Processo Penale e GiustiziaISSN 2039-4527
G. Giappichelli Editore

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Riparazione e pene sostitutive. Il sistema penale al bivio tra retrotopia e risemantizzazione (di Giuseppe Amarelli, Professore ordinario di Diritto penale – Università degli Studi di Napoli Federico II)


Nonostante l’assenza di una disciplina esplicita, la giustizia riparativa e le pene sostitutive presentano più di un punto di contatto. L’esito di un programma di restorative justice può, infatti, incidere tanto sul presupposto per l’appli­cazione delle pene sostitutive (i.e. la pena detentiva in concreto infra-quadriennale) in forza delle statuizioni contenute nell’art. 58 d.lgs. n. 150/2022 e nel novellato art. 62, n. 6, c.p., quanto sulla valutazione del giudice circa l’effettiva sostituzione e (in caso di decisione positiva) sull’individuazione della pena più idonea. L’innesto tra i due perni della Cartabia presenta, però, anche dei risvolti problematici: da un lato, apre spazi di discrezionalità eccessivi al giudice su aspetti che incidono sull’inflizione di una pena ‘fuori’ o ‘dentro’ il carcere; dall’altro, fa sorgere dubbi circa i riflessi che può avere l’esito negativo di un programma di giustizia riparativa sul diniego di applicazione delle pene sostitutive. Solo le prime applicazioni concrete potranno aiutare a far chiarezza su questi ed altri profili controversi e ad apprezzare l’impatto effettivo della riforma sul sistema penale. La scienza penale si trova ora ad un bivio: o cedere a facili tentazioni ‘retrotopiche’, ritornando al passato e rinnegando le coraggiose, per quanto imperfette, scelte del legislatore recente; o proseguire nell’affinamento della riforma valorizzando i suoi perni, la R.J. e le pene sostitutive, e procedere così, in un futuro non remoto, alla risemantizzazione delle sue categorie centrali, la pena e il processo.

Restorative justice and substitute sanctions of short prison sentences. Criminal justice system between retropia and resemantizazion

The paper analyzes the new regulation on restorative justice and substitute sanctions of short prison sentences introduced by the ‘Cartabia reform’. In so doing, it aims to examine strengths and critical issues of the reform on the subject and ponders the future of these innovations.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il silenzio legislativo ed i punti di connessione impliciti tra giustizia riparativa e pene sostitutive: la commisurazione della pena detentiva e l’applicazione della pena sostitutiva - 3.I punti incerti di ulteriore possibile contatto: la fase applicativa ed esecutiva delle pene sostitutive - 4. I profili problematici: l’eccessiva discrezionalità del giudice - 5. I possibili riflessi negativi del programma di giustizia riparativa sulle pene sostitutive - 6. La scienza penale al bivio: sterilizzare il cambiamento consolidando i vecchi concetti di pena e processo penale, o incentivarlo attribuendo loro nuovi significati? - NOTE


1. Premessa

Innanzi tutto, mi unisco anche io al coro dei ringraziamenti nei confronti del Presidente e degli organizzatori per avermi dato la possibilità di partecipare – pur essendo un sostanzialista – ad un evento così prestigioso come il convegno periodico della Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale, peraltro, su un argomento così suggestivo e ‘in fieri’ come quello della restorative justice, sinora trattato nel dibattito scientifico multidisciplinare esclusivamente in una prospettiva teorico-dommatica provando ad elaborare modelli ideal-tipici di giustizia riparativa, sperimentando lessico e concetti del tutto nuovi e soffermandosi su suggestive questioni iconografiche, e che, invece, è ora realtà giuridica concreta e tangibile, destinata a trovare applicazione quotidianamente nel diritto vivente [1].

L’unica possibilità che ho a disposizione per ripagare questa graditissima ospitalità in munere alieno è la sintesi ed il rispetto rigoroso dei tempi assegnati. Sintesi, peraltro, imposta dalla straordinaria bellezza dell’aula sagacemente scelta per lo svolgimento dei lavori odierni dall’amica e collega Carla Pansini: trascorsi venti minuti lo sguardo e la mente di tutti i presenti volano inevitabilmente verso il mare che si staglia alla nostra sinistra distraendosi irrimediabilmente.

Entriamo, dunque, subito nel vivo dello stimolante argomento che mi è stato assegnato, anticipando brevemente gli aspetti principali che proverò a sviluppare.

Nel torno di tempo a disposizione mi limiterò dapprima a ricostruire i punti di intersezione tra la restorative justice e le pene sostitutive delle pene detentive brevi, andando a delineare le capacità performative della giustizia riparativa anche rispetto alle nuove misure punitive di cui all’art. 20 bis c.p. Poi procederò ad illustrare i profili più problematici di questo processo di cross fertilization, da un lato, accennando al­l’eccessiva indeterminatezza dei presupposti applicativi di entrambi e, quindi, all’eccessivo spazio di discrezionalità riservato all’autorità giudiziaria nello svolgimento di valutazioni che hanno ripercussioni sul diritto penale sostanziale e, quindi, dovrebbero essere maggiormente rispettose della legalità penale in tutte le sue articolazioni; dall’altro, segnalando le possibili ripercussioni che può generare sulla applicazione delle pene sostitutive l’esito negativo di un programma di giustizia riparativa eventualmente attivato. Concludendo, infine, con alcune osservazioni su un possibile affinamento del nuovo sistema in via di sperimentazione e sulle sfide a cui è chiamata, di conseguenza, la dottrina nel­l’immediato futuro.


2. Il silenzio legislativo ed i punti di connessione impliciti tra giustizia riparativa e pene sostitutive: la commisurazione della pena detentiva e l’applicazione della pena sostitutiva

Nella ricca ed articolata orditura del d.lgs. n. 150/2022, non scevra di piccole imprecisioni e lacune, manca una correlazione diretta ed esplicita tra i due perni principali della riforma Cartabia, la giustizia riparativa [2] e le pene sostitutive [3], vale a dire tra i due istituti che da ‘pietre di scarto’ sembrano essere diventati (almeno nelle intenzioni del legislatore) vere e proprie ‘testate d’angolo’ del novellato sistema sanzionatorio penale.

Ma la natura ‘complementare’ e non ‘alternativa’ rispetto al sistema punitivo tradizionale del modello di restorative justice prescelto nel nostro sistema penale [4], unitamente alla sua dimensione duttile e trasversale, che lo rende percorribile in ogni fase e grado del procedimento penale, lascia implicitamente presagire che esistano dei punti di contatto con le pene sostitutive.

