile possono accedere, a prescindere dalla fattispecie di reato e dalla sua gravità, ai programmi di giustizia riparativa tendenti a promuovere il riconoscimento della vittima, la responsabilizzazione dell’autore del reato, la ricostruzione dei legami con la comunità.

A ben vedere, però, pochi sono gli interventi normativi finalizzati ad inserire la giustizia riparativa in sede esecutiva, nonostante, come notato in dottrina, il sintagma “riparativo” e le sue declinazioni compaiano nel testo della legge ben 150 volte. L’art. 78 del d.lgs. n. 150/2022 ha anzitutto disposto l’introduzione di una norma di carattere generale nella l. n. 354/1975 (come, peraltro, aveva suggerito la relazione conclusiva degli Stati generali): l’art. 15-bis che, in ideale continuità con il cit. art. 44 (a norma del quale ai programmi di giustizia riparativa si può accedere in ogni stato e grado del procedimento) e in collegamento con l’art. 129-bis c.p.p. (a mente del quale in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato al centro di giustizia riparativa per l’avvio di un programma di giustizia riparativa), stabilisce che “in qualsiasi fase dell’esecuzione l’autorità giudiziaria (non è specificato quale, anche perché manca una disposizione analoga a quella di cui all’art. 45-ter disp.att. c.p.p., che individua il “giudice competente in ordine all’accesso alla giustizia riparativa“ dal momento dell’esercizio dell’azione penale fino al ricorso per cassazione) può disporre l’invio dei condannati e degli internati, previa adeguata informazione su base volontaria, ai programmi di giustizia riparativa”.

Tale previsione generale, poi, va coordinata: a) con l’art. 656 c.p.p. (modificata dall’art. 38 del d.lgs. n. 150/2022) a mente del quale l’ordine di esecuzione contiene, tra l’altro, l’avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; b) con l’art. 13, comma 4, della l. n. 354/1975 (modificato dall’art. 78 d.lgs. n. 152/2022) a norma del quale “nei confronti dei condannati e degli internati è favorito il ricorso a programmi di giustizia riparativa; c) con il comma 2 dell’art. 15-bis della l. n. 354/1975 (inserito dall’art. 78, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2022) in forza del quale la partecipazione ai programmi di giustizia riparativa e l’eventuale esito riparativo sono valutati ai fini dell’asse­gna­zione al lavoro all’esterno, della concessione di permessi premio, delle misure alternative alla detenzione nonché della liberazione condizionale.

Piccoli ritocchi sono stati apportati alla disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni (in particolare, nell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 121/2018 è stato specificato che i percorsi di giustizia riparativa sono costituiti dai “programmi di giustizia riparativa di cui al d.lgs. n. 134/2021”; all’interno del d.lgs. n. 121/2018, poi, è stata inserita una disposizione corrispondente a quella di cui l’art.15-bis della l. n. 354/175 a norma della quale “in qualsiasi fase di esecuzione, l’au­torità giudiziaria può disporre l’invio dei minorenni condannati, previa adeguata informazione su base volontaria ai programmi di giustizia riparativa“).


3. Le problematiche

Il quadro normativo sinteticamente ricostruito pone all’attenzione dell’interprete principalmente due differenti problematiche: la prima, di più ampio respiro (ma dalla quale non si può prescindere in un discorso sulla riparazione in sede esecutiva), concerne il modello al quale il legislatore si è ispirato nell’attuare la giustizia riparativa; la seconda (più specifica al tema esaminato), che concerne la compatibilità del nuovo paradigma con i principi che governano la fase esecutiva e, in particolare, con il finalismo rieducativo della pena sancito dall’art. 27, comma 3, Cost.

La prima questione si impone perché, nonostante le definizioni (anche quelle contenute nel testo normativo recentemente entrato in vigore), non è possibile parlare di un unico modello di giustizia riparativa. Vi è consenso sul fatto che essa sia altra cosa rispetto alla giustizia tradizionale e sulle finalità che essa persegue (la ricostruzione di una relazione intersoggettiva), ma non anche sul modo in cui detto modello debba interagire con quello tradizionale.

I problemi, a ben vedere, sotto questo profilo, sorgono con riguardo: a) agli strumenti attraverso i quali pervenire alla riparazione; b) alla relazione ed integrazione tra il momento riparativo e quello tradizionale; tra riparazione e retribuzione; tra riparazione e rieducazione.