Com’è noto, infatti, e come è stato già evidenziato negli altri perspicui interventi che mi hanno preceduto, si è scelto di non costruire la giustizia riparativa attribuendole una natura giuridica definita ed unitaria (di causa di non punibilità, di causa estintiva, di pena autonoma, ecc.), optando, al contrario, per la sua conformazione come modello complementare-integrativo di giustizia, attivabile in ogni fase del procedimento penale (dalle indagini preliminari alla fase esecutiva) dall’autorità giudiziaria ex art. 129-bis c.p.p. e art. 15-bis, l. n. 354/1975, e capace di condurre alla non punibilità solo se percorso nell’ambito di altre cause di non punibilità come quelle di cui agli artt. 131-bis, 162-bis e 162-ter c.p. o, prima ancora, dei procedimenti penali per i reati procedibili a querela [5].

In assenza di canali di comunicazione diretti positivizzati dal legislatore della riforma, i punti di connessione tra la giustizia riparativa e le pene sostitutive si intravedono in filigrana, tra le pieghe della relativa disciplina.

Più precisamente, la correlazione sembra manifestarsi su due piani: quello della integrazione del presupposto oggettivo per l’applicazione delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981, i.e. la commisurazione della pena detentiva irrogata in concreto sotto il tetto dei quattro anni; e quello della decisione discrezionale del giudice ex art. 58 della stessa legge e art. 545-bis c.p.p., una volta determinata in concreto la pena detentiva sotto tale limite, circa l’effettiva applicazione delle pene sostitutive e la scelta di quella che risulti, a suo avviso, più idonea tra queste.

Sotto il primo versante, da una attenta lettura di alcune delle disposizioni principali della Cartabia, si evince che la restorative justice può impattare indirettamente sulle pene sostitutive, rilevando ‘a monte’ ai fini della commisurazione in concreto della pena detentiva sotto il limite normativo dei 4 anni che può renderle applicabili.

Da un lato, infatti, l’art. 58, comma 1, d.lgs. n. 150/2022, stabilisce che “l’autorità giudiziaria, per le determinazioni di competenza, valuta lo svolgimento del programma e, anche ai fini di cui all’articolo 133 del codice penale, l’eventuale esito riparativo”, lasciando così intendere che in sede di commisurazione della pena il giudice della cognizione potrà scendere sotto la soglia dei quattro anni di pena in concreto anche grazie alla valutazione del programma di giustizia riparativa positivamente portato a compimento dal reo.

Dall’altro, il novellato art. 62, n. 6, c.p. contempla accanto alla preesistente diminuente del c.d. ravvedimento operoso una nuova circostanza attenuante comune di applicazione obbligatoria per “l’avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati”, offrendo così al giudice un secondo ed ancor più efficace strumento per andare sotto il limite oggettivo quadriennale della pena detentiva in concreto inflitta anche per delitti che prevedono compassi edittali abbastanza severi come, ad esempio, sei anni di minimo edittale [6].

Sotto il secondo versante, incide ‘a valle’ nella parte in cui l’art. 58 l. n. 689/1981, rubricato Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive, in seguito ai profondi cambiamenti apportati dall’art. 71, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 150/2022, prevede oggi che ai fini dell’applica­zione delle pene sostitutive il giudice non tiene conto solo dei parametri commisurativi di cui all’art. 133 c.p., ma anche di un giudizio prognostico sulla futura osservanza delle prescrizioni eventualmente impartite al reo unitamente alle pene sostitutive [7].

È evidente che tale giudizio può essere fortemente condizionato dalla relazione del centro per la giustizia riparativa inerente all’esito del programma eventualmente attivato in precedenza su impulso del giudice. Ed infatti, presumibilmente, da un esito positivo si potrà inferire la capacità del reo di rispettare anche le prescrizioni legate alle pene sostitutive e, quindi, decidere di ‘concedere’ queste ultime; mentre, all’opposto, da un esito negativo si potrà desumere la probabile inosservanza delle stesse e, dunque, determinarsi a non procedere alla sostituzione della pena.

Ma a far presumere che anche in sede di valutazione circa l’an dell’applicazione delle pene sostitutive possa rilevare il risultato del programma di giustizia riparativa già svolto proficuamente dal reo contribuisce anche la laconicità della disciplina recata dall’art. 58, comma 1, d.lgs. n. 150/2022, nella misura in cui si limita ad enunciare che l’autorità giudiziaria guarda all’esito positivo “per le determinazioni di competenza”.

Una formula così aperta ed elastica (determinazioni di competenza) lascia intuire che l’autorità giudiziaria sarà sempre tenuta a valutare il dato rappresentato dall’esperienza riparativa positivamente conclusa in ogni ambito in cui il sistema penale le consenta margini di discrezionalità e, dunque, di possibile applicazione di determinati istituti, certamente allora anche al momento della decisione sulla applicazione delle pene sostitutive [8].

Naturalmente, sotto questo versante molto – se non tutto – dipenderà dal dettaglio e dalla analiticità della relazione sul programma di giustizia riparativa elaborato ai sensi dell’art. 57 d.lgs. n. 150/2022, dal mediatore del centro per la giustizia riparativa ed inoltrato all’autorità giudiziaria competente da cui sarà o meno possibile evincere dati oggettivi circa la futura osservanza delle prescrizioni.

Cosa tutt’altro che scontata, considerate le confliggenti esigenze di riservatezza che permeano la disciplina della giustizia riparativa non solo in caso di esito negativo, ma anche di esito positivo, potendo emergere all’interno dei programmi svolti dichiarazioni auto-indizianti o, comunque, elementi contra reum, come ad esempio nel caso di un programma attivato nell’ambito di un’indagine per concussione sessuale, nel cui sviluppo riconciliativo affiorino elementi denotativi dell’assenza di costrizione a dare o promettere le prestazioni sessuali da parte del privato, cosa che nel giudizio penale potrebbe farne mutare la veste processuale da persona offesa a concorrente di una corruzione o di una induzione indebita.

Per un verso, infatti, sarebbe auspicabile che nella relazione sia indicato nel dettaglio il percorso svolto tra le parti coinvolte, la partecipazione effettiva di entrambe, l’approccio avuto dal reo, il gesto riparativo richiesto (simbolico o materiale), l’effettiva esecuzione dello stesso, oppure l’arresto immediato del programma o la sua interruzione in itinere illustrandone sempre le ragioni, perché in molti casi potrebbe dipendere dalla assenza di consenso della persona offesa.

Per altro verso, però, la disciplina dettata nella legge Cartabia, segnatamente l’art. 50 d.lgs. n. 150/2022, sembrerebbe richiedere espressamente ai centri per la giustizia riparativa (salvo l’obbligo di denuncia dei reati di cui eventualmente i mediatori vengano a conoscenza durante i programmi) un dovere di riserbo sul percorso conciliativo in ragione delle caratteristiche ben diverse che questo ha rispetto a quelle del processo penale e delle ripercussioni in malam partem che potrebbero scaturire dalle notizie propalate [9].

In assenza di una disciplina puntuale sui requisiti di tali relazioni, e considerate le contrapposte esigenze retrostanti, per evitare asimmetrie macroscopiche sarebbe auspicabile almeno un processo di c.d. auto-normazione secondaria [10] analogo a quello sviluppatosi per l’iter da seguire per l’applicazione delle nuove pene sostitutive in diversi distretti giudiziari, e cioè la redazione di protocolli o linee guida di concerto tra magistratura, avvocatura e rappresentanti territoriali dei centri per la giustizia riparativa recanti caratteri e contenuti minimi comuni delle relazioni conclusive.


3.I punti incerti di ulteriore possibile contatto: la fase applicativa ed esecutiva delle pene sostitutive

Più controverso, sulla scorta della disciplina esistente, è se la restorative justice possa intersecarsi con le pene sostitutive anche nella fase decisiva del giudizio di cognizione, quella in cui il giudice si determina, all’esito della valutazione discrezionale ai sensi del novellato e già menzionato art. 58 l. n. 689/1981, ad applicare queste ultime.

È da valutare, cioè, se il giudice al momento della adozione del doppio dispositivo con cui ex art. 545-bis c.p.p. applica la pena sostitutiva reputata idonea, nel silenzio della disposizione in parola sul punto, possa anche disporre l’invio dell’imputato e della vittima presso un centro per la giustizia riparativa ai fini dell’attivazione di un programma riconciliativo parallelo ed ulteriore.

Un analogo dubbio concerne la fase esecutiva delle pene sostitutive, dal momento che anche su tale fronte manca una disposizione espressa poiché l’art. 661 c.p.p., dedicato a regolamentare tale precipuo aspetto, non richiama il novellato art. 656, comma 3, c.p.p., che contempla in modo esplicito la possibilità di accedere ad un programma di giustizia riparativa.

In entrambi i casi, pur in assenza di preclusioni espresse, sembrano residuare davvero spiragli minimi per l’avvio di un percorso di mediazione su impulso dell’autorità giudiziaria competente.

Ed invero, in fase di applicazione delle pene sostitutive, il giudice ha già formulato un giudizio prognostico positivo sul reo e sulla sua possibile rieducazione ed ha già impartito obblighi e prescrizioni che (sovente) implicano attività riparatorie unilaterali a favore della vittima, all’esito peraltro di un giudizio bifasico complesso ex art. 545-bis c.p.p. che ne appesantisce già di molto il lavoro. Difficile pensare che si gravi ulteriormente, da solo, di ulteriori incombenze, sollecitando l’avvio di programmi di giustizia riparativa di cui dovrebbe anche tener conto direttamente come, ad esempio, nel caso di lavoro di pubblica utilità sostitutivo rispetto al quale resta il giudice competente.

Stesso discorso vale per la fase esecutiva delle pene sostitutive in cui il magistrato di sorveglianza (e, per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, il giudice che lo ha applicato) molto difficilmente stimolerà le parti a percorrere itinerari di restorative justice trattandosi di pene miti che già sono affiancate da prescrizioni sulle cui caratteristiche, contenuto ed osservanza è, invece, tenuto a vigilare ai sensi dell’art. 62, comma 2, l. n. 689/1981. Senza trascurare che rispetto ad un condannato definitivo a pene sostitutive, l’avvio da parte dell’autorità giudiziaria di programmi di giustizia riparativa rischia di intorbidare il requisito centrale per il suo funzionamento, il consenso autonomo, convinto e libero dei suoi protagonisti.

Non di meno, però, non è da escludere che l’autorità giudiziaria, in un caso di semilibertà sostitutiva – misura che contempla necessariamente il coinvolgimento dell’UEPE –, potrebbe comunque apprezzare come segno positivo di allineamento alle prescrizioni eventualmente impartite con le pene sostitutive applicate la notizia comunicata da questo ufficio dell’attiva partecipazione del condannato ad un programma di giustizia riparativa autonomamente percorso e conclusosi con esito positivo.

Non paiono, invece, esserci dubbi circa la possibilità di innestare nell’ambito di talune pene sostitutive delle pene detentive brevi, specificamente della semilibertà e della detenzione domiciliare sostitutive di cui agli artt. 55 e 56 l. n. 689/1981, l’imposizione di condotte riparatorie in senso stretto, vale a dire di condotte unilaterali post patratum crimen del reo a contenuto ripristinatorio e/o risarcitorio [11]. Entrambe queste pene sostitutive contemplano, difatti, la redazione di un programma trattamentale da parte dell’UEPE competente, nel primo caso necessariamente, nel secondo solo eventualmente e, dunque, aprono spiragli alla previsione all’interno di questo di attività postfatto del reo. Attività che comunque potrebbero anche essere imposte da parte dell’autorità giudiziaria competente alla sostituzione che è autorizzata ex art. 545 bis, comma 2, c.p.p. ad impartire obblighi e prescrizioni nei confronti del condannato.


4. I profili problematici: l’eccessiva discrezionalità del giudice

L’intersecazione tra la giustizia riparativa e le pene sostitutive presenta anche taluni risvolti problematici.

Il primo è rappresentato dall’eccesso di discrezionalità che viene riconosciuta all’autorità giudiziaria sull’an dell’attivazione della restorative justice e dell’applicazione delle pene sostitutive [12]: un simile vastissimo spazio valutativo non sembra, infatti, pienamente in sintonia con il principio di legalità dei reati e delle pene e, soprattutto, con il sotto-principio di precisione, determinatezza e tassatività della legge penale, nonché dell’accessibilità dei comandi legali e della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie [13].