Si deve rammentare che la restorative justice è stata presentata in origine come un nuovo paradigma entro il quale ripensare la giustizia penale nel suo complesso; come un modello potenzialmente idoneo a divenire paradigma universale di regolazione dei conflitti [6].

La premessa implicita in tale modello è costituita dalla ritenuta sufficienza del ripristino della relazione intersoggettiva a soddisfare ogni risposta che trovi causa nella commissione del fatto.

È evidente, però, che, poiché non tutto può essere riparato, il sistema non può fare a meno dei più consueti, quantunque “obsoleti”, strumenti della giustizia punitiva. Sotto questo profilo, allora, un sistema di giustizia riparativa in grado di sostituire quello tradizionale appare forse illusorio.

Vi è, poi, anche un problema di compatibilità costituzionale, segnatamente con il principio di obbligatorietà dell’azione penale [7].

Non è, forse, casuale che i primi approcci di giustizia riparativa siano sorti negli Stati Uniti dove, in effetti, il sistema poggia sulla discrezionalità dell’intervento statuale [8].

Premesso che neppure lì tutto fila liscio (perché i venti del giustizialismo alimentano le campagne elettorali dei candidati a pubblici ministeri [9]), nel nostro ordinamento l’impedimento a una piena esplicazione del potenziale applicativo del modello riparativo è rappresentato dalla vincolatività del­l’inter­vento punitivo che, postulando il necessario intervento statale, anche in luogo della vittima, mal si concilia con il meccanismo riparativo. È per questo che, guardando al nostro ordinamento, le modalità di gestione del reato che hanno cercato di superare la giustizia tradizionale (e, con essa, la condanna quale strumento per il ristabilimento dell’ordine violato) hanno trovato terreno fertile di applicazione (sebbene, anche qui, non senza qualche problema) rispetto ai reati punibili a querela; a quelli di fascia medio bassa, vale a dire quelli intercettabili dall’istituto della messa alla prova nonché a quelli attribuiti alla competenza del giudice di pace e, fino ad oggi, di esse si è parlato soprattutto nella fase esecutiva.

Al di fuori di questi campi, dunque, la giustizia riparativa è destinata ad innestarsi sul modello tradizionale della punizione, connotato dall’obbligatorietà dell’azione penale, dalla retribuzione e vocato alla rieducazione.

In tale prospettiva è diffusa l’opinione che il rapporto tra le due dimensioni di giustizia debba esplicarsi in termini di complementarietà [10].

Su di esso si è soffermata in maniera convincente la dottrina che da tempo si è occupata di queste problematiche spiegando limpidamente che il rapporto tra giustizia riparativa e sistema penale «debba essere sottratto ad un’alternativa paralizzante, quella che oppone la restorative justice» alla giustizia tradizionale. Essa, in particolare necessita «di vivere in simbiosi con un sistema di precetti formalizzato altrove» [11].

Sebbene su tale premessa si registri una sostanziale unanimità di opinioni [12], sembra che non vi sia ancora una chiara visione sulle modalità attraverso le quali questa complementarietà debba concretamente realizzarsi.

Lasciando per ora in disparte le scelte effettuate dal legislatore, vi è chi aveva visto questa complementarietà come possibile solo in relazione a determinati reati [13]; chi, invece, ha ritenuto, pur sempre nella cornice di reati di piccola-media gravità, di ricondurre i meccanismi di giustizia riparativa all’in­terno del sistema dei riti speciali che già in parte operano su piani differenti rispetto al paradigma autoritativo, tipico del giudizio penale classico (il riferimento è ovviamente al patteggiamento e giudizio abbreviato) [14].

Il legislatore, come detto, ha percorso una strada diversa, quella dell’applicabilità della giustizia riparativa in relazione a qualunque reato – a prescindere dal titolo e della gravità.

Ma una volta fatta operare la giustizia riparativa sino a queste latitudini, anche la complementarietà rispetto al diritto penale (e processuale) classico deve riparametrarsi con alcuni vincoli costituzionali inderogabili tra i quali, come detto, il principio di obbligatorietà dell’azione penale che non rende possibile spezzare il necessario nesso reato-pena.