Ed invero i presupposti per l’invio dell’imputato e della vittima ad un centro per la giustizia riparativa fissati dalla riforma Cartabia e, quindi, per la possibile integrazione di un elemento che inciderà come si è visto, per espressa statuizione di legge, sulla commisurazione della pena ex artt. 133 e 62, n. 6, c.p. e, dunque, sul superamento dello sbarramento di accesso alle pene sostitutive (la pena detentiva ultra-quadriennale), sono vaghissimi.

Il nuovo art. 129-bis c.p.p., infatti, si limita ad enunciare con un abuso di clausole generali e locuzioni anfibologiche [14] che un programma di restorative justice può essere attivato quando “possa essere utile alle risoluzioni delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede” e quando non comporti “un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti”.

A ciò si aggiungea l’indeterminatezza anche dei parametri sulla cui scorta il giudice, ai sensi del novellato art. 58, l. n. 689/1981, è tenuto a decidere circa l’applicazione delle pene sostitutive, rappresentati dalla ritenuta idoneità alla rieducazione del condannato, dalla capacità di prevenire il pericolo di commissione di altri reati, oltre che dalla prognosi sul futuro adempimento delle prescrizioni imposte.

Senza trascurare la vaghezza dei criteri previsti per l’applicazione della circostanza attenuante obbligatoria costituiti dall’”avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo”, dal momento che tale dato (partecipazione e conclusione con esito riparativo) è fornito dal mediatore sulla scorta di un suo potere discrezionale amplissimo e non sindacabile dal giudice.

È evidente che si viene a tratteggiare una disciplina connotata da macroscopici limiti di precisione e determinatezza che ha, però, concrete e tangibili ricadute su un piano cruciale del diritto penale sostanziale, quello della pena effettivamente irrogata, e, quindi, sul versante più generale della limitazione dei diritti fondamentali del reo.

Se, infatti, a causa della scelta individuale del singolo giudice di cognizione di non avviare un percorso riparativo, la pena detentiva in concreto irrogata risulti superiore a quattro anni e, dunque, venga meno il presupposto minimo per applicare le pene sostitutive, si finisce con il trasformarne la natura, che transita dall’essere pena che si esegue ‘fuori dal carcere’ a pena che si esegue ‘dentro il carcere’; differenza questa considerata di recente ‘qualitativamente radicale’ dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 32/2020 in ragione delle ripercussioni che produce sulla compressione della libertà personale del reo [15]. Se rispetto a disposizioni formalmente appartenenti al diritto penitenziario, ma sostanzialmente implicanti queste ricadute sul tipo di pena effettivamente eseguita, si è derogato al principio tempus regit actum e si è invece applicato il principio di irretroattività in forza della loro natura giuridica considerata opportunamente penale sostanziale, mutatis mutandis anche in questo caso le disposizioni in materia di giustizia riparativa e di pene sostitutive, avendo ricadute sul tipo di pena irrogata, dovrebbero esser ascritte alla ‘materia penale sostanziale’ e sottostare almeno nella definizione dei loro presupposti applicativi alle garanzie della legalità penale e, quindi, anche al principio di precisione e determinatezza.


5. I possibili riflessi negativi del programma di giustizia riparativa sulle pene sostitutive

Molto probabilmente, però, le maggiori criticità derivanti dalla intersecazione dei due istituti di recente conio concernono i riflessi che può riverberare l’esito infruttuoso di un programma di giustizia riparativa avviato ex art. 129 bis c.p.p. tanto sulla decisione discrezionale del giudice di non applicazione delle pene sostitutive, quanto sulla scelta di non applicare (pur rientrando nei tetti di pena fissati dall’art. 53 d.lgs. n. 150/2022) le pene sostitutive meno afflittive, i.e. la pena pecuniaria o il lavoro di pubblica utilità, optando per quelle più gravose della detenzione domiciliare o della semilibertà [16].

Le incertezze scaturiscono dalla formulazione ancora una volta poco determinata della regola generale circa le ripercussioni sul reo di un programma di mediazione non concluso positivamente.

L’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 150/2022, infatti, si limita a disporre che “la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa”. Senza specificare alcunché rispetto alle pene sostitutive, la disposizione in parola enuncia, dunque, un genericissimo ed indistinto divieto di produzione di effetti sfavorevoli contra reum.

Diviene allora necessario chiarire cosa si intenda con la locuzione “effetti sfavorevoli” impiegata dal legislatore.

Se non ci sono dubbi che rientri in tale preclusione la possibilità per il giudice della cognizione di infliggere una pena più severa rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto già stimata ai sensi dell’art. 133 c.p., molto più controverso è se vi possa esser ricondotta anche la decisione di non concedere al reo dei benefici premiali previsti dal sistema penale e, quindi, per quello che in questa sede interessa, di non applicare le pene sostitutive in luogo di una pena detentiva di breve durata.

In primo luogo, le perplessità scaturiscono dall’ambiguità della categoria di ‘benefici premiali’ di carattere processuale o penitenziario; in secondo luogo, dal carattere del divieto che, riguardando gli “effetti sfavorevoli”, parrebbe voler tutelare il diritto soggettivo del reo a non essere valutato anche in malam partem per il fallimento di un programma di giustizia riparativa, ma non anche di non poter ottenere una mitigazione del trattamento sanzionatorio accedendo a delle possibilità offerte dall’ordinamento, essendo questa una mera eventualità ancorata all’osservazione proprio del comportamento del reo post crimen e non un diritto ad essere giudicato sfavorevolmente per il solo reato commesso.

Sotto il primo versante, la natura giuridica reale delle nuove pene sostitutive appare controversa, non essendo chiarissimo se debbano essere considerate vere e proprie pene di natura sostanziale, oppure benefici premiali di natura processuale, segnatamente forme anticipate di accesso alle misure alternative alla detenzione, e, quindi, se rientrino o meno concettualmente negli effetti sfavorevoli che non possono discendere dall’esito riparativo negativo.

Sotto il secondo versante, ampliando lo sguardo anche all’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 150/2022, in base al quale non può pervenirsi alla sostituzione delle pene detentive brevi «quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato», sembra doversi giungere alla conclusione che l’esito negativo di un programma di giustizia riparativa possa condizionare la scelta sulla applicazione delle pene sostitutive incidendo sul giudizio prognostico dell’autorità giudiziaria in quanto “motivo fondato” da cui inferire la futura (probabile) inosservanza delle prescrizioni.