Al di fuori dei casi (di cui si è detto) in cui si è potuta esplicare come modello alternativo alla giustizia tradizionale, la giustizia riparativa può, al limite, rilevare come condotta post delictum, alla stregua delle tante prese in considerazione dal sistema e di cui il giudice può tenere conto per le valutazioni sulla dosimetria della pena.

È ovvio però che questo innesto della giustizia riparativa su quella tradizionale non comporta affatto l’abbandono – ma forse la riaffermazione – del classico meccanismo retributivo del malum passionis propter malum actionis.

In proposito, un’autorevole dottrina, movendo da tali premesse e dalla constatazione che un delitto riparato non è più ‘meritevole’ di pena di un ‘delitto tentato’ (dovendosi in entrambi i casi prendere atto della differente lesione del bene giuridico protetto) ha proposto un sistema in cui il legislatore dovrebbe disciplinare, nella parte generale, accanto al delitto tentato, il delitto riparato (comprensivo anche di quello ‘restaurato’) con una cornice sanzionatoria fortemente ridotta rispetto a quella attualmente prevista per quello semplicemente consumato [15].

Anzi in questi (ed altri) casi, sempre secondo tale opinione, viene proposta una denominazione ad hoc, quella di pena «agìta» per contrapporla a quella «subita» [16].


4. Giustizia riparativa ed esecuzione

Chiariti tali aspetti, che certamente meriterebbero un diverso approfondimento, qui non possibile, si può tentare di fare il punto con riferimento alla fase esecutiva, terreno che, come visto, è sembrato particolarmente fertile per far attecchire la giustizia riparativa.

Una prima osservazione, a tale riguardo, si impone subito all’attenzione perché, in un certo senso, la constatazione che la restorative justice sia stata vista come soluzione che si accorda particolarmente con la fase esecutiva, può addirittura costituire il segno della deformazione (oltre che dello snaturamento) della giustizia riparativa, almeno se intesa nel suo senso più puro.

Per ricollegarsi ad un’osservazione particolarmente efficace «”consumare” un intero processo, con l’esacerbazione del conflitto interpersonale che esso comporta, per poi prospettare un esito conciliativo appare sinceramente un controsenso» [17].

A ben vedere, però, questa aporia non appare più tale, invece, se gli snodi nominalmente ricondotti all’alveo della “giustizia riparativa” vengano piuttosto visti come condotte riparatorie e, dunque, alla stregua di “post-facta” rispetto ai quali l’ordinamento non può rimanere indifferente (particolarmente da quando la vittima è entrata sulla scena processuale con un ruolo da protagonista) e soprattutto alla luce di quel principio di complementarietà che, come visto, costituisce al contempo fondamento e limite di operatività della giustizia riparativa.

La praticabilità di programmi riparativi in executivis diviene, dunque, fondamentale anzitutto per fornire risposta alle varie istanze delle vittime rimaste insoddisfatte nel corso del processo e che, a fortiori, devono essere suscettibili di protezione anche dopo la sua conclusione e, addirittura, la esecuzione della pena.

In secondo luogo, come un coerente quadro sistematico consentirebbe di concepire un’autonoma figura di reato-riparato, dotata di un proprio regime sanzionatorio, così sarebbe possibile immaginare una pena-riparativa.

In questo modo essa non sarebbe che un ulteriore modo di dare concretezza e contenuto al principio di flessibilità della pena.

Come noto con la legge di riforma del 1975 nel sistema italiano della giustizia penale «si è originata una rottura della corrispondenza della pena nella fase dell’esecuzione con quella decisa nel giudicato»; «rispetto alla pena originariamente meritata, la pena concretamente espiata può risultare tanto più breve o più mite, o più severa per ragioni che non si rivolgono più al passato, cioè a ciò che si è fatto, ma al presente e al futuro, ossia a come si è e come si può presumere che si sarà» [18].

Parrebbe che il legislatore – forse non troppo consapevolmente – abbia recepito in questo senso la giustizia riparativa in sede esecutiva, come, cioè, uno dei possibili contenuti (di cui peraltro vi erano tracce in norme di ordinamento penitenziario e che, come detto, hanno funto da appiglio per gli esperimenti effettuati ante litteram) del programma trattamentale che, oltre ai classici strumenti, può oggi avvalersi anche di quelli della giustizia riparativa.

E ne è riprova il fatto che il legislatore ha tipizzato gli sbocchi dell’esito riparativo prevedendo che esso può essere valutato ai fini della concessione di benefici penitenziari; e soprattutto, ha collocato nel­l’ambito dell’art. 13 l. n. 354/1975 – quello nel quale si parla dell’osservazione scientifica della personalità – la previsione per la quale nell’ambito del programma trattamentale deve essere favorito il ricorso a programmi di giustizia riparativa.


5. Le condotte riparatorie in executivis

Lo sforzo del legislatore è rimasto un po’ vago con riferimento ai contenuti delle prestazioni riparatorie che possono essere rese in sede esecutiva.

Si tratta di un passaggio delicato perché l’attuazione del modello riparativo, oltre alle difficoltà che la sua applicazione di per sé pone in un ambiente conflittuale normale, deve fare i conti con il contesto carcerario.

La norma di riferimento non può che essere l’art 56 d.lgs. n. 150/2022: l’esito riparativo può essere simbolico o materiale.

Entrambe le prestazioni sembrano però per lo più pensate per un contesto in cui “autore del reato” e “vittima” sono in condizione di potersi muovere con una certa libertà d’azione e su piani di tendenziale parità.

A parte le «dichiarazioni» o le «scuse formali» – certamente realizzabili anche da chi si trovi in vinculis – è difficile immaginare che un detenuto o un internato possa assumere e svolgere «impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla comunità, accordi relativi alla frequentazione di persone e luoghi»; «risarcimenti danni»; «provvedere a restituzioni»; «adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori».

Se la giustizia riparativa, poi, presuppone un dialogo tra autore del reato e vittima, reale o surrogata, e la partecipazione della comunità al ripristino del rapporto con l’autore della violazione, è facile prevedere che, purtroppo, plurimi ostacoli si frapporranno alla realizzazione di tali percorsi.

Basti pensare alle prassi del DAP di dislocare la popolazione carceraria secondo criteri che molto raramente tengono conto del principio di territorialità; all’attuale pianificazione degli istituti penitenziari, sempre più distanti (anche questo non casualmente) dalle città; ai limiti alla piena esplicazione della possibilità di partecipazione di privati, istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa; oltre che, soprattutto, alle attuali condizioni delle strutture carcerarie concepite non certo per favorire la pratica realizzazione di quella progettualità sulla quale si fonda la giustizia riparativa e, soprattutto, ben lontane dall’attuare quelle garanzie di contesto, rappresentate dagli “spazi adeguati” (che l’art. 55 del d.lgs. n. 150/2022, non a caso, prescrive siano assicurati assieme alla riservatezza e indipendenza).

L’attuazione dello spirito del modello riparativo in sede esecutiva, dunque, sembra richiedere ancora molta strada da percorrere e oggi, della pena agìta, in esecuzione, l’unica forma che troverà concreta applicazione sarà il lavoro all’esterno di pubblica utilità di cui all’art. 20-bis ed il lavoro a favore della vittima e della sua famiglia ai sensi dell’art. 21, comma 4-bis, della l. n. 354/1975, istituti questi che, appunto, la circolare del 2005 considerava come una delle possibili modalità applicative del paradigma riparativo e che oggi (per effetto di quanto dispone l’art. 15-bis l. n. 354/1975) può appunto essere concesso per partecipare ai programmi di giustizia riparativa.

Purtroppo, assegnare alla “figura” dei lavori di pubblica utilità tutte le potenzialità della giustizia riparativa in executivis non è una soluzione soddisfacente, tenuto conto che essa è suscettibile di letture alternative, perfino di tipo retributivo-sanzionatorio (si pensi alla previsione della messa alla prova); cionondimeno, con il concomitante concorso delle altre condizioni richieste dalla legge, essa si presta a costituire l’unico vero ed autentico strumento di attuazione del modello riparativo in esecuzione.


6. Riparazione, esecuzione e rieducazione

Non si può, infine, trascurare un altro fondamentale profilo della problematica in esame: quello della compatibilità del paradigma riparativo delineato dal legislatore con il finalismo rieducativo previsto dall’art. 27, comma 3, Cost.

Rispetto a questa tematica, stante la sua complessità, si possono svolgere solo alcune brevissime osservazioni per rilevare che mentre alcune autorevoli posizioni dottrinali hanno evidenziato come un’eccessiva presenza della vittima si porrebbe addirittura come ostacolo all’idea costituzionale della pena intesa quale strumento di recupero del reo [19], secondo altre invece, l’innesto della giustizia riparativa all’interno della giustizia tradizionale produrrebbe utili effetti, oltre che di tipo deflattivo, anche sul piano della capacità rieducativa della pena [20].