Se, cioè, la relazione del mediatore inviata all’autorità giudiziaria evidenzia il fallimento del programma e, soprattutto, se ne specifica le ragioni individuandole nel comportamento non partecipativo del reo piuttosto che in quello della vittima, è ben possibile che il giudice tenga conto di questa valutazione per non concedere la sostituzione della pena detentiva infra-quadriennale irroganda perché è ragionevole prevedere che quello stesso reo difficilmente osserverebbe gli obblighi e le prescrizione con questa inflitte.

Il secondo problema riguarda la possibile incidenza dell’esito non positivo non a monte sulla decisione circa l’an dell’applicazione delle pene sostitutive, ma a valle (una volta, cioè, che il giudice abbia già scelto di concedere la sostituzione) sul quomodo, vale a dire, sulla scelta della misura più idonea ai sensi dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 150/2022. Il medesimo articolo, al comma 3, prevede, infatti, che il giudice, quando applica le misure più rigorose, i.e. la semilibertà o la detenzione domiciliare, “deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria”.

È da verificare se, sulla scorta del combinato disposto dei due commi richiamati, possa essere considerata ragione specifica per la mancata applicazione delle species di pene sostitutive più miti l’infrut­tuosa conclusione di un programma di mediazione, oppure se non possa esser annoverata tra le stesse; in caso di risposta affermativa si avrebbe un’altra ripercussione negativa della giustizia riparativa sulle pene sostitutive.

Probabilmente, il discorso sarebbe mutato e la risposta sarebbe stata negativa laddove il legislatore avesse costruito le nuove pene sostitutive come vere e proprie pene edittali principali per reati di fascia medio-bassa, secondo gli auspici della dottrina [17]: in tal caso, sicuramente l’esito negativo del programma non avrebbe potuto portare il giudice a inasprire il trattamento sanzionatorio negando la pena sostitutiva o applicando quella più grave, perché altrimenti si sarebbe rientrati nel novero degli effetti sfavorevoli per il reo vietati dalla riforma.

Diversamente, modellate come istituti premiali per reati in concreto ritenuti punibili con pena detentiva infra-quadriennale, l’eventuale diniego di concessione delle più miti misure sostitutive può esser considerato più che come un effetto sfavorevole, come un mancato effetto favorevole.

In ogni caso, nonostante le criticità evidenziate, la soluzione ideale per appagare, al contempo, i due obiettivi principali della riforma Cartabia, vale a dire le istanze rieducativo-individualizzanti della pena e quelle deflattive del processo penale, sarebbe quella di concludere i procedimenti penali con dei patteggiamenti in cui la pena da irrogare in concreto sia individuata in una delle nuove pene sostitutive ex art. 20-bis c.p., sulla scorta anche di un percorso di giustizia riparativa avviato in fase di indagini preliminari e già concluso con esito positivo attestato espressamente e motivatamente nella relazione del mediatore.


6. La scienza penale al bivio: sterilizzare il cambiamento consolidando i vecchi concetti di pena e processo penale, o incentivarlo attribuendo loro nuovi significati?
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Tuttavia, per il momento, nonostante gli sforzi profusi dalla magistratura e dall’avvocatura nella elaborazione di protocolli e linee guida funzionali ad assicurare una omogenea applicazione delle pene sostitutive [18], le nuove misure punitive di cui all’art. 20-bis c.p. stanno stentando ad affermarsi nelle aule di giustizia e a transitare dalla potenza all’atto, mentre la giustizia riparativa attende (ad oggi) i decreti attuativi [19].

La giurisprudenza e, prima ancora, gli avvocati, in rare occasioni hanno innescato il nuovo meccanismo sostitutivo delle pene detentive brevi a causa di una pluralità eterogenea di ragioni che spaziano dalla farraginosità per i magistrati del modello bifasico di decisione, all’assenza di competenze specifiche e/o all’aggravio lavorativo necessario per supportare il reo nelle richieste, alla insostenibilità dei termini concepiti dal legislatore per l’elaborazione dei programmi, alla incapacità (a causa della evidente carenza di organico) dell’UEPE di poter far fronte alle richieste nei tempi ridotti imposti dalla legge, fino alla ritrosia della difesa a richiedere le pene sostitutive perché, non contemplando l’affidamento in prova, rischiano di precludere – se applicate – la possibilità di richiedere quest’ultimo in fase esecutiva come misura alternativa alla detenzione.

Il rinnovato sistema sanzionatorio per funzionare meglio necessiterebbe almeno di un paio di ritocchi minimi della disciplina odierna. Per un verso, sarebbe sufficiente sul piano sostanziale commutare la natura giuridica delle sanzioni sostitutive, trasformandole in pene principali legali con la previsione di un criterio generale di ‘ragguaglio’ edittale per le cornici di pena dei singoli reati di parte speciale e, contestualmente, modificando la conformazione dell’art. 59 d.lgs. n. 150/2022, relativa ai limiti soggettivi di applicabilità; per altro verso, sul piano processuale, si dovrebbe superare il gravoso meccanismo bifasico ispirato al sentencing di cui all’art. 545-bis c.p.p. che rappresenta il principale fattore ostativo alla loro applicazione.

In attesa di simili interventi riformistici, e limitandosi ad uno sguardo di carattere teorico-generale, le nuove pene sostitutive possono comunque essere considerate come una novità rilevante e positiva della riforma 2022, soprattutto se ben combinate con la giustizia riparativa.

Innanzi tutto, costituiscono un ennesimo importante passo in avanti verso il superamento dell’ora­mai arcaico sistema sanzionatorio penale carcerocentrico, difficilmente adattabile con il volto costituzionale della pena rieducativo-risocializzante e individualizzante scolpito dall’art. 27, comma 3, Cost. [20], necessitante, all’opposto, di un pluralismo sanzionatorio come quello assicurato da queste nuove tipologie di risposte punitive [21].

In secondo luogo, rappresentano un ulteriore sviluppo della profezia di von Jhering secondo cui la storia della pena è una storia di continua abolizione. Consentono, infatti, di aggiornarla ed integrarla, affiancando all’originario assunto secondo cui “dove basta la pena pecuniaria, nessuna pena detentiva, dove basta quest’ultima nessuna pena di morte”, il nuovo postulato in forza del quale anche “dove basta la pena sostitutiva, nessuna pena detentiva” [22].

In terzo luogo, contribuiscono a riscrivere le modalità di reazione dell’ordinamento giuridico al reato, soprattutto se abbinate nelle forme prima descritte con la giustizia riparativa, abbandonando una visuale puramente reo-centrica che porta a discettare unicamente sul maggiore o minore rigore delle pene inflitte ed abbracciandone una più complessa che mira al reinserimento sociale del reo ed alla conciliazione con la persona offesa e la collettività.

Nel mezzo del guado di un potenziale grande cambiamento, la scienza penale e, prima ancora e soprattutto, il legislatore, si trovano davanti ad un insidioso crocevia, essendo chiamati a scegliere se integrare e sviluppare ulteriormente la riforma Cartabia, potenziando i suoi istituti principali delle pene sostitutive e della restorative justice, oppure se lasciarla lentamente spegnersi per desuetudine a causa di talune sue criticità, decretandone il fallimento e consolidando, di riflesso, l’attuale assetto del sistema sanzionatorio e processuale.

Nel terreno circoscritto di uno dei settori più delicati dell’ordinamento giuridico sembra, cioè, giocarsi la partita che sul piano filosofico si è aperta tra la tendenza, da un lato, alla retrotopia di cui parla criticamente Zygmunt Bauman nell’ultimo dei suoi lavori, e cioè al rifiuto del nuovo, alla paura dell’avvenire che continua sempre a deludere le aspettative del presente, e al rifugio nelle vecchie e (immaginariamente) tranquillizzanti certezze del passato [23] e, dall’altro e opposto lato, all’assecon­da­men­to del divenire storico che implica, invece, un processo di risemantizzazione dei concetti del passato, attribuendo loro un significato in stretta connessione con il rinnovato substrato politico-sociale e costituzionale, secondo le suggestive riflessioni di Reinhart Koselleck, Autore della cui scoperta sono grato ad un valido collega dell’Osser­vatorio misure di prevenzione delle Camere penali italiane, nonché caro amico, Marcello Fattore [24].

Se si proseguirà nella strada appena intrapresa, e le sanzioni sostitutive e la giustizia riparativa riusciranno davvero a decollare eliminando talune venature eticizzanti e difetti di disciplina oggi presenti e potenzialmente pericolosi per l’imputato, il concetto di pena – linguisticamente rimasto immoto – subirà una radicale attualizzazione, non più andando a delineare (coerentemente con il suo carattere storicamente ‘ritorsivo-vendicativo’ e con la sua funzione tradizionale di raddoppio del male scaturito dalla commissione del reato [25]) l’inflizione di un pati unilaterale da parte dello Stato monopolista della giustizia pubblica, limitativo dei diritti fondamentali del reo, escludente, segregante e stigmatizzante, bensì un percorso articolato di tipo dialogico-riconciliativo tra il reo, la persona offesa, l’autorità giudiziaria e altri attori sociali eventualmente implicati [26].

Ugualmente accadrà alla nozione di processo penale, che pur rimanendo identica formalmente, non andrà più a definire un’attività monopolistica dello Stato funzionale all’approssimazione alla verità storica dei fatti penalmente rilevanti e alla individuazione e punizione dei loro responsabili secondo un rigido e predato sistema di regole positivizzate [27], ma una “istituzione socialmente utile in senso personalistico” [28], un mezzo che, con il coinvolgimento dei centri di giustizia riparativa al di fuori del processo penale statale e delle sue forme, tenda a ricomporre i conflitti sociali generati dalla commissione di un reato e a pacificare le parti direttamente e indirettamente coinvolte, irrogando in casi limite pene tendenzialmente non detentive.

Tenuto conto che, come ha insegnato la storia, le restaurazioni il più delle volte arginano e rallentano il progresso anche sul piano giuridico e che bisogna guardare uniti al futuro per poter far progredire la società [29], la via da seguire parrebbe essere l’ultima indicata, confidando nelle capacità delle nuove generazioni di studiosi e giuristi di seguire l’insegnamento metodologico del compianto Ranaldi che in tanti hanno ricordato in questa giornata e, cioè, di “pensare estremo agendo accorto” [30], e di affinare e migliorare gli innovativi istituti della restorative justice e delle pene sostitutive. Muovendosi lungo questa direttrice, infatti, si potrebbe davvero rendere il nostro sistema sanzionatorio sempre più umano ed inclusivo come vorrebbe la Costituzione [31] ed anche permettere alla dottrina di dedicarsi a rinvenire nuovi e più coerenti significati a taluni lemmi-chiave del sistema penale.

Così, se la Sattelzeit (l’epoca cerniera) tra l’età moderna e quella contemporanea, grazie alla forza trainante delle idee dell’illuminismo giuridico liberale, ha condotto nel periodo a cavaliere tra il XVIII e il XIX secolo a stravolgere nelle fondamenta l’intero sistema penale e a risemantizzare il concetto di Giustizia pubblica, che da instrumentum regni nelle mani del sovrano da utilizzare in maniera potestativa e spietata per esigenze di controllo sociale e preservazione dell’ordine costituito è divenuto Magna Charta libertatum del reo che fissa limiti invalicabili alla potestà punitiva statale a garanzia dell’autore del reato [32], ora, in questa nuova fase cruciale della prima metà del XXI secolo, “per arginare le correnti del ritorno a Hobbes” [33] e per realizzare il programma ancora parzialmente inespresso contenuto nella Grundnorm costituzionale e nel programma illuministico, è il momento di provare a compiere altri drastici cambiamenti del sistema penale e di ricercare così nuove e più coerenti accezioni per i suoi marcatori identitari, la pena e il processo capaci di adattarsi al nuovo contesto di riferimento e, al contempo, di agevolarne l’evoluzione.

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NOTE

[1] Nella Gazzetta Ufficiale, 5 luglio 2023, n. 155, sono stati, infatti, pubblicati i due attesi decreti del Ministro della Giustizia che provvedono all’attuazione della disciplina della giustizia riparativa dettando una disciplina di dettaglio per la formazione dei mediatori e l’istituzione di un elenco di esperti.