Il vero rischio derivante dall’innesto della giustizia riparativa in sede esecutiva è costituito dal fatto che esso, ove non adeguatamente supportato da linee operative chiare, potrebbe generare curvature degli obiettivi dalla pena verso scopi morali che potrebbero non essere facilmente accettati [21].

Non si può trascurare che il paradigma riparativo ha forti connotazioni religiose. Tracce della logica ad esso sottesa sono state rinvenute perfino nelle scritture veterotestamentarie [22].

Ora, è pacifico che la dimensione spirituale del pentimento e del perdono debba rimanere estranea alla giustizia forense [23].

Abbracciare una concezione che riconosca alla pena finalità “riconciliative”, però, rischia di far riaffiorare tali connotati che sebbene si accordino perfettamente con concezioni soggettive della rieducazione (quella, cioè, che aspira ad una trasformazione interiore del condannato), postula una interpretazione del principio costituzionale tutt’altro che condivisa e che preferisce ricondurre il finalismo di cui si tratta ad un mero recupero del senso di legalità da parte del condannato.

In realtà, la giustizia riparativa potrebbe essere compatibile con il finalismo educativo a condizione, ancora una volta, che lo si inscriva in quel principio di complementarietà di cui si è detto e che, cioè, sia calata nel contesto della pena detentiva carceraria.

La partecipazione ai programmi riparativi in esecuzione ed il ripristino del senso della legalità, in fondo, se non si vuole che resti affidato a soluzioni astratte, burocratiche e svuotate da autentici percorsi di rielaborazione critica interiore, può passare anche attraverso la ricomposizione delle fratture che il reato ha provocato e la rigenerazione delle occasioni di dialogo con le varie componenti passive (vittime, collettività) che hanno riportato una lesione dalle attività delittuose.

Fondamentale è che resti salvaguardato il principio di autodeterminazione ed in questo senso, appare estremamente significativa la previsione contenuta nell’art. 15-bis, comma 2, l. n. 354/1975, secondo la quale dalla mancata attivazione del programma, dalla sua interruzione nonché dal mancato raggiungimento dell’esito sperato non possono essere tratti elementi di valutazione pregiudizievoli a carico del condannato o dell'internato.


7. Conclusioni: luce ed ombre della riforma

In conclusione, l’inserimento della giustizia riparativa in sede esecutiva è caratterizzato da molte luci ma anche da qualche ombra.

Va anzitutto precisato che sebbene, per quel che si è osservato, la giustizia riparativa rappresenti un’importante opportunità, essa non costituirà quella rivoluzione copernicana [24] o quel nuovo paradigma entro il quale ripensare la giustizia penale [25] che, secondo alcune opinioni, ci si appresta a vivere con il suo recepimento nel sistema. Essa, come tutto quel che appartiene al più ampio tema della riparazione intesa in senso lato, ha anzitutto il merito di completare un sistema con l’ingresso della vittima anche nella fase esecutiva. La ricerca del dialogo tra condannato e vittima; tra autore del reato e comunità, svolgono certamente l’importante funzione di far entrare i soggetti sui quali normalmente ricadono gli effetti dell’illecito, in una fase del procedimento dalla quale erano stati sempre tradizionalmente esclusi. Essa, ancora, ove ben organizzata, può effettivamente operare come momento significativo per la trasformazione di una pena – quella carceraria – che oggi non soddisfa più nessuno, né la vittima, né la società, sempre più distaccate dai misteri del processo ed incapaci di comprendere le dinamiche dei percorsi esecutivi, ma, soprattutto, contribuire a dare nuovi e più moderni contenuti ai programmi di trattamento rieducativo e di recupero del condannato.

Ancora, ove ben organizzata, essa potrebbe costituire un punto fermo per impostare una revisione complessiva dell’esecuzione penale ispirata davvero al principio di flessibilità della pena e, non ultimo, avviare il sistema verso un modello bifasico del trattamento sanzionatorio.

Si intravedono, tuttavia, molti limiti ed alcuni rischi.