[2] In argomento, per un inquadramento generale della categoria, cfr. G. Mannozzi, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, Torino, Giappichelli, 2017, passim; Id., La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, Giuffrè, 2003, passim; E. Mattevi, Una giustizia più riparativa, Napoli, Editoriale scientifica, 2017, passim; G.A. De Francesco, Il silenzio e il dialogo. Dalla pena alla riparazione dell’illecito, in www.lalegislazionepenale.eu, 1 giugno 2021, p. 15. Per dei primi commenti alla disciplina di recente creazione, si rinvia a V. Bonini, Evoluzioni della giustizia riparativa nel sistema penale, in Proc. pen. giust., 2022, p. 102 ss.; M. Bortolato, La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, in Quest. giust., 10 ottobre 2022; M. Bouchard, Commento al Titolo IV del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 sulla disciplina organica della giustizia riparativa, in Quest. giust., 7 febbraio 2023; L. Eusebi, Giustizia riparativa e riforma del sistema penale, in Dir. pen. proc., 2023, p. 79 ss.; R. Bartoli, Una breve introduzione alla giustizia riparativa nell’ambito della giustizia punitiva, ivi, 29 novembre 2022; R. Muzzica, Il ruolo dell’autorità giudiziaria nei programmi di giustizia riparativa, in Sist. pen., 2/2023, p. 35 ss.; F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte I “disciplina organica” e aspetti di diritto sostanziale, ivi, 27 febbraio 2023; A. Presutti, Porte aperte al paradigma riparativo nella l. 27 settembre 2021, n. 134 di riforma della giustizia penale, in www.sistemapenale.it, 20 luglio 2022; Id., La giustizia riparativa alla prova del giusto processo, ivi, 27 giugno 2023.

[3] Sulle pene sostitutive si rinvia ad A. Abbagnano, Una semantica persuasiva nel disegno di revisione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive. Dalle parole ai fatti, in Proc. pen. e giust., 2022, p. 238 ss.; G. Amarelli, L’ampliamento delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: luci e ombre, ivi, p. 234 ss.; R. Bartoli, Verso la riforma Cartabia: senza rivoluzioni, con qualche compromesso, ma con visione e respiro, in Dir. pen. proc., 2021, p. 1167 ss.; A. Cavaliere, Considerazioni ‘a prima lettura’ su deflazione processuale, sistema sanzionatorio e prescrizione nella l. 27 settembre, n. 134, c.d. Riforma Cartabia, in www.penaledp.it, 2 novembre 2021, p. 1 ss.; O. Calavita, La riforma Cartabia delle sanzioni sostitutive: riflessioni processualistiche in attesa del decreto legislativo, in www.lalegislazione
penale.eu
, 13 febbraio 2022, p. 1; D. Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso, Milano, 2023, p. 83 ss.; Id., Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: una grande occasione non priva di rischi, in www.sistemapenale.it, 21 febbraio 2022; E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, ivi, 2 settembre 2021; Id., Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, ivi, 30 agosto 2022; M. Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Politica del diritto, 2021, p. 591 ss.; L. Eusebi, La pena tra necessità di strategie preventive e nuovi modelli di risposta al reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 823 ss.; A. Gargani, Le nuove pene sostitutive, in Dir. pen. proc., 2023, p.; Id., La riforma in materia di sanzioni sostitutive, in www.legislazionepenale.eu, 20 gennaio 2022; G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in www.sistemapenale.it, 15 ottobre 2021; F. Palazzo, Uno sguardo di insieme alla riforma del sistema sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2023, p. 3 ss.; Id., I profili di diritto sostanziale della riforma penale, ivi, 8 settembre 2021; N. Pisani, Le pene sostitutive, in Giur. it., 2023, p. 942 ss.; L. Risicato, Riforma Cartabia: profili di diritto penale sostanziale. Introduzione, ivi, p. 941; V. Sellaroli, Riforma processo penale: le nuove pene sostitutive, in Quot. giur., 24 novembre 2022; M. Venturoli, Verso un nuovo paradigma di individualizzazione della pena?, in www.sistemapenale.it, 30 maggio 2023; P. Troncone, Manuale di diritto penitenziario e delle misure punitive, Torino, Giappichelli, 2023, p. 83 ss.

[4] Per una ricostruzione delle differenze intercorrenti tra le possibili alternative perseguibili in materia di regolamentazione della giustizia riparativa e, cioè, tra il paradigma alternativo e il paradigma complementare, si veda ex multis G. Mannozzi, (voce) Giustizia riparativa, in Enc. dir., Annali, vol. X, Milano, Giuffrè, 2017, p. 465 ss., spec. p. 482 ss.

[5] Sul punto cfr. E. Mattevi, La giustizia riparativa: disciplina organica e nuove intersezioni con il sistema penale, cit., p. 261 ss.

[6] Sul punto cfr. F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale, cit., p. 11 ss.

[7] Ai sensi della norma in parola, infatti, “la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute”.

[8] In questo senso cfr. R. Muzzica, Il ruolo dell’autorità giudiziaria, cit., p. 40.

[9] D. Guidi, Profili processuali della giustizia riparativa, in Discrimen, 16 novembre 2022.

[10] In argomento, si rinvia per approfondimenti sull’autonormazione a D. Bianchi, Autonormazione e diritto penale, Torino, Giappichelli, 2022, passim.

[11] Sulle condotte post patratum crimen del reo di natura riparatoria/risarcitoria, ben diverse da quelle riparative/conciliative, sia consentito rinviare per brevità al nostro G. Amarelli, Le ipotesi estintive delle contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro, Napoli, Jovene, 2008, p. 23 ss.

[12] Per delle considerazioni, più in generale, sulla discrezionalità giudiziaria nella riforma Cartabia, con degli accenni ai possibili risvolti critici, nonostante nelle intenzioni del legislatore sia funzionale ad attuare il principio di sussidiarietà secondaria del diritto penale, cfr. M. Venturoli, Verso un nuovo paradigma, cit., p. 15.

[13] Sul punto la letteratura è vastissima, si rinvia per approfondimenti e ulteriori indicazioni bibliografiche al recente lavoro di A. Massaro, Determinatezza della norma penale e calcolabilità giuridica, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, passim.

[14] In argomento cfr. D. Castronuovo, Tranelli del linguaggio e "nullum crimen". Il problema delle clausole generali nel diritto penale, in Leg. pen., 5 giugno 2017.