Dei primi si è, in parte, già detto. Dei secondi, va messo in luce anzitutto che, nonostante la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 15-bis l. n. 354/1975, non sarà facile impedire, quantomeno a livello psicologico, una certa diffidenza da parte degli organi della sorveglianza chiamati a verificare il percorso rieducativo del condannato, per quanti non avranno avviato percorsi di giustizia riparativa.

Se a questo si aggiunge il fatto che vi è una certa evanescenza dei contenuti della giustizia riparativa (sui quali il legislatore non ha fornito grandi indicazioni) e che molto dipenderà dalla capacità dell’am­ministrazione di superare pregiudizi e concezioni legate alla visione tradizionale della pena, vi è il rischio che, appunto, la mancanza di offerte in chiave restaurativa possa alimentare un perverso circolo vizioso destinato a riverberarsi sulle chance del detenuto di ottenere i benefici penitenziari.

Non va sottaciuto, poi, che, come avvertito da tutti gli autori che si sono occupati della problematica, un momento fondamentale per la buona riuscita della giustizia riparativa è costituito dalla professionalità e preparazione degli operatori della mediazione e su questo aspetto si possono effettivamente nutrire perplessità [26].

A tale riguardo non si può non rilevare l’assoluta inadeguatezza del budget destinato al finanziamento degli interventi necessari a garantire livelli essenziali delle prestazioni di giustizia riparativa ed a sovvenzionare i centri di giustizia riparativa (4,4 milioni di euro, ai sensi dell’art. 67 d.lgs. n. 150/2022, che, ad esempio, tenuto conto del solo numero dei detenuti in Italia, 50.000 unità, restituisce una cifra di 88 € a detenuto).

Sono tutti elementi di criticità che si opporranno ad un’effettiva ed efficace applicazione della giustizia riparativa soprattutto nella fase esecutiva ed ove la riforma resterà a metà, c’è il rischio che essa, piuttosto che reale meccanismo di riconciliazione, finisca per essere vista come una mera opportunità offerta per ottenere benefici così, però, di fatto sancendo il fallimento della sua stessa finalità.


NOTE

[1] Sulla giustizia riparativa in sede esecutiva, tra i tanti, cfr. M. Bouchard-F. Fiorentin, Sulla Giustizia riparativa, in Quest. giust., 2021, 4, p.49; F. Brunelli, La giustizia riparativa nella fase esecutiva della pena: un ponte tra carcere e collettività, in G. Mannozzi-G.A. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa, Bologna, Il Mulino, 2015, p. 189; F. Fiorentin, La giustizia riparativa nella fase dell’e­secuzione penale: luci e ombre di una riforma dalle fondamenta (troppo) fragili, in Il penalista, 26 maggio 2023 e 29 maggio 2023.

[2] Il riferimento era al d.d.l. 23 dicembre 2014, n. 2798.

[3] Sul tema F. Palazzo, Giustizia riparativa e giustizia punitiva, in G. Mannozzi-G.A. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa, cit., p. 69.

[4] Cfr. Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di giustizia riparativa e mediazione reo-vittima, Atto del Governo n. 29 della XVII Legislatura.

[5] F. Palazzo, Giustizia riparativa, cit., p. 76.

[6] Per una ricostruzione dei fondamenti, anche giusfilosofici, della giustizia riparativa, cfr. F. Reggio, Giustizia dialogica. Luci e ombre della Restorative justice, Milano, Franco Angeli, 2010.

[7] Per una rassegna dei possibili punti di frizione della giustizia riparativa con i principi costituzionali, cfr. A. Lorenzetti, Giustizia riparativa e dinamiche costituzionali. Alla ricerca di una soluzione costituzionalmente preferibile, Milano, Franco Angeli, 2018; R. Bartoli, Giustizia vendicatoria, giustizia riparativa, costituzionalismo, in C. Piergallini-G. Mannozzi-C. Sotis-C. Perini-M. Scoletta-F. Consulich (a cura di), Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, t. II, Milano, Giuffrè, 2022, p. 546.

[8] Sul punto, B.A. Green-L. Bazelon, Restorative Justice from Prosecutors’Perspective, 88 Fordham L. Rev. 2287 (2020), p. 2287.

[9] Cfr. B.A. Green-L. Bazelon, Restorative Justice, cit., p. 2296.

[10] Così, tra i tanti, G. Mannozzi-G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, Torino, Giappichelli, 2017, pp. 370-371.

[11] G. Mannozzi-G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa, cit., pp. 370-371.