[15] Sul punto cfr. V. Manes-F. Mazzacuva, Irretroattività e libertà personale: l’art. 25, secondo comma, Cost., rompe gli argini del­l’esecuzione penale, in www.sistemapenale.it, 20 marzo 2020; I. Giugni, La differenza fra “dentro” e “fuori” il carcere è radicale: la Corte costituzionale dichiara illegittimo l’art. 1, co. 6, lett. b), della legge cd. Spazzacorrotti, in www.diritticomparati.it, 11 marzo 2020.

[16] Segnala tale profilo problematico insito nella disciplina della giustizia riparativa R. Muzzica, Il ruolo della attività giudiziaria nei percorsi di giustizia riparativa, cit., p. 52, il quale, però, ritiene che la formulazione letterale dell’art. 58 d.lgs. n. 150/2022 non precluda la possibilità di tener conto dell’esito negativo in sede di applicazione delle pene sostitutive, dovendo queste essere considerate benefici processuali.

[17] In tal senso cfr. M. Pelissero, Oltre la riforma Cartabia. Le prospettive della rieducazione nello sviluppo del sistema sanzionatorio, in La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, a cura di A. Menghini-E. Mattevi, Napoli, Editoriale scientifica, 2022, p. 29 ss.; E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, cit., p. 3; A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, cit.; F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma, cit., 11.

[18] Di concerto tra magistratura ed avvocatura, sono state varate in diversi tribunali linee guida per la applicazione delle pene sostitutive. Tra le varie cfr. Nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi: lo schema operativo e i modelli degli uffici giudiziari milanesi; Le linee guida degli uffici giudiziari torinesi per l’applicazione delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi; Protocollo con vademecum sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi: lo schema operativo degli uffici giudiziari di Napoli Nord, in www.sistemapenale.it, 2023.

[19] Per una prima applicazione del lavoro di p.u. si veda Trib. Pavia, 23 maggio 2023, giud. V. Giordano, in www.sistema
penale.it
, 29 giugno 2023, con commento di G. Mentasti.

[20] La non semplice adattabilità della pena detentiva con i principi costituzionali in materia di pena è evidenziata da E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia, cit.; Id., Pena e Costituzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 7 ss.

[21] Da ultimo, sottolinea i profili critici di un sistema punitivo incentrato sulla pena detentiva con i principi costituzionali della rieducazione e della individualizzazione della pena e promuove il pluralismo sanzionatorio delineato dalla riforma Cartabia, ancorché non in fase di comminatoria edittale, M. Venturoli, Verso un nuovo paradigma, cit., p. 5 ss.

[22] R. Von Jhering, Lo scopo nel diritto, (1877), trad. it., Torino, Einaudi, 1972, p. 269.

[23] Z. Bauman, Retrotopia, Roma-Bari, Editori Laterza, 2017, passim.

[24] R. Koselleck, Il Vocabolario della modernità. Progresso, crisi, utopia e altre storie di concetti, Bologna, Il Mulino, 2009, passim. Nel volume l’Autore propone una storia sociale dei concetti per dimostrare la loro capacità di riflettere la molteplicità dell’esperienza storica nel suo divenire. L’analisi del linguaggio politico-sociale, infatti, viene considerata una fonte attendibile per cogliere le peculiarità di ogni frangente storico, sia tramite l’individuazione dei termini maggiormente impiegati, sia tramite il significato che a taluni viene attribuito. Il linguaggio rappresenta, così, allo stesso tempo un indicatore ed un fattore del mutamento storico.

[25] Individua in tale carattere l’essenza della concezione tradizionale di sanzione penale M. Donini, Per una concezione post-riparatoria della pena. Contro la pena come raddoppio del male, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 1162 ss., cui si rinvia per ulteriori approfondimenti e indicazioni bibliografiche, non essendo possibile diffondersi sul punto data l’amplissima letteratura esistente.

[26] Si rinvia sui cambiamenti radicali che possono discendere dalla implementazione della giustizia riparativa, soprattutto se declinata nella forma alternativa e non complementare come quella appena varata, si vedano i contributi richiamati nella nota n. 1.

[27] Anche rispetto al significato e alle funzioni del processo non è possibile ricostruire in questa sede (soprattutto da parte di un sostanzialista) l’intensissimo dibattito, ma si rinvia per tutti ai lavori di P. Ferrua raccolti in Studi sul processo penale. Anamorfosi del processo accusatorio, vol. II, Torino, 1992, e alle celebri riflessioni di S. Satta, Il mistero del processo, Milano, Giuffrè, 1994, p. 24, secondo cui "non si dica, per carità, che lo scopo è l’attuazione della legge, o la difesa del diritto soggettivo, o la punizione del reo e nemmeno la giustizia o la ricerca della verità (…) Se uno scopo al processo si vuole assegnare questo non può essere che il giudizio (…) Ma il giudizio non è uno scopo esterno al processo, perché il processo non è altro che giudizio e formazione di giudizio: esso dunque se ha uno scopo lo ha in sé stesso».

[28] Così M. Donini, L’idea riparativa per un umanesimo penale, in L’Unità, 2 luglio 2023, p. 8 ss.

[29] Z. Bauman, Retrotopia, cit., p. 169.

[30] G. Ranaldi, Processo penale e prova informatica: profili introduttivi, in Dir. pubbl. eur., 2/2020, p. 24.

[31] Evidenziano le potenzialità insite nella giustizia riparativa per un nuovo ‘umanesimo penale’ E.M. Catalano, La tutela della vittima nella Direttiva 2012/29 UE e nella giurisprudenza delle Corti europee, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 1800; M. Donini, Il delitto riparato. Una disequazione che può trasformare il sistema sanzionatorio, in G. Mannozzi-A. Lodigiani (a cura di), Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Torino, Giappichelli, 2017, p. 135 ss.

[32] La celebre definizione moderna del diritto penale quale Magna Charta del reo risale a von Liszt, Über den Einfluss der soziologischen und anthropologischen Forschungen auf die Grundbegriffe des Strafrechts (1893), in Id., Strafrechtliche Aufsätze und Vorträge, II, Guttentag, Berlin, 1905, pp. 75 ss. La trasformazione teleologico-funzionale del diritto penale è stata di recente ben messa in evidenza da V. Maiello, Clemenza e sistema penale. Dall’indulgentia principis all’idea di scopo, Napoli, ESI, 2007, p. 200 ss.

[33] Z. Bauman, Retrotopia, cit., p. 168.