[12] In tal senso si era espresso anche il Tavolo 13 degli Stati Generali dell’esecuzione penale (in particolare: Relazione di accompagnamento al format presentato dal tavolo 13 – giustizia riparativa, tutela delle vittime e mediazione).

[13] G. Mannozzi-G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa, cit., p. 362; F. Palazzo, Giustizia riparativa, cit., p. 369.

[14] F. Ruggieri, Giudizio penale e «restorative justice»: antinomia o sinergia?, in G. Mannozzi-G.A. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa, cit., p. 96.

[15] M. Donini, Il delitto riparato. Una disequazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in G. Mannozzi-G.A. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa, cit., p. 143.

[16] M. Donini, Riparazione e pena da Anassimandro alla CGUE. Le basi di un nuovo programma legislativo per la giustizia penale, in AA.VV., Riflessioni sulla giustizia penale. Studi in Onore di Domenico Pulitanò, Torino, Giappichelli, 2022, p. 422; M. Donini, Pena agìta e pena subìta. Il modello del delitto riparato, in A. Bondi-G. Fiandaca-G.P. Fletcher (a cura di), Studi in onore di Lucio Monaco, Urbino, Urbino University Press, 2020, p. 389.

[17] F. Palazzo, Giustizia riparativa, cit., p. 76.

[18] Sul tema, anche per la ricostruzione del percorso seguito dalla giurisprudenza costituzionale, cfr. D. Bertaccini, Fondamenti di critica della pena e del penitenziario, Rielaborazione aggiornata dell’opera didattica di Massimo Pavarini, II ed., Bologna, Bononia University Press, 2021, pp. 59-60.

[19] A. Pugiotto, Cortocircuiti da evitare. dimensione costituzionale della pena e dolore privato delle vittime, in F. Corleone-A. Pugiotto (a cura di), Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo, vittime del reato e del carcere, Roma, Ediesse, 2012, p. 157; A. Pugiotto, «Preferirei di no». Il piano pericolosamente inclinato della giustizia riparativa, in F. Corleone-A. Pugiotto (a cura di), Volti e maschere della pena. Opg e carcere duro, muri della pena e giustizia riparativa, Roma, Ediesse, 2013, p. 253.

[20] F. Cingari, Vittima del reato e diritto penale, in C. Piergallini-G. Mannozzi-C. Sotis-C. Perini-M. Scoletta-F. Consulich (a cura di), Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, t. I, Milano, Giuffrè, 2022, p. 19. Nel senso della piena compatibilità della giustizia riparativa con il finalismo rieducativo, cfr., tra i tanti, L. Eusebi, Giustizia riparativa e riforma del sistema sanzionatorio penale, in Dir. pen. e processo, 2023, p. 79; G. De Francesco, Uno sguardo d’insieme sulla giustizia riparativa, in Leg.pen., 2 febbraio 2023; E. Mattevi, La rieducazione nella prospettiva della giustizia riparativa: il ruolo della vittima, in A. Meneghini-E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, Università degli Studi di Trento, 2022, p. 65.

[21] Su questa tematica, cfr. intervento di G. Fiandaca nel convegno La rieducazione del condannato e i diversi volti della riparazione: un possibile binomio?, organizzato da UnitelmaSapienza 21 aprile 2023 (e pubblicato su www.youtube.com/watch?v=AdsJA
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) il cui pensiero è esposto anche nella Relazione di sintesi sulla rieducazione in fase esecutiva. Aspetti problematici vecchi e nuovi, in A. Meneghini-E. Mattevi (a cura di), La rieducazione oggi, cit., p. 213.

[22] M. Donini, Riparazione e pena da Anassimandro alla CGUE, cit., p. 411.

[23] M. Donini, Riparazione e pena da Anassimandro alla CGUE, cit. p. 411.

[24] Sul punto, anche in chiave critica, M. Bouchard-F. Fiorentin, Sulla Giustizia riparativa, cit., p. 42.

[25] Per una ricostruzione delle posizioni che si dividono sul punto in dottrina con un ampio sguardo anche alle fonti statunitensi, cfr. F. Reggio, Giustizia dialogica, cit., p. 21 ss.

[26] Sull’importanza della figura del mediatore per l’attuazione del modello di giustizia riparativo, cfr. G. Mannozzi-G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa, cit., p. 342